la scomparsa di Franzo Grande Stevens

di antonio caputo

Sono affranto per la morte di Franzo Grande Stevens, a cui sono stato legato per un idem sentire, azionista e liberale, liberale e liberalsocialista, predicato da un comune Maestro, il mite giacobino, Prof. Alessandro Galante Garrone, il partigiano Sandro.

Ho conosciuto Grande Stevens negli anni giovanili della comune professione di avvocato.

Morto a 95 anni , nipote del colonnello inglese Stevens, voce di Radio Londra durante la guerra, nato a Napoli, aveva vissuto l’aria della Resistenza, e da quando aveva aperto il suo studio a Torino era diventato l’avvocato dell’avvocato Agnelli e presidente della Juve, oltre ad aver assistito gruppi industriali come l’Olivetti, la Lavazza e la Ferrero.

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UFFICIALIZZATA LA SVOLTA. Trump non è né di destra né di sinistra. È contiano.

di enzo marzo

Lo scoop non è un granché, perché la notizia era già nota tra i lettori più attenti, ma è pur sempre una notizia. Il Capo ufficio stampa del Movimento 5 stelle, Marco Travaglio, l’ha ufficializzata sul “Fatto” di domenica 8 giugno: Trump, il Presidente-delinquente degli Stati Uniti è stato iscritto d’ufficio al M5s. Sia a quello del primo tipo sia a quello del secondo tipo. Un bel colpaccio per Conte 1 e Conte2. Il Direttore del “Fatto” è come al solito arcisicuro di sé e accoglie il nuovo arrivato con uno zelo ammirevole. Trump, usando il suo solito linguaggio scurrile, direbbe che anche lui gli “bacia il c…”. Almeno Giorgia, con meno fervore e più cautela, sta aggrappata solo alla pantofola.
A dire la verità, un segno tangibile di questo amore, il Marco lo aveva già professato alla vigilia del voto presidenziale quando dichiarò apertamente che avrebbe votato per Trump. Nel frattempo tutto il mondo civilizzato stava tremando perché considerava assolutamente nefasta quella scelta. E infatti sono bastati pochi mesi per confermare che Trump è quel Trump che già in campagna elettorale si era mostrato per quel che è: un nefasto mascalzone. Continua la lettura di UFFICIALIZZATA LA SVOLTA. Trump non è né di destra né di sinistra. È contiano.

La Meloni e il referendum: il diritto al “non senso” della democrazia

di angelo perrone

Il gran rifiuto. Versione moderna del “me ne frego”, slogan che nel ventennio incarnava la sfida al pericolo e il disprezzo per le regole. Immaginifiche sono le strade nuove inventate dalla politica. L’affermazione della presidente Meloni (il “non voto” al referendum su lavoro e cittadinanza come un suo diritto) è una posizione inquietante in tempi di crisi democratica, e rasenta l’abnormità, proprio per il ruolo preminente di chi l’ha espressa.
La partecipazione civica è fondamentale per la tenuta delle istituzioni. Suggerire l’astensione è un segnale pericoloso, oltre tutto mascherato dall’espediente del gesto simbolico. L’astensione non dovrebbe assumere il tono dell’indifferenza, soprattutto quando la democrazia stessa è sotto pressione. Continua la lettura di La Meloni e il referendum: il diritto al “non senso” della democrazia

Brusca in libertà: il prezzo della collaborazione e le ferite della Giustizia

di  angelo perrone

La notizia della definitiva libertà di Giovanni Brusca, ex boss mafioso e “pentito” coinvolto nella strage di Capaci (fu lui ad azionare il telecomando), riaccende il dibattito sulla finalità della pena. Brusca, dopo 25 anni di detenzione e la collaborazione con la giustizia, vive ora in una località segreta, lontano dalla Sicilia, una conclusione che genera amarezza – espressa dolorosamente dalla vedova del caposcorta di Falcone – e solleva interrogativi.

