LO CHEF GIUDIZIARIO PROPORRÀ UN MENÙ SCRITTO DA ALTRI

di maurizio fumo

Bisogna riconosce a Nordio Carlo (ministro) almeno un pregio: dice quel che pensa (anche se, non sempre, pensa alle conseguenze di quel che dice). La concezione del PM quale “monopolista” dell’azione penale, non è un lapsus; è, viceversa, una significativa indicazione di come il Nostro vorrebbe ricostruire i meccanismi processuali, partendo – ovviamente – dalla separazione delle carriere. Di tale separazione, in realtà, non vi è alcuna necessità, posto che, attualmente, chi vuole fare “il salto” dalla Requirente alla Giudicante (più raro è il caso contrario) deve cambiare distretto di Corte d’appello. E, se nella regione nella quale ha esercitato la precedente funzione, vi sono più distretti (es. Lombardia, Campania, Sicilia), deve comunque andare in un distretto di una regione diversa. Non basta: può fare ciò solo quattro volte nel corso della sua carriera (quattro regioni!), dopo essere stato almeno cinque anni in ciascuna funzione (5 x 4 = 20); inoltre deve essere selezionato in base a una “procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente, ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del Consiglio Giudiziario” Così prescrive l’art. 13, comma 3, del Decreto legislativo 160/2006 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150).

Tanto per la precisione!

Non stupisce quindi che tali “passaggi” siano – ormai da anni – statisticamente insignificanti.

Dunque perché insistere ossessivamente su questa separazione che, al più, potrebbe sembrare una vacua operazione di maquillage? Oltretutto gli ultimi episodi di cronaca sembrano sfatare, ancora una volta, la favola del giudice “appiattito” sulle richieste del PM.

Ebbene, cerchiamo di non essere ingenui: la separazione delle carriere non è fine a se stessa; è viceversa il primo passo di un – non lunghissimo – iter che, attraverso modifiche legislative, anche costituzionali, deve profondamente sconvolgere gli equilibri nel mondo giudiziario e, di riflesso, gli equilibri tra poteri dello Stato.

Il tutto è riassumibile nello schema in calce al presente scritto, che, tuttavia, merita qualche nota di commento.

Quando i fautori della separazione giurano che non vogliono subordinare il PM (una volta separato) al potere esecutivo, dicono la verità. Il fatto è che non vi è alcun bisogno di tale (formale) subordinazione, basta seguire un accorto percorso di riforme che porti il PM (monopolista) ad essere de facto non indipendente, ma molto dipendente, anzi: un dipendente.

E infatti: la separazione delle carriere comporta (lo hanno detto) la creazione di un CSM “dedicato” ai soli pubblici ministeri. Dovendo mettere mano alla sua composizione, si potrà “correggere” quella che viene vista -da una certa parte politica – come una stortura: la prevalenza (numerica) dei rappresentati dei magistrati rispetto ai componenti espressi dal Parlamento. Già che siamo in tema di riforme costituzionali, perché non dare una sforbiciata al principio della obbligatorietà della azione penale, conservandola per i reati “di sangue” e di mafia, ma eliminandola per gli altri, magari per i reati contro la pubblica amministrazione. Le ventilate abolizioni dell’abuso d’ufficio (art. 323 codice penale) e del traffico di influenze (art. 346 bis codice penale) sono due indicatori abbastanza sintomatici. Ora: un PM che esercita discrezionalmente l’azione penale ha bisogno di un capo con pieni poteri, il quale deve poi rispondere a qualcuno delle scelte fatte. Conseguentemente sarà il Parlamento (oggi teoricamente è già così) o, addirittura, il Governo, a dettare l’ordine di priorità dei reati da perseguire. Per queste due “riforme” (gerarchizzazione delle Procure ed eterogenesi dell’ ordine di priorità), una volta manomessa la Costituzione, si potrà procedere con legge ordinaria. E se il PM può decidere discrezionalmente per quali reati procedere e per quali voltarsi dall’altra parte, deve poter anche essere padrone assoluto dell’archiviazione, senza intervento del giudice. Ed ecco il monopolio! Ma se non deve rispondere al giudice, anche in questo caso, a qualcuno dovrà pur rendere conto.

E infine questo PM, monopolista condizionato (e un po’ teleguidato), deve essere ridimensionato anche sul fronte delle indagini e del processo. Un PM “avvocato dell’Accusa” (espressione che è molto piaciuta, in questa vita, a Silvio Berlusconi) è sostanzialmente un soggetto processuale chiamato a difendere l’operato delle Forze di polizia, non più un appartenete all’Ordine giudiziario che dirige quelle forze, ne orienta e ne coordina le indagini; meno che mai è un magistrato che ricerca, anche autonomamente, la prova. Il PM vagheggiato da Nordio (ministro) è un impiegato che riceve “le carte” dagli inquirenti polizieschi, non più da lui dipendenti funzionalmente, ma dipendenti – chi l’avrebbe detto? – dal ministro dell’interno (Polizia), della difesa (Carabinieri) o delle finanze (Guardia di Finanza), cioè dal potere esecutivo.

Ebbene non è certo un caso che in Polonia e Ungheria la svolta autoritaria ha avuto come snodo essenziale il ridimensionamento (espressione eufemistica) della indipendenza della magistratura.

Si potrebbe però dire che, se anche lo schema qui sotto riportato dovesse trovare attuazione, il giudice (nel senso del “giudicante” ormai separato) rimarrebbe comunque indipendente. Ma è facile rispondere che il giudice può anche conservare la sua indipendenza (così si salva la faccia e ci si continua a spacciare per uno stato di diritto), ma potrà esercitare questa sua indipendenza di giudizio solo per quei reati e quei casi che il pubblico ministero, con il beneplacito dei suoi soggetti “di riferimento”, avrà preventivamente e oculatamente selezionato. Insomma, un po’ come al ristorante: si può scegliere tra vari piatti del menù, ma il menù lo ha deciso lo chef (con il beneplacito del padrone).

A) Separazione delle carriere
B) Composizione di un CSM per i PM con forte presenza politica
C) Parere condizionante del ministro per la nomina del capo degli uffici di Procura
D) Gerarchizzazione dell’ufficio del PM
E) Limitazione della obbligatorietà dell’azione penale. Vige solo con riferimento ad alcuni reati
F) Priorità nella persecuzione dei reati stabilita dal Parlamento (o dal Governo)
G) Ampliamento dei casi in cui occorre l’autorizzazione politica per la promozione dell’azione penale e/o per proporre appello contro una sentenza di assoluzione (attualmente artt. 8, 9, 10 c.p.)
H) Archiviazione disposta dal PM, oppure abolizione dell’imputazione coatta (il GIP può solo disporre ulteriori indagini). PM monopolista
I) Il PM non fa, né dirige le indagini che sono riservate ai corpi di polizia. Il PM decide se archiviare o disporre rinvio a giudizio;il PM avvocato dell’accusa: difende l’operato della polizia nel corso del procedimento
J) Ripristino dell’autorizzazione a procedere contro parlamentari (oltre ai membri del governo e agli esponenti regionali)
 

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