Archivi categoria: astrolabio

Una strada per Berlusconi?

di vittorio coletti
Si possono capire quelli di Portofino. Desiderano intitolare le loro strade ai paperoni del mondo, in segno di gratitudine per il contributo che hanno dato alla crescita del valore immobiliare delle loro case. Basta che siano morti da almeno dieci anni e possono offrigli il nome di un caruggio, memori delle loro palanche. Ma ha fatto male il prefetto di Genova a concedere loro di intitolare una strada a Silvio Berlusconi, morto troppo fresco per salire agli onori toponomastici, visto che la legge non consente titolazioni di vie e luoghi pubblici a chi non è morto da almeno dieci anni, salvo deroga del prefetto ”per casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano benemeritato della nazione” (legge 1188 del 1927). E qui sta il punto. Berlusconi ha “ben meritato della nazione” (non, si badi, di Portofino)? Alcuni milioni di italiani, che sono sicuro di rappresentare, ne dubitano e sono inclini a pensare che il Defunto abbia fatto più male che bene al nostro Paese, specie se si considera il bene che poteva fargli e che invece non gli ha fatto. Questi italiani hanno disapprovato le sue scelte politiche, hanno detestato il suo stile, lo sdoganamento della destra fascistoide, il fastidio per quella davvero liberale, l’abbassamento brutale del linguaggio politico.

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QUEL RAMO DI COMO IN MANO ALLA MAFIA E ALLA BUROCRAZIA

di tebaldo di navarra

La notizia che Clooney vende la sua villa a Laglio sul Lago di Como potrebbe essere confinata nel pettegolezzo dei rotocalchi. Invece, per  gli oriundi e soprattutto per gli stranieri che hanno la seconda casa in Italia, è una cosa seria. Burocrazia e fisco non solo sono esosi ma non sempre chiari fino ad arrivare al paradosso  di Roberto Benigni e Massimo Troisi che alla fine della scena mandano la parolaccia liberatoria al gabelliere. L’Italia dovrebbe avere  – da Paese della Unione europea – un livello di civiltà nelle relazioni umane in generale dando servizi pubblici e chiedendo una equa contropartita agli utenti. Invece non è così. La previdenza e il servizio sanitario pubblico  sono a dei livelli così bassi che il contribuente dovrebbe chiedere molti soldi indietro delle tasse pagate. George Clooney è un noto attore che ha valorizzato il turismo nell’area del Lago di Como dove l’ambiente e la bellezza creano una cornice di sogno. Eppure  non c’è corrispondenza  tra il bello della natura e il brutto della cosa pubblica a prescindere dai colori politici che si alternano nelle amministrazioni locali e al governo.

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LO CHEF GIUDIZIARIO PROPORRÀ UN MENÙ SCRITTO DA ALTRI

di maurizio fumo

Bisogna riconosce a Nordio Carlo (ministro) almeno un pregio: dice quel che pensa (anche se, non sempre, pensa alle conseguenze di quel che dice). La concezione del PM quale “monopolista” dell’azione penale, non è un lapsus; è, viceversa, una significativa indicazione di come il Nostro vorrebbe ricostruire i meccanismi processuali, partendo – ovviamente – dalla separazione delle carriere. Di tale separazione, in realtà, non vi è alcuna necessità, posto che, attualmente, chi vuole fare “il salto” dalla Requirente alla Giudicante (più raro è il caso contrario) deve cambiare distretto di Corte d’appello. E, se nella regione nella quale ha esercitato la precedente funzione, vi sono più distretti (es. Lombardia, Campania, Sicilia), deve comunque andare in un distretto di una regione diversa. Non basta: può fare ciò solo quattro volte nel corso della sua carriera (quattro regioni!), dopo essere stato almeno cinque anni in ciascuna funzione (5 x 4 = 20); inoltre deve essere selezionato in base a una “procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente, ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del Consiglio Giudiziario” Così prescrive l’art. 13, comma 3, del Decreto legislativo 160/2006 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150).

Tanto per la precisione!

Non stupisce quindi che tali “passaggi” siano – ormai da anni – statisticamente insignificanti.

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IL MONOPOLIO DELLA GIUSTIZIA

di maurizio fumo

  1. A) “Il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro 10 giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione: entro due giorni dalla formulazione della imputazione, il giudice fissa, con decreto, l’udienza preliminare”.
  2. B) “Il P.M. è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede”.

La prima frase (A) riproduce il quinto comma dell’art. 409 del codice di procedura penale (tutt’ora in vigore, non inventato dal GIP di Roma); la seconda (B) proviene da “fonti” del Ministero della Giustizia, palazzo nel quale (solo ora, evidentemente) si sono accorti che questo controllo del giudice sul P.M. (“monopolista”) non va bene.

