di angelo perrone
La resistenza è un insieme di storie individuali coraggiose e solidali, capaci di trasformarsi in uno dei momenti fondativi dello Stato nazionale. Un messaggio di attualità, mentre cerchiamo di uscire dalla pandemia
Sono trascorsi 76 anni da quando, il 25 aprile 1945, il Comitato di liberazione Alta Italia proclamò l’insurrezione generale contro il regime nazi-fascista nei territori ancora occupati. Quella data già l’anno successivo divenne festa nazionale. Era diffusa l’urgenza di riconoscersi simbolicamente in una data cosi decisiva per le sorti del paese.
Lo scopo era ricordare il coraggio di tanti che misero a repentaglio la vita per opporsi alla dittatura, o la sacrificarono, decisi a tutto pur di riscattare la libertà perduta. Nello stesso tempo si voleva dare un segnale politico: celebrare il momento fondativo della nuova Italia, individuato appunto nella lotta di liberazione.
La decisione ha avuto, fin dall’inizio, un doppio significato: rendere omaggio alle storie individuali, al sacrificio personale, agli straordinari esempi di coraggio avvenuti allora, ma anche commemorarne il ruolo rispetto alla nuova epoca che si voleva far nascere, la stagione del referendum istituzionale sulla forma repubblicana dello Stato e ancor più della stesura della Costituzione.
Nella resistenza si verificò uno straordinario incrocio di destini perché la lotta raccolse sullo stesso fronte persone con interessi differenti, e che avevano opinioni politiche contrapposte (liberali e comunisti, cattolici e socialisti).
Soprattutto quella fase storica permise di creare un ponte tra l’avventura dei singoli e quella dell’intero popolo. La constatazione finale fu un sentimento di solidarietà fondato sull’appartenenza alla stessa comunità. Riconoscersi come membri della medesima società, con un destino appunto comune. Non era affatto scontato in un paese caratterizzato da forte individualismo, retaggio di antiche esperienze storiche nel segno della frammentazione politica e del particolarismo.
Senza retorica, il valore del 25 aprile è la riscoperta della necessità di un cammino comune, seguendo principi di libertà e solidarietà. Una consapevolezza maturata nell’opposizione al fascismo, e destinata a dare frutti nella costruzione del nuovo Stato.
Per questo, gli studenti strabuzzavano gli occhi quando Piero Calamandrei spiegava loro che, se avessero voluto cercare le radici della Costituzione non occorreva andassero a cercare nei libri e nelle raccolte di diritto. Che volgessero lo sguardo altrove: “nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare libertà e dignità”.
Il 25 aprile, in quanto simbolo di libertà, è una giornata da celebrare sempre, e collettiva, perché libertà e democrazia sono la linfa vitale della società che raccoglie tutti, qualunque sia l’opinione politica o l’interesse sociale. L’inesorabilità del tempo, e ai nostri giorni l’implacabilità del Covid, ha reso sempre più esigua la pattuglia dei superstiti, non ha invece attenuato il ricordo di quella stagione esemplare.
Certo spesso guardiamo ad essa con malinconia, spesso delusione, pensando alle tante aspettative deluse. Chissà cosa penserebbero coloro che hanno sacrificato la vita, e cosa riflettono i superstiti, osservando il cattivo uso che le generazioni seguenti hanno fatto della libertà riconquistata. A volte è inevitabile da parte nostra lo sconforto, e la recriminazione: non siamo stati all’altezza del compito. Eppure il passato non è mai davvero morto, o tradito, se è stato pur sempre all’origine del nostro confuso presente. Le radici sono comunque in quei fatti esemplari, non possiamo averlo davvero dimenticato.
Lo vediamo proprio di questi tempi, attraversati da una pandemia che ha prodotto danni economici e stravolto la vita tutti. Nonostante la drammaticità della situazione (un milione di posti di lavoro perduti, l’aumento delle diseguaglianze, la crescita della povertà, il disorientamento delle nuove generazioni), la speranza di uscirne è sempre rimasta collegata allo spirito di solidarietà: l’egoismo, l’indifferenza, ognuno per sé e chi se ne importa degli altri, pur ancora così diffusi, non hanno mai saputo indicare una strada per sollevarci dal malessere.
La ricorrenza del 25 aprile ha un significato particolare in questa stagione. Non è occasione di commemorazioni retoriche destinate ad esaurirsi a fine giornata, senza tracce. Contiene un ammonimento prezioso. Il ritorno alla vita è un obiettivo possibile nonostante tutto. Servono l’altruismo e la solidarietà di cui quelle generazioni seppero dare esempio, lasciandoci tanti ricordi e un insegnamento.
* angelo perrone è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale: diritti, libertà, diseguaglianze, forme di rappresentanza e partecipazione. Svolge studi e ricerche. Cura percorsi di formazione professionale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli. Scrive di attualità, temi sociali, argomenti culturali. Ha fondato e dirige Pagine letterarie, rivista on line di cultura, arte, fotografia. a.perrone@tin.it