di riccardo mastrorillo
Abbiamo già ricordato come le nostre istituzioni siano improntate ad un regime di repubblica parlamentare, dove alla base e al principio di ogni azione politica vi è il mandato concesso, secondo i principi della democrazia rappresentativa, dagli elettori ai parlamentari: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.” (art. 67 della Costituzione)
Il principio di base è che gli elettori eleggono i parlamentari, senza vincolo di mandato, e che a questi è conferito un mandato insindacabile di rappresentanza politica. In questo mandato persiste, nonostante i vari e ripetuti tentativi di screditarlo, il potere di votare o meno la fiducia ad un Governo, a prescindere se questo governo nasce perché le elezioni hanno prodotto una maggioranza chiara e omogenea o meno. Il principio è la centralità del Parlamentare e il suo insindacabile giudizio politico.
Riteniamo affatto inutile disquisire o giudicare le motivazioni più o meno profonde, purché giuridicamente lecite, che ispirano il Parlamentare nella sua scelta: paura di non essere rieletto, tattica politica o convinzione profonda. Queste considerazioni, da parte dell’elettore dovranno suggerire o meno, al momento delle elezioni, se rieleggere il parlamentare in questione. Quello che noi difendiamo per principio è la liceità assoluta e il dovere morale, da parte del Parlamentare, di decidere, secondo coscienza, se votare o meno la fiducia ad un governo.
Spostare il dibattito insinuando secondi fini è inutile, definire un repentino cambio di maggioranza “un inciucio” è dannoso. Quello cui assistiamo in questi giorni è, (speriamo) indirettamente, un attacco al parlamentarismo. Siamo disposti a discutere su un cambio di regime, possiamo passare dalla repubblica parlamentare alla repubblica sondaggista, possiamo stabilire che si voti ogni anno, potremmo, per assurdo, discutere per assurdo, dell’utilità delle elezioni, ma qualsiasi proposta di cambiamento deve essere discussa e votata in Parlamento, secondo le procedure, e, soprattutto, deve tenere conto dei valori Costituzionali, dei principi della democrazia liberale a partire dall’equilibrio dei poteri e dalle garanzie delle minoranze.
Abbiamo ascoltato in questi mesi alcuni esponenti dell’attuale ex maggioranza, dichiarare che il loro governo era stato scelto dal popolo: non si è mai detta una sciocchezza più grande! l’ineffabile Berlusconi, quando governava, non perdeva occasione di riaffermare che lui era stato scelto dal popolo, come Presidente del Consiglio: altra falsità plateale! Il Presidente del Consiglio è nominato dal Presidente della Repubblica in base alle indicazioni del Parlamento, che si esprime attraverso le consultazioni dei Gruppi parlamentari, e persino in una realtà politica bipartitica, in nessuna democrazia parlamentare il Presidente del Consiglio viene direttamente o indirettamente scelto alle elezioni. Persino il Presidente degli Stati Uniti è eletto dai grandi elettori, che, in linea puramente teorica, potrebbero votare un altro candidato, per esempio nel caso che nessun candidato raggiungesse una maggioranza netta.
Vogliamo richiamare tutti al valore delle procedure, alla supremazia del diritto, e alla constatazione che, se è vero che non sempre il diritto corrisponde alla giustizia, la condanna sommaria, o il dispregio delle procedure porta sempre all’ingiustizia. Se i padri costituenti avessero voluto un sistema istituzionale in cui, al cambio di percentuali nei sondaggi, dovesse darsi luogo ad elezioni anticipate, avrebbero scritto una costituzione differente. Tutto il dibattito all’assemblea costituente, sul Governo, si delineò proprio sull’equilibrio tra governabilità e fiducia del parlamento, rimettendo alla valutazione del capo dello Stato, l’opportunità di sciogliere le Camere, non al capriccio di un migliaio di intervistati nei, sempre meno attendibili, sondaggi di opinione. Ai cittadini andrebbe spiegato che, quando eleggono il Parlamento, devono sapere chi mandano a rappresentarli, proprio perché, solo dopo 5 anni, potrebbero decidere se, chi li ha rappresentati, lo ha fatto bene o male. Certo purché siano messi nelle condizioni di poter scegliere….. ma questa è un’altra storia….
Ancora una volta ricorriamo ad Einaudi, nella sua posizione, riportata sotto, espressa l‘8 gennaio 1947, nella seduta della prima Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione secondo i resoconti, che invitiamo tutti i politici a leggere con attenzione.
Einaudi: rileva che la tesi che la fiducia debba essere data o tolta dall’Assemblea Nazionale (cioè Camera e Senato in seduta comune, secondo una prima stesura della Costituzione Ndr) discende dalla premessa che sia desiderabile ottenere per mezzo di legge che i Governi siano stabili, e che sia un danno la instabilità dei Governi; premessa che egli ritiene priva di consistenza sostanziale.
Dichiara di considerare desiderabile la stabilità se spontanea, ma dannosa se ottenuta per forza di legge, perché la stabilità non esiste oggettivamente, dipendendo da condizioni che stanno al di fuori dei Governi, e sono invece insite in quelle forze che hanno condotto alla loro formazione. L’instabilità dei Governi è un vantaggio quando essi non hanno una salda radice nelle forze del Paese. Inserendo nella Costituzione norme dirette a rendere forzatamente stabili dei Governi per loro natura instabili, si fa cosa dannosa, perché si apre la via a colpi di Stato e a rivoluzioni.
Osserva quindi che altra premessa che si pone alla necessità di una votazione solenne di fiducia o di sfiducia al Governo, è la fiducia nei programmi invece che nei capi. Ora, i programmi possono essere formulati da chiunque, e non si distinguono mai l’uno dall’altro: badando ad essi non si costruisce niente. Se v’è una costruzione solida, essa dipende dalle persone che rappresentano il programma e vogliono attuarlo. Figurarsi che soltanto con una votazione fatta su un programma si possa assicurare stabilità al Governo, è figurarsi qualcosa che può stare sulla carta, ma che non ha alcun rapporto con la realtà.
Si dichiara dubbioso sulla convenienza che il voto di fiducia sia dato dall’Assemblea Nazionale, composta di due Camere d’origine diversa, e prive di quel valore che ogni Camera acquista solo col tempo, col permanere nelle successive legislature di un certo numero di deputati e di senatori che, rimanendo in carica, danno a quella Camera uno spirito di corpo che non può essere trasmesso ad un’Assemblea convocata improvvisamente.
Per queste ragioni dichiara di non aver fiducia in una fiducia imposta da una Costituzione, e di avere invece fiducia in una fiducia che nasce spontaneamente verso un Governo in un corpo chiamato prima o seconda Camera.
Einaudi, ossigeno per le nostre menti stanche. Grazie Mastrorillo.
quindi il Popolo Sovrano NON conta UN CA22O ! E’ la Costituzione fallata dal principio. Al primo comma dice cosa giusta, all’ultimo nega
quanto sancito nel primo. Esempi lampati art 1 ed art 11. Se il sovrano ha limiti cartacei, che ca22o di Sovrano sarebbe?
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mi sembra si sia risposta da sola: su quella definizione di “sovrano” ci sono state giornate intere di dibattito, fu una concessione alla filosofia comunista. la sovranità, senza limiti, si chiama tirannide, ma comprendo dal suo intercalare un po’ truce, che lei non ha modo di apprezzarne la sottile differenza (rm)