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Cospito e la banalità del male

di angelo perrone

 Tra gli effetti collaterali della vicenda di Alfredo Cospito, autore di una protesta estrema contro il regime di carcere duro, c’è anche la rinascita della galassia anarchica. Un evento inaspettato rivelatosi grave. La vicenda del detenuto ha fatto riemergere, in certi ambienti, passioni sopite, pulsioni eversive, eccitazioni protestatarie. Ne sono derivati scontri, manifestazioni violente, danneggiamenti.

Poi questa storia ha sollecitato infinite discussioni su temi cruciali: funzione della pena e trattamento dei detenuti, moralità e disinteresse dei gesti pubblici, valutazione dei ricatti contro lo Stato. E ancora altro. Il caso, di difficile decifrazione, non deve essere semplificato. È stato sicuramente affrontato in ritardo e in maniera inadeguata. Tuttora mancano idee, oltre che soluzioni.

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IL LIMBO DELLA POLITICA

di marco cianca

«Per la prima volta non sono andato a votare. Ma quello che mi sgomenta di più è che non mi importa niente, nemmeno dei risultati». A parlare così è un convinto cultore della democrazia, talmente attaccato ai suoi valori fondanti che la notte prima del referendum voluto da Matteo Renzi dormì con il testo della Costituzione sotto il cuscino paventando insani stravolgimenti. Adesso constata con tristezza, quasi sorpreso, di essere anch’egli caduto nel gran calderone dell’astensionismo. Il limbo della politica.

«Or discendiamo qua giù nel cieco mondo». Non c’è impeto, non c’è calore, solo sospiri «ne l’aura che trema». Ecco, tutto si può dire delle elezioni nel Lazio e in Lombardia, sulle quali gli analisti già si stanno sbizzarrendo, tranne che ci sia passione, intesa non come sofferenza (questa, almeno a sinistra, abbonda), ma nel significato di tensione emotiva. Tali non possono certo essere definiti il livore e il senso di rivalsa che trasudano a destra.

Effetto Fedez &C: sinistra asfaltata, titola “Il Giornale”. Canta la destra”, fa eco “Libero”, precisando nel sommario «La sinistra s’aggrappa a Fedez, Egonu e Zan e finisce asfaltata. Doppia sberla». «La sinistra vince solo a Sanremo», gongola “La Verità”. «C’è solo il centrodestra», esulta “Il Tempo”, aggiungendo: «A pochi giorni dalle primarie altra batosta per i Democratici». «Se la sono presa in quel posto», chiosa in strada una verace sorella d’Italia.

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Calenda: da azionista a nazionalista

di Pier Virgilio Dastoli

Anche Carlo Calenda avrebbe deciso di adagiarsi sull’epifora razzista di Giorgia Meloni scegliendo di passare dall’azione…alla nazione cioè quell’inesistente spazio territoriale occupato da una sola etnia.
Al disallineamento antieuropeo di Fratelli D’Italia (e della Lega) schizofrenicamene alleata della Polonia antirussa, dell’Ungheria putiniana e della Svezia che chiude la porta alla ricollocazione dei migranti si aggiungerebbe ora il disallineamento europeo di Azione e forse del cosiddetto Terzo Polo (che terzo non è) se Italia Viva deciderà di adagiarsi sul preannunciato neonazionalismo di Carlo Calenda.
La prima conseguenza di questo disallineamento sarà la salita sul carro di Meloni e Weber alle elezioni europee nel 2024.
Poiché le alleanze europee si giocheranno sulla scelta del candidato o della candidata alla presidenza della Commissione europea vedremo se Emmanuel Macron sceglierà di lavorare per una coalizione innovatrice con i socialdemocratici e i Verdi guidando i liberali verso una posizione coerente con la cultura cosmopolita di un’Europa sovrana o se deciderà di tradire la storia del liberalismo europeo unendosi ai sovranisti nazionali.
Si tratta di una scelta drammatica che non riguarderà solo i liberali ma certamente i popolari divisi fra il conservatorismo della coppia Weber-Meloni e l’universalismo delle radici di Adenauer, Schuman e De Gasperi ed anche i socialdemocratici spaccati fra il sovranismo del laburismo del Nord e l’Internazionalismo solidale dell’Europa mediterranea.
Sarebbe necessario e urgente riflettere su una coalizione di idee e di programmi al di là dei recinti chiusi dei partiti europei scegliendo con coraggio e pragmatismo la via del federalismo europeo.

LA CATASTROFE

di vincenzo ferrari

Poche riflessioni a caldo sulla catastrofe.

