di riccardo mastrorillo
Il 18 novembre di 20 anni fa si spegneva prematuramente Paolo Battistuzzi. Persona schiva e riservata è stato, silenziosamente, maestro di politica per tantissimi amici.
Chi scrive lo conobbe da ragazzo, e già dal primo incontro, ad uno degli eventi formativi della Gioventù liberale (perché all’epoca le forze politiche facevano formazione…), rimase ammaliato dal suo stile e dalla sua capacità maieutica. Si dibatteva se i liberali fossero di destra o di sinistra, ingenuamente citai il noto brano di Croce, che definiva il Partito Liberale come l’unico partito di centro…. Battistuzzi intervenne poco dopo e, guardandomi, consigliò a noi giovani di leggere Eianudi più che Croce, e raccontò ai presenti che nella seduta inaugurale dell’Assemblea Costituente, Bendetto Croce piantò una grana pretendendo che i deputati liberali sedessero alla sinistra della Democrazia Cristiana. Quelle parole furono per me l’inizio di una vera consapevolezza del liberalismo. Seguii in parte il suo consiglio, iniziando a leggere Einaudi, ma non smettendo Croce, quando anni dopo glielo dissi, mi rispose con una delle sue sagaci e corte freddure e quel sorrisetto tutt’uno coi suoi baffi. Battistuzzi aveva la rara capacità di trasmetterti consapevolezza, facendoti comprendere, da solo, i concetti, senza farti mai “una lezione”. Potrei raccontare tantissimi altri episodi, ma la semplice verità è che Battistuzzi era un vero liberale, scevro da dottrine e verità, coltivava nel suo essere e nel suo parlare l’ideale della ricerca e la cultura del dubbio. Estremamente colto introdusse noi giovani alla lettura del suo pensatore preferito: Gobetti, “le sue idee, come i suoi capelli, sono spettinate” scrisse, e proprio perché spettinate, eterodosse, per Battistuzzi avevano un grande valore. In tutte le situazioni in cui si è messo in gioco lo ha fatto con determinazione, coraggio e passione schivando l’apparire e prediligendo l’essere. Come Assessore a Roma ha dimostrato capacità di innovazionee profonda attenzione alla sostanza delle iniziative che promuoveva, preferendo di gran lunga iniziative dal carattere permanente, rispetto all’effimero di un suo noto predecessore. Fu lui a costruire pazientemente le condizioni per la candidatura dell’ultimo sindaco decente, che Roma abbia avuto, Francesco Rutelli. Lo fece in silenzio, come era il suo stile, perché era innamorato di Roma.
La sua solidità e coerenza lo ha caratterizzato in tutte le scelte, anche quando nel ’94, schierandosi convintamente a sinistra, rifiutò un collegio “blindato”, in disaccordo con le modalità apolitiche con cui si decidevano le candidature. Fu, per alcuni di noi, la guida sicura, che ci aiutò nella nostra scelta a sinistra, quando ancora la sinistra era monopolizzata dal PCI, anche se con un altro nome, salvandoci dall’abbraccio mortale con l’Incantatore di Arcore. In questi vent’anni di frequentazione della casta e dei palazzi, non sono riuscito a incontrare ancora un politico come lui.
Lucido e coerente fu tra i primi a cogliere la necessità di sottrarsi dal CAF e affrontare in modo nuovo la battaglia liberale