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8×1000: Il lupo perde il pelo, ma non …

di valerio pocar

Il cardinale Zuppi, presidente dei vescovi italiani, intervenendo a un convegno dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero, ha espresso il suo indignato rammarico per via della decisione del governo italiano di destinare l’ottopermille di sua competenza, alla lotta alle tossicodipendenza e ad altre dipendenze. D’acchito, la rimostranza sembra fuor di luogo, giacché si suppone che non spetti ai vescovi di stabilire a qual fine lo Stato italiano debba spendere (spesso male) i suoi danari così come lo Stato non si permette di valutare il modo in cui la Chiesa spende (spesso male, come c’insegna l’ex (?) cardinale Becciu) i danari suoi. Le parole del cardinale, invece, hanno il loro perché.  

Come si sa, certe sciagurate regole fiscali ripartiscono la gran parte dell’ottopermille col criterio dell’inoptato, vale a dire il totale della somma in proporzione delle opzioni espresse. Questo consente alla Chiesa cattolica, alla quale meno di un terzo dei contribuenti dichiara di voler destinare l’ottopermille, di riceverne la grande parte, per quasi un miliardo di euro. Lo Stato, che finora non faceva alcuna propaganda per concorrere alla torta e anzi in un certo senso disincentivava le opzioni a suo favore non specificando in alcun modo la destinazione dei proventi (spesso impiegati in scopi tutt’altro che attraenti), ha finalmente pensato di dichiarare lo scopo al quale intende destinare la sua quota. Questo semplice fatto ha suscitato la reazione preoccupata della Chiesa, che s’indigna perché lo Stato (udite udite!, parole sue) le farebbe una “concorrenza” sleale.

La Chiesa finge di non sapere che si tratta di una regalia da parte degli italiani e che, per via della sconcia regola concordata col governo Craxi, percepisce indebitamente una bella fetta delle imposte di tutti i contribuenti italiani, compresi i non credenti e persino gli anticlericali. La Chiesa tace anche sul fatto che, nonostante la sua pubblicità assillante lasci intendere il contrario, solo circa un quarto dell’introito va in opere di beneficenza, mentre la quota maggiore va favore degli affari clericali.

La sacra auri fames è sempre stata un argomento per presentarsi “francescamente”, non “francescanamente” però, immacolati, solo che i danee inn danee, come si dice nella lingua lombarda che s‘intende anche in Vaticano. 

 

Per un codicillo la Chiesa vince 655 milioni

di sergio rizzo

Con 655 milioni di euro si possono fare un sacco di cose. Come aumentare di mille euro all’anno lo stipendio di tutti gli insegnanti delle scuole statali. 0 finanziare l’acquisto di 3 milioni di tablet per i nostri studenti. Oppure coprire abbondantemente per un anno intero la spesa sanitaria del­la Regione Molise e dei suoi 305 mila abitanti. Invece quella somma la regaliamo tutti gli anni al Va­ticano. Conosciamo l’obiezione dei diretti interessati: “Regalare” non è il termine esatto. Non lo è per il semplice fatto che lo prevede una legge dello Stato italiano. Una legge approvata dal parlamento nel maggio 1985, governo di Bettino Craxi. E il provvedimento che ha recepito nel nostro ordinamento la revisione dei Patti Lateranensi firmati da Benito Musso­lini e Pietro Gasparri, segretario di stato di Pio XI, nel 1929.

Con quella legge targata Craxi il finanziamento della Chiesa cattolica è stato affidato alla libera scelta dei contribuenti. Con l’8 per mille delle loro tasse. Tutto chiaro, all’apparenza. Quando si presenta la denuncia dei redditi basta esprimere la scel­ta compilando un piccolo modulo con il quale la somma viene destinata a una del­le diverse confessioni religiose ormai riconosciuta, la Chiesa ovviamente in cima a tutte, oppure in alternativa allo Stato. Continua la lettura di Per un codicillo la Chiesa vince 655 milioni