  1. Conte non voleva far cadere Draghi, ma dissociarsi da lui su alcuni punti per mantenere le mani libere nelle elezioni del marzo 2023, che non voleva affrontare in condizione di vassallaggio nei confronti del Pd. Non ha previsto che Draghi, il quale aveva ottenuto la fiducia nel primo voto, si sarebbe dimesso. Il tutto si è trasformato in un assist alle destre che nel secondo voto hanno provocato la caduta del governo. Conte ha sbagliato tattica e Draghi, per conto suo, non avrebbe dovuto dimettersi. Due errori gravissimi.

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COME CONTRASTARE LE SCHILIRÒ DI TURNO (Una modesta proposta)


di elio truzzolillo

Non potrò mai scrivere abbastanza della totale inadeguatezza dei nostri giornalisti/conduttori colpevoli di non smentire mai le sciocchezze dei novax e dei no green pass.
Io ribadisco la mia opinione: i cialtroni (scientificamente parlando) o non si invitano o, se si invitano, bisogna essere preparati per smentirne le oggettive falsità. Perché se una falsità non viene smentita poi il telespettatore può legittimamente credere che corrisponda al vero.
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TEMPI INTERESSANTI

di gian giacomo migone

Proviamo a chiederci le ragioni dei pochi che hanno votato, determinando la vittoria dei candidati  del PD, con relativi alleati, nelle principali città italiane. Potrebbe essere un modo per comprendere quelle dei non votanti il cui numero crescente viene giustamente indicato come sintomo di cattiva salute della nostra democrazia. Potrebbe anche scaturirne qualche indicazione affinché i pur comprensibili festeggiamenti a sinistra non risultino effimeri.

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QUANDO IL “POLITICAMENTE CORRETTO” DIVENTA FANATICO

LETTERA DI 150 INTELLETTUALI SU Harper’s

Lettera aperta sulla giustizia e la libertà di dibattito
Le nostre istituzioni culturali stanno affrontando un momento difficile. Le imponenti proteste per la giustizia razziale e sociale stanno portando a sacrosante richieste di riforma della polizia, insieme ad appelli più generali per una maggiore uguaglianza e inclusione nella nostra società, anche e soprattutto nell’istruzione superiore, nel giornalismo, nella filantropia e nelle arti. Ma questo indispensabile redde rationem ha avuto anche l’effetto di intensificare un insieme di atteggiamenti morali e impegni politici che tendono a indebolire le nostre norme di dibattito aperto e tolleranza delle differenze e a favorire il conformismo ideologico.

Applaudiamo la prima di queste due tendenze, ma stigmatizziamo con forza la seconda. Le forze dell’illiberalismo stanno crescendo in tutto il mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una reale minaccia per la democrazia. Ma non bisogna lasciare che la resistenza si irrigidisca nel dogma o nella coercizione, che già adesso vengono strumentalizzati dai demagoghi di destra. L’inclusione democratica che vogliamo potrà essere realizzata solo se ci schiereremo in modo chiaro contro il clima di intolleranza che si è creato da tutti i lati.
 

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“MAFIA CAPITALE” NON ESISTE MA ORA, PER FAVORE TOGLIETECI I MAFIOSI DALLA CAPITALE

di  andrea costa, Presidente Comitato Roma 150

La Suprema Corte si è definitivamente pronunciata. Nello specifico dei casi esaminati, la banda Buzzi-Carminati non configura il 416 bis, e dunque non esiste la “quinta Mafia” italiana, caldeggiata soprattutto dalla grande stampa del Nord, ansiosa di “antropologizzare“ (dopo averla anche storicizzata) la sua atavica idiosincrasia per la Capitale e per i romani.
Si badi bene: NESSUNO SI SOGNI DI NEGARE L’ESISTENZA DELLE MAFIE A ROMA. A ROMA COME A MILANO. Città, parliamo del capoluogo meneghino, che considerata l’esigua estensione territoriale e l’elevata densità desterebbe, e non da oggi, ben più gravi allarmi. Di mafie, dicevamo, le cronache giudiziarie sono piene. Da quelle nostrane (mafia siciliana, ndrangheta, camorra) a quelle straniere cinesi, albanesi e, finalmente riconosciute, quelle nigeriana e Sinti. Mafie d‘importazione, orgogliose della loro specificità, riconoscibili, capaci di condizionare persino tipicità culinarie romane (ma da quando avete mai sentito i supplì alla N’duja?). Mafie la cui ”solare” esistenza nella città, anche in luoghi prossimi al potere, ci fa chiedere molte volte, scuorati, che lavoro svolga esattamente quella Direzione Investigativa Antimafia che ha la sua sede proprio nel centro di Roma, in Via Giulia.

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