La storia di Brusca è emblematica. Da un lato, c’è la necessità dello Stato di combattere la criminalità organizzata ottenendo informazioni vitali per smantellare le cupole mafiose, individuare responsabili e prevenire nuovi crimini. La collaborazione dei “pentiti” è stata uno strumento efficace per raggiungere questi obiettivi. Dall’altro, la concessione di benefici penitenziari a chi si è macchiato di crimini efferati si scontra con il sentimento di giustizia delle vittime e della collettività.

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Nordio e il femminicidio, la conversione al populismo penale

di angelo perrone

La scena è degna di un dramma, o forse di una farsa. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si erge sul palcoscenico mediatico, per annunciare l’introduzione del reato di femminicidio. Lo definisce «un risultato epocale», una «manifestazione potente» dell’attenzione dello Stato. La retorica è densa, convinta. Cozza però, senza spiegazioni, con la storia dell’uomo e con le convinzioni professate per decenni. Il giurista di lungo corso, qual si era presentato, compie, una volta sulla poltrona ministeriale, un’abiura intellettuale.

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non ci sono più scuse (dopo il flop referendario)

di raffaello morelli

Da martedì 10 giugno, i cittadini italiani realisti – non filo governativi ma neppure drogati dall’ideologismo della sinistra laica e cattolica schiacciata sul sentirsi predestinata a gestire il potere perduto ormai da un triennio – non possono eludere l’urgente problema di far maturare un’opposizione che sia davvero tale. E dunque rinunci alle sceneggiate dei riti passatisti in piazza confortate da gran parte degli organi di comunicazione tradizionali, e si manifesti in proposte e in comportamenti concreti atti a configurare una alternativa di governo coerente e credibile. Continua la lettura di non ci sono più scuse (dopo il flop referendario)

8×1000: Il lupo perde il pelo, ma non …

di valerio pocar

Il cardinale Zuppi, presidente dei vescovi italiani, intervenendo a un convegno dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero, ha espresso il suo indignato rammarico per via della decisione del governo italiano di destinare l’ottopermille di sua competenza, alla lotta alle tossicodipendenza e ad altre dipendenze. D’acchito, la rimostranza sembra fuor di luogo, giacché si suppone che non spetti ai vescovi di stabilire a qual fine lo Stato italiano debba spendere (spesso male) i suoi danari così come lo Stato non si permette di valutare il modo in cui la Chiesa spende (spesso male, come c’insegna l’ex (?) cardinale Becciu) i danari suoi. Le parole del cardinale, invece, hanno il loro perché.  

Come si sa, certe sciagurate regole fiscali ripartiscono la gran parte dell’ottopermille col criterio dell’inoptato, vale a dire il totale della somma in proporzione delle opzioni espresse. Questo consente alla Chiesa cattolica, alla quale meno di un terzo dei contribuenti dichiara di voler destinare l’ottopermille, di riceverne la grande parte, per quasi un miliardo di euro. Lo Stato, che finora non faceva alcuna propaganda per concorrere alla torta e anzi in un certo senso disincentivava le opzioni a suo favore non specificando in alcun modo la destinazione dei proventi (spesso impiegati in scopi tutt’altro che attraenti), ha finalmente pensato di dichiarare lo scopo al quale intende destinare la sua quota. Questo semplice fatto ha suscitato la reazione preoccupata della Chiesa, che s’indigna perché lo Stato (udite udite!, parole sue) le farebbe una “concorrenza” sleale.

La Chiesa finge di non sapere che si tratta di una regalia da parte degli italiani e che, per via della sconcia regola concordata col governo Craxi, percepisce indebitamente una bella fetta delle imposte di tutti i contribuenti italiani, compresi i non credenti e persino gli anticlericali. La Chiesa tace anche sul fatto che, nonostante la sua pubblicità assillante lasci intendere il contrario, solo circa un quarto dell’introito va in opere di beneficenza, mentre la quota maggiore va favore degli affari clericali.

La sacra auri fames è sempre stata un argomento per presentarsi “francescamente”, non “francescanamente” però, immacolati, solo che i danee inn danee, come si dice nella lingua lombarda che s‘intende anche in Vaticano. 

