ll 12 agosto la Conferenza dei presidenti di Gruppo del Senato si è riunita per decidere quando calendarizzare la mozione di sfiducia, presentata dalla Lega, contro il governo Conte.
Al di là dell’esilarante constatazione che la Lega ha presentato una mozione di sfiducia contro il governo in cui, il suo segretario, è vicepresidente, constatiamo che questa urgente riunione dei capigruppo viene tenuta, non per un’emergenza nazionale o internazionale, ma semplicemente perché Salvini ha deciso che i parlamentari “devono muovere il culo e venire a Roma”, perché lui ha deciso che si deve votare.
La forma istituzionale prevista dalla nostra Costituzione è quella di una Repubblica parlamentare, dove il governo è espressione del Parlamento e dove i parlamentari sono eletti, senza vincolo di mandato. Non ci sembra ci sia scritto da nessuna parte che, se i sondaggi danno risultati diversi dalle ultime elezioni, queste debbano essere convocate senza indugio per cristallizzare e verificare l’esattezza dei sondaggi. Il parlamento in carica, per 5 anni, ha il dovere di promuovere la costituzione di una maggioranza, che possa esprimere un governo, se il Presidente della Repubblica verificasse l’impossibilità di costituire alcuna maggioranza potrebbe sciogliere anche una sola delle due Camere e indire nuove elezioni.
Non ci interessa quale potrebbe essere la motivazione di ogni singolo parlamentare a promuovere una maggioranza o meno, quello che ci interessa è la procedura, sopra descritta, e la corretta esecuzione della stessa.
La Presidente del Senato, ha convocato appunto la Conferenza dei presidenti di Gruppo al fine di definire il calendario del dibattito sulla crisi di Governo, crisi di fatto priva di alcun atto che la certifichi in modo evidente, se non per le dichiarazioni di un Ministro, che però si è ben guardato dal dimettersi. Di fronte al mancato accordo unanime dei capigruppo, la Presidente, interpretando in modo fantasioso il regolamento, ha ritenuto di convocare il Senato per votare su quando votare su una crisi che c’è, ma non è stata formalmente aperta…..
Tra una fetta di torta e l’altra, torta non eccezionale (a detta dei fortunati assaggiatori) preparata dalle cucine del Senato, per festeggiare il compleanno della Presidente, alcuni Capigruppo hanno tentato invano di far ragionare la Presidente sui rischi di un siffatto precedente. Nonché sulla difficoltà oggettiva di alcuni Senatori, per esempio quelli eletti in Australia, a rientrare a Roma per il giorno successivo, ma la presidente si è chiusa in una intransigente impuntatura, pur sapendo che l’indomani i poveri Senatori, rientrati di corsa per decidere quando decidere, non avrebbero potuto che confermare quanto stabilito a maggioranza dalla Conferenza dei Presidenti di Gruppo.
Oggi il Senato ha dibattuto per circa un’ora e mezza, lungamente, su quando decidere di discutere, lungamente, di una crisi annunciata tramite twitter. L’esito scontato è stato confermare le decisioni prese a maggioranza dai capigruppo. Riportiamo l’intervento della Presidente del Gruppo Misto, che un po’ racchiude il senso profondo della crisi istituzionale che stiamo vivendo, ma soprattutto esprime a pieno la nostra preoccupazione.
DE PETRIS (Misto). Signor Presidente, una delle questioni che in tutti i nostri dibattiti ho voluto ricordare innanzi tutto a me stessa – ma è bene che lo ricordiamo anche in questa Aula, specie dopo gli interventi che ci sono stati – è che noi siamo in una democrazia parlamentare.
La democrazia parlamentare, come ci è stata consegnata dal patto repubblicano e costituzionale, ha regole ben precise, la prima delle quali è che la democrazia parlamentare va rispettata.
Faccio questa premessa, signor Presidente, perché è evidente a tutti che, proprio perché siamo in una Repubblica parlamentare, non esposta a tutti gli eventi, e non in una democrazia sondaggista (per cui ogni due mesi, se cambiano i sondaggi, ci dobbiamo adeguare), se il Presidente del Consiglio chiede di venire a rendere comunicazioni al Senato e alla Camera indubbiamente è correttezza istituzionale – Presidente, lei lo sa meglio di me – che si mettano all’ordine del giorno le comunicazioni del Presidente del Consiglio. Peraltro, non sono comunicazioni generiche; la lettera del Presidente del Consiglio è molto chiara: per la crisi politica. Quindi, è giusto – e fino in fondo deve essere così – che la crisi sia parlamentarizzata, perché siamo una Repubblica parlamentare, e che quindi quest’Assemblea – è evidente – ne discuta con i tempi e i modi dovuti.
