Bergoglio, l’uva ed il parlamento. Note su sinodalità e democrazie

di francesca palazzi arduini

Che la Chiesa cattolica costituisca un robusto “antistato” d’impronta monarchica è risaputo. Negli ultimi decenni, soprattutto dal Concilio Vaticano II, e dell’istituzione dei Sinodi (1965) esiste però una tendenza al coinvolgimento del gregge, in quanto “popolo di Dio” nell’indirizzamento generale. L’esigenza è esplicita, soprattutto con questo papa, (che ha riformato la procedura sinodale nel 2018), un papa che tende a voler ribadire il ruolo sociale della Chiesa e tiene quindi ad un aggiornamento dei modi di governo, decentralizzando alcune sue prerogative, ad esempio nel governo delle chiese locali e nei processi di trasparenza amministrativa.
Non si tratta di fascino indiscreto della democrazia, di voler prendere i voti in senso prosaico, perché il metodo politico è sempre quello del governo su base divina e non sul consenso, eppure è indubbio che sempre più la Chiesa, a suo modo, salta all’uva dei sistemi parlamentari.
“Il Sinodo non è un Parlamento” ammonisce il volpesco Bergoglio nel suo discorso inaugurale ai lavori del sedicesimo Sinodo[1]:

certo, lo sapevamo. Eppure che quella “scintilla di divino” presente nel gregge possa “consigliare” il pastore, pare ormai un orizzonte reale, come lo è nella pastorizia non metaforica.
Non c’è unanimità su molti temi nella Chiesa ma semmai obbedienza e condiscendenza, e se non vogliamo teologicamente dissertare sull’ipotesi che molti dissidi siano ispirati da forze terrene, botteghe oscure e non divine, constatiamo che quella unanimità ispirata dallo “spirito santo”, il Ministero battesimale in ogni credente si esprime in maniera differente negli stessi vescovi, anche fuori dagli occulta cordis, su tanti temi. Dalla divisione dei poteri, al rapporto con le istituzioni “civili”. … lo stesso clero si è espresso in maniera diversa nelle diatribe giocate tra le tragiche dimissioni di Ratzinger e l’ascesa di Bergoglio, tanto da prefigurare uno scisma. Quest’ultimo si impone dunque l’obiettivo di lasciare il diabolico divisivo litigio al passato e di improntare la Chiesa, se confronto ci deve essere, a modelli simili a quelli di una moderna assemblea.
Non chiamiamolo parlamento, non solo per questione teologica ma tecnica perché se pur somigliante, si tratta pur sempre di una convocazione periodica, a discrezione del papa. Per ora.
Nelle domande preparatorie dello “Strumento di lavoro”[2] sinodale, ci si chiede comunque:
“Che cosa possiamo apprendere dalla società e della cultura in termini di gestione di processi partecipativi? Quali modelli possono invece rivelarsi un ostacolo per la costruzione di una Chiesa più sinodale?”.
Una domanda che può far divertire, vista la drammatica crisi delle democrazie che, anzi, sembra voler spingere tanti intellettuali, per primi i marxisti-leninisti, tra le braccia della monarchia illuminata di Bergoglio. E il papa ben volentieri li accoglie, se convertiti, a ciliegina del suo sogno di un governo mondiale “caritatevole”, per il quale ormai il Vaticano pare essere diventato un manipolo di diplomatici con l’ingenua Mission di annunciare il Vangelo ai peggiori autocrati in guerra.
Vediamo anche il sottotesto dell’invito ad essere presente come “invitato speciale” (su dieci invitati in tutto)[3] ai lavori sinodali per Luca Casarini, un tempo pasionario dell’assalto alla Zona Rossa al G8 di Genova, ora impegnato in Mediterranea Saving Humans. Anche in questo caso il primato maschile conta, se Casarini occupa una poltrona, come semplice delegato di una Ong non cattolica, al pari della rappresentante di Azione Cattolica, Eva Fernàndez Mateo, o del Movimento dei Focolari, Margaret Carram.
Che dire? Dobbiamo criticare Bergoglio per la sua innata socialità? Certo che no, ma neppure farci buttar incenso negli occhi e dimenticare quella che, emulando il linguaggio pontificio, potremmo definire una “sana” tendenza alla laicità.
Leggiamo quindi nel documento sinodale:
“Come devono cambiare le strutture canoniche e le procedure pastorali per favorire corresponsabilità e trasparenza? Le strutture di cui disponiamo sono adeguate a garantire la partecipazione o ne servono di nuove?”.[4]
E ci chiediamo: a cosa potrebbe somigliare la struttura sinodale, se la raffrontiamo alle più grandi strutture congressuali del mondo?
Proviamo a passare in rassegna queste istituzioni, confrontandole col Sinodo, prendendo come metro di misura due parametri, il numero di persone rappresentate/bili per delegato, e la presenza delle donne. Ovviamente prendiamo in esame solo gli organismi nei quali c’è la possibilità per ogni delegato/a di esprimersi concretamente col voto, in un processo deliberativo.
Annotiamo, intanto, che, seppure considerata quella papale e dei vescovi una “autorità al servizio dell’unità”, il Sinodo è comunque convocato, diretto e deciso dal papa. Egli stesso elegge una parte dei membri votanti, in questo Sinodo ne ha designato il 14%. Il documento finale, poi, è redatto da una segreteria che si assume la capacità ed il potere di redigerlo, un po’ come fa qualsiasi gruppo di lavoro diviso in Tavoli tematici, con la designazione di incaricati alla stesura.