 

Il linguaggio politico, tra disprezzo e disaffezione democratica

di angelo perrone

 Il linguaggio dei politici, spesso, sembra aver perso ogni freno, scivolando in una retorica che avvelena il dibattito pubblico. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, definisce gli elettori “schifati” per la bassa affluenza a un referendum senza quorum: non fa un semplice scivolone di linguaggio, ma di sostanza. Nell’esternazione, non c’è analisi, difettano il commento, la riflessione. Le parole disvelano una disistima per gli elettori che sono esattamente i soggetti che lui (l’abbiano votato o meno) dovrebbe tutti rappresentare, colpiscono la dignità del cittadino, qualunque sia la decisione sul referendum, o in genere sul voto politico.

Questo genere di comportamenti non è incidente, ma strategia.  Diventa uno strumento per polarizzare, per marcare il territorio, per ridurre la complessità della disaffezione elettorale ad atto viscerale, solo disgusto, “schifo”. Nel pantano verbale che si genera, le idee latitano, manca il linguaggio capace di illuminare e di unire intorno a valori comuni. La politica smarrisce la capacità di parlare al Paese con rispetto e serietà. Il rischio è che i cittadini non si sentano solo “schifati”, ma estranei a un mondo così degradato.

Il fondatore di Arcigay: “Il Papa ci esclude con le sue parole”

di franco grillini

Città del Vaticano, 1 giu 2025 “Sono posizioni che creano sofferenza. Io vorrei dirlo di persona a Papa Prevost se mi ricevesse a tu per tu”.

Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, si è fatto un’idea “abbastanza critica” del Papa dopo le sue parole sulla famiglia stamani al Giubileo. “Come si fa ad insistere sulla famiglia cosiddetta tradizionale, oltretutto nel momento in cui questa famiglia mostra tutte le sue contraddizioni; le cronache ne sono piene – osserva all’Adnkronos il fondatore dell’Arcigay – bisognerebbe come minimo avere una visione critica e dire anche quali sono le patologie della famiglia tradizionale che sono tante e andrebbero affrontate come tali. La Chiesa da sempre ha un problema con la modernità: non basta l’atteggiamento compassionevole o pietistico, che peraltro questo Papa non ha ancora mostrato, ma bisogna prendere atto che il mondo è cambiato”. 

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8 E 9 GIUGNO. IO VADO A VOTARE I REFERENDUM!

COMINCIAMO A FARE PASSAPAROLA, E FACCIAMOLO CON CHIUNQUE.

I referendum non sono validi che non va a votare il 50% degli aventi diritto. Il quorum è difficile?   Sì.   È impossibile?   No.

Ma servono quattro settimane affinché ogni singola persona sia messa nella condizione di sapere che si vota e su cosa si decide.

Allora, nella sintesi estrema.

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Il decreto sicurezza e il silenzio dei liberali à la carte

di andrea bitetto

Ieri avrebbe potuto esser una giornata facile facile per il liberale in servizio permanente effettivo. Approvato il decreto sicurezza al Senato, il liberale d’ordinanza, che spende buona parte delle sue giaculatorie contro le unghie troppo affilate dei pubblici ministeri (ed ha ragione) o contro gli occhi e le orecchie troppo distratte di troppi giudici (ed anche qui: come dargli torto), quel pezzo monumentale di liberale avrebbe sfogliato il taccuino, pescato una a caso delle tante belle massime appuntante leggendo o ancor di più ascoltando qualcun altro parlare e via.

Ne sarebbe venuto fuori un affilato editoriale da spedire prima della chiusura della redazione a qualche amico direttore di quotidiani, magari quelli che hanno scoperto il garantismo di recente: i neofiti, che sono sempre i migliori perché son anche i più ottusamente zelanti. E via, stamane, sempre quel pezzo da novanta di liberalismo e quindi di garantista inossidabile, avrebbe gonfiato il petto con le rassegne stampa.

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