Vendita Espresso, salvare il gruppo Gedi da sé stesso e dal suo nichilismo

di Cronista Furiosa

L’Espresso è stato venduto. Altro valore è stato distrutto dal gruppo Gedi e da chi lo dirige, ormai avvolto in una spirale di cinismo e di distruttività. Anzitutto, ferisce il modo. Le bugie, le false rassicurazioni, quando tutto era già scritto.

Far uscire la notizia prima di avvisare il direttore Marco Damilano, che ha detto di averlo saputo dal tweet di un giornalista, dire di essere in trattativa quando ormai era sicuro pure a chi sarebbe stato venduto.

Ma colpisce ovviamente anche il fatto in sé. Certo, un settimanale cartaceo non rende tanto di questi tempi in cui le edicole chiudono una dopo l’altra, trasformandosi in mesti negozi di paccottiglia.

Certo, i dipendenti costavano, specie quelli di vecchia data. Ma in questa cieca furia distruttrice i dirigenti del gruppo non hanno forse compreso quello che hanno dato via: come ha scritto sempre l’ex direttore, un pezzo della loro identità, forse l’ultimo. Non è retorica. È realtà.

Che cosa rappresenta oggi il gruppo Gedi? Quali valori infatti porta avanti? Non è tanto l’essere di destra e di sinistra, è l’essere ancora qualcosa. Ovvero una certa visione etica sul mondo. Lascerei da parte La Stampa, che Giannini sta cercando di rendere un giornale che in qualche modo abbia una fisionomia, prendendosi non a caso le firme migliori, scegliendo una vicedirettrice donna. Tutte decisioni che non rassicurano sul futuro del direttore, visto appunto il cinismo del gruppo.

Ma veniamo a Repubblica: non ha più nulla di questo. È diventato un giornale generalista, senza chiaroscuri, senza più un volto riconoscibile. Il cartaceo ormai ospita antiche firme, per lo più maschili, agonizzanti, firme che avrebbero le spalle coperte per potersene andare, per poter protestare, per poter farsi qualche domanda. E invece restano lì, a scrivere dopo decenni, sempre le stesse identiche cose. Ripeto, un giornale veramente agonizzante.

Cosa dire invece del sito? Ha deciso di puntare tutto sul giornalismo “real time”. Si intende le notizie date subito, di corsa, urlate, accompagnate da foto choc. Si imitano i grandi giornali esteri, senza capire che non si ha la stessa classe, né la stessa deontologia, se è vero che proprio Repubblica è un giornale affollato di marchette nascoste.

L’ultima che ho letto riguarda un hotel a cinque stelle a Fiuggi con percorso nutrizionista curato dal super chef di turno: il giornalista è andato, ha fatto un percorso che costa circa 5000 euro, e poi ci ha scritto un bel pezzo entusiasta.

Ma chi legge non capisce che si tratta di pubblicità nascosta. Robe che il New York Times mai farebbe. Le notizie urlate, le foto di distruzione e morte provocano invece un ottundimento emotivo in chi legge, ansia, angoscia. Invece di aiutare le persone a capire, stimolano le loro emozioni più disperate, creando altra inutile sofferenza. Certo, non è solo Repubblica a farlo. Ma anche.

A dimostrazione che ormai nessun valore è rappresentato da Repubblica basta guardare il simbolo che hanno scelto per i loro podcast. Sembra il logo di un’auto, nero, non dice nulla, non esprime nulla. E di fatti così sono i loro contenuti. Senza identità, quella identità che l’Espresso in parte continuava a dare.

Quello che i direttori e di dirigenti del gruppo non capiscono è che in questo modo il giornale diventa irriconoscibile, persino a quello zoccolo duro di anziani che continua a comprarlo, nonostante gli aumenti varati senza neanche avvisare le redazioni (come nel caso dell’Espresso, appunto).

E in questi tempi dove c’è fame di etica, c’è fame di visione, un giornale che non ha ne ha alcuna finirà per fallire. E non si creda che fare un sito martellante, pieno di video, podcast, e altri contenuti digitali salverà dal fallimento.

Perché, anche qui, stiamo per entrare in un’epoca diversa. Quella in cui le persone, frastornate e piene di ansia, finiranno per non cliccare più i siti. Andranno in cerca di analisi, di nuovo, di informazioni approfondite, di calma, di pace. Ancora una volta, noi siamo in ritardo, e pure il gruppo Gedi, per quanti soldi riesce a fare con pubblicità ovunque e marchette, appunto, nascoste.

La vendita del gruppo Espresso mi sembra un ulteriore passo verso il baratro, verso la decadenza. Se anche la Stampa si affievolirà, il gruppo Gedi diventerà uno spettro valoriale, un nulla etico. Il cinismo con cui è stata gestita questa vendita, l’indifferenza verso le sorti dei lavoratori, considerati meno che nulla, sindacati compresi, racconta veramente di un nichilismo senza fine.

Potranno forse tornare i conti, in breve. Ma alla lunga, questa scelta sarà fallimentare. Non si tratta dunque solo di difendere i lavoratori. Ma di difendere il gruppo Gedi da sé stesso. Perché i lettori andranno altrove.

Dove troveranno contenuti con valori, perché di contenuti senza valori nulla ci facciamo. E anche una visione meno cinica e spregiudicata del mondo, che oggi non serve a nessuno. E che quindi, ripeto, nessuno sarà disposto a comprare.

lacronistafuriosa@gmail.com

[da Senza Bavaglio – 8 Marzo 2022]

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