Non è facile governare questo bailamme verso una meta, essendo presenti 365 delegati votanti, già provenienti da una prima fase che il documento sinodale descrive:
“La prima fase del percorso sinodale attua il movimento dal particolare all’universale, con la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese locali e i successivi atti di discernimento nelle Strutture Gerarchiche Orientali e nelle Conferenze Episcopali, prima, e nelle Assemblee continentali”, chiedendosi poi come diamine “…assicurarsi che la consultazione raccolga veramente la manifestazione del senso della fede del Popolo di Dio che vive in una determinata Chiesa”[5] .
Se dobbiamo pensare alla rappresentanza, ed alla presenza delle donne in questo consesso (sic), potremmo innanzitutto raffrontare la percentuale di donne presenti nel Parlamento dell’Unione Europea con quelle votanti al Sinodo: nel Parlamento Europeo su 705 deputati circa il 39 per cento sono donne. Nel Sinodo nemmeno il 7%.
Ma non scoraggiamoci! Bergoglio promette da anni maggiore attenzione al “carisma femminile”.
E poi, vogliamo dirlo, in USA (il famoso baluardo della democrazia come possiamo vedere in data odierna), su un totale di 535 deputati votanti solo il 23 per cento sono donne… e il Parlamento USA funziona dal 1789…mentre il Sinodo solo dal 1965. Ma il papato non ammette scuse, vuoi mica possedere un Verbo, o una sembianza di Parlamento, che non sia superiore ad ogni altro sia per datazione che per esperienza (come del resto sull’ecologia, sul lavoro, sulla giustizia sociale ecc.)?
Purtroppo anche l’India con un Parlamento di ben 790 deputati, vede una presenza femminile del 33 per cento, la Sarasvati, Kali e le sue amiche battono Maria di una larga percentuale, eppure si tratta di un paese estremamente difficile per le donne.
Non volendo essere un Parlamento, il volpesco Sinodo potrebbe allora configurarsi come un congresso di delegati guidati da un ideale unico, affine al santo spirito?
Proviamo allora a raffrontare la composizione del Sinodo con l’Assemblea nazionale del popolo cinese. Si tratta di un parlamento i cui delegati provengono dal Partito comunista cinese, e di una struttura politica fortemente caratterizzata da paternalismo e meritocrazia, la più somigliante quindi ad un congresso di ispirazione patriarcale e divina.
Ma anche in questo troviamo una percentuale non irrisoria di donne delegate con diritto di voto, il 24 per cento circa! Che dire poi della rappresentatività di questa monolitica istituzione: i deputati dell’Assemblea sono ben 2980. Voi direte: “Certo! La popolazione è di quasi un miliardo e mezzo di persone”, beh, dati alla mano possiamo dire che i cinesi hanno un “delegato” (si fa per dire) ogni 474mila abitanti, più degli Usa che ne hanno circa uno ogni 621mila. Molto meno per la Chiesa cattolica, la quale vanta circa un miliardo e 370mila credenti ma al Sinodo, parrocchia più parrocchia meno, avrebbe quindi un delegato/a ogni 3 milioni e mezzo abbondanti di fedeli.
Ma vogliamo stare a fare sottigliezze aritmetiche sulla questione della rappresentanza? Non ha forse ribadito anche Draghi che l’unanimità, che consente rapidità di decisione e minor dispendio di spiegazioni, è un moderno (leggi efficiente) strumento di governo? Non ha forse lo spirito terreno del Covid ispirato il sì al referendum del 2020, per la diminuzione di un terzo del numero dei nostri (si fa per dire) parlamentari? Il Vaticano sembra in questo più un ispiratore che un ispirato.
Tornando all’ annosa questione della partecipazione delle donne, come si chiede il documento sinodale:
“Quali passi concreti può compiere la Chiesa per rinnovare e riformare le proprie procedure, dispositivi istituzionali e strutture in modo da permettere un maggiore riconoscimento e partecipazione delle donne, anche al governo e a tutte le fasi dei processi decisionali, inclusa la presa di decisioni in uno spirito di comunione e in vista della missione?”[6]
Non è forse vero che nella maggior parte dei casi nel mondo il governo femminile viene concesso alle donne quando la patata (sic) è troppo bollente da pelare, pensiamo al volto profetico di Elly Schlein ed alla crisi irrevocabile del PD. Pensiamo al passato, con Rosy Bindi martire per la sanità pubblica.
Possiamo quindi prevedere che pari responsabilità femminile sarà concessa, sia in Cina che nel Sinodo, quando la situazione apocalittica sarà ben più critica, e purché sia “in spirito di comunione” coi dogmi, come insegnano i Fratelli d’Italia?

[1] XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ottobre 2023

[2] Instrumentum Laboris, XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Ottobre 2023, (pag. 54).

[3] XVI Assemblea Generale Ordinaria, Elenco dei partecipanti secondo il titolo di partecipazione, 21 settembre 2023.

[4] Ibidem, pag.58.

[5] Ibidem, pag.62.

[6] Ibidem, pag.46.

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