Perché noi non siamo convocati da nessuno, signor Presidente. Noi non possiamo essere convocati da uno stabilimento balneare o da una spiaggia. Noi siamo dei senatori eletti dal popolo, come l’altro senatore (Salvini ndr) che ha parlato prima; siamo tutti eletti dal popolo. Ci sono le regole e queste regole innanzitutto debbono essere rispettate; le regole non sono un fatto formale, ma la sostanza e l’essenza della democrazia.
Nessuno ci può rivolgere epiteti, che lei, signor Presidente, ancora una volta oggi non ha voluto censurare. Siamo stati convocati e, come vede, siamo tutti qui a fare il nostro dovere, anche coloro che magari non hanno potuto partecipare perché non erano in grado di poter venire in ventiquattr’ore. Noi siamo qui per esercitare fino in fondo il nostro mandato. E per questo motivo, con i tempi e i modi, la posizione che abbiamo assunto alla riunione dei Capigruppo, come lei sa, è di avere il 20 agosto – ripeto, il 20 e non il 14 agosto – in Aula il Presidente del Consiglio con le comunicazioni, la discussione e quello che ci sarà: questo fa parte della discussione, dell’autonomia e del rapporto tra i senatori in quest’Aula; solo e unicamente questo.
Torno a ripetere che non si può neanche lontanamente accettare che qualcuno, dai giornali o tra le cubiste, con tutto quello che ha fatto parte di questo spettacolo inaudito, ci insulti e che gli insulti vengano ripetuti peraltro in quest’Aula. Non siamo qui a discutere di abbronzature; o meglio, forse dovremmo discutere se alcune abbronzature magari sono state fatte a spese degli italiani (ma questo è un altro conto e lo vedremo).
Il senatore Salvini, anzi il Ministro, perché ancora non ha dichiarato di lasciare il Viminale (forse non l’ho capito bene, a proposito di correttezza istituzionale), invoca le elezioni, ma pensa di poter gestire le elezioni magari dal Viminale: anche questa cosa inaudita. Il senatore ministro Salvini è venuto qui e non dubitiamo che non abbia paura del voto: lei non ha paura del voto; lei ha paura solo dei processi. Lei ha paura solo dei processi! Il «capitano coraggioso»! Il «capitano coraggioso» che però si è degnato di venire qui, sotto dettatura del suo avvocato, il ministro Bongiorno, per venire a chiedere di avere la protezione, l’immunità. L’uomo del popolo! L’uomo che si rimette al popolo, ma non ai magistrati!
Visto che allora è venuto qui a proporci di votare subito la riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari – e vedremo alla Camera – io le propongo, se è uomo d’onore: facciamo un passo indietro e venga qui in Aula, così riportiamo tutti i documenti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Venga qui, con coraggio questa volta, a subire il giusto processo (perché dai processi, come qualcuno ci ha insegnato, ci si difende: non si scappa).
Lei, senatore Salvini, in questi mesi ha avuto un ruolo nefasto per questo Paese – io mi assumo tutte le responsabilità di ciò che dichiaro – perché ha alimentato odio, rancore e tutti i sentimenti peggiori. Per questo, per quanto ci riguarda, noi riteniamo che lei non abbia affatto rispetto né dello spirito repubblicano, né della democrazia, né soprattutto dei nostri valori costituzionali (a partire dagli articoli 1, 2 e 3), visto tutto ciò che lei ha fatto, non da ultimo, anche con il decreto sicurezza-bis.
Per tutti questi motivi – richiamando tutti al fatto che siamo una democrazia parlamentare, ancorata ai valori costituzionali, che qualcuno evidentemente non ricorda – noi non possiamo che confermare la nostra proposta di calendarizzare una seduta il 20 agosto con le comunicazioni del Presidente del Consiglio.
In effetti non siamo in una democrazia dei sondaggi.
La legslatura ha una sua durata, appunto per consentire l’attuazione di un programma le cui ricadute non siano assolutamente immediate ma possano essere apprezzate in un tempo ragionevole di gestione.
La democrazia dei sondaggi favorisce la demagogia, la ricerca del consenso immediato senza tener conto delle conseguenze dei lungo periodo. Rende acuti problemi che gli studiosi di analisi economica delle istituzioni hanno da tempo segnalato.