di giovanni perazzoli
La vicenda della ragazza uccisa dal suo ex fidanzato ha dato la stura alla solita sarabanda di generalizzazioni e strumentalizzazioni. Per l’intellettuale di destra è l’occasione per recuperare, ancora una volta, il ritornello sulla perdita dei Valori Veri nella società occidentale, decadente e tristemente individualista. Fino al grottesco: “c’è troppa cattiveria nelle donne, al giorno d’oggi”. L’intellettuale di sinistra è meno torvo; per lui è l’occasione per passare a un nuovo linguaggio roboante fatto, adesso, di patriarcato, violenza di genere, maschilità tossica (magari senza capire neanche di che cosa si parla), e cercare così di accreditarsi con un movimento che sembra che tiri. Naturalmente, il privato è politico e non si parli di disagio psicologico: servono la rivoluzione e la vera democrazia.
Bisognerà parlare un giorno della disinvoltura con la quale ci si appropria di un sistema di concetti e parole (e.g., il patriarcato) o di narrative (e.g., la crisi dei valori) che ci danno l’impressione di spiegare di colpo il mondo. Era ieri quando spiegavano tutto l’inconscio, la repressione del super-io, l’alienazione ecc. Il metodo di prendere un fatto di cronaca e inquadrarlo dentro una cornice già pronta non ha niente di scientifico. Da dove verrà? Certo non da Karl Popper. Mi fa pensare a quelle prediche di parrocchia che utilizzano un’ondata di emotività per inverare il catechismo. Il “discorso pubblico” è cinico, lo sapevamo. La generalizzazione, del resto, è la macchina della politica. Ci manca solo che si dibatta su “se i neri hanno la musica nel sangue”. Ma ci arriveremo.
In questo contesto di autoreferenzialità, ad ognuno interessa solo il discorso terra terra che ripete da decenni: la sua critica alla destra, la sua critica alla sinistra. A nessuno dei tanti che, senza alcuna competenza, pontifica sulle vere ragioni del femminicidio, interessa ovviamente un bel niente dei femminicidi. Peraltro, trovo anche insopportabile che si rivolgano alla ragazza assassinata chiamandola per nome, come fosse una persona di famiglia.
Per capire il problema del femminicidio occorrerebbe, come ha scritto un nostro amico, tanta ricerca empirica. Di più non è onesto dire, o meglio non è onesto farlo con la sicumera di chi ha solo lo scopo di affermare una propria metafisica.
È invece doveroso esprimere lo sconcerto per il clima da caccia alle streghe, per gli autodafé di uomini che hanno scoperto, di colpo, in interiore homine o in interiore viro, si vorrebbe dire, la luce della verità che li rivelava a loro stessi: siamo degli assassini potenziali. Sono ovviamente delle autoaccuse più finte delle ciglia di una parrucchiera; accuse che sarebbero inquietanti, se non facessero parte della farsa. Che però resta inquietante, perché fa strame dei valori liberali. Servirà forse ripetere che la responsabilità è sempre individuale, che le responsabilità collettive o di genere non esistono, che i valori non sono crollati, che il “maschio” non è più in crisi di come è sempre stato (a occhio).
La “violenza di genere”, nel senso accolto dalla Nazioni Unite (quello del genitivo oggettivo), è un fatto. Le femministe francesi hanno lanciato un appello, che ha riscontrato un certo successo, per considerare il massacro e lo stupro di donne il 7 ottobre in Israele un femminicidio di massa. Più problematico è intendere “violenza di genere” nel senso del genitivo soggettivo: la violenza perpetrata da un genere. A questo punto verrebbe da dire dell’”uomo sulla donna”. Però un politico inglese si è scusato per avere detto che una donna non può avere il pene. Se l’assunto non è biologico, occorre notare che, con la violenza di genere, si assume che esista però una violenza di genere che è una prerogativa degli uomini (con pene, per essere chiari). E che il femminicidio riguarda le donne. Comunque sia di questo, la violenza di genere nel senso del genitivo soggettivo suona illiberale, suona come un processo alle intenzioni, suona come la pretesa che un’autorità pubblica sancisca l’esistenza di un “peccato originale” del foro interno, come dicono i giuristi. Da qui tutta la penosa serie degli autodafé di uomini (nel senso banale del termine). Ma anche una volta assunta la violenza di genere nel senso soggettivo del genitivo, resta che non tutti i “maschi” uccidono. Uccidere non è banale. A proposito dell’aggressività, Konrad Lorenz scrisse: se potete passare con la stessa disinvoltura dal tagliare una lattuga, a uccidere una mosca e poi uccidere un gatto, siete pregati di suicidarvi.
Per poter scrivere qualcosa e stare sul pezzo, molti commentatori hanno scaricato nei loro articoli una valanga di luoghi comuni sull’uomo burbero, sull’uomo autoritario, sull’uomo molestatore che importuna le signore. In questo modo hanno dato a credere che non ci sia soluzione di continuità tra l’ottusità di alcuni maschietti e il delitto di sangue. Certo il clima lo consente. Un regista belga ha messo in scena un Don Giovanni di Mozart spiegando che la parola italiana “dissoluto” che compare nel sottotitolo dell’opera (“Il dissoluto punito”) significherebbe “criminale”.
Allora, no, non è vero che tutti i neri hanno la musica nel sangue. È vero però che esiste un fattore culturale di qualche tipo: qualcosa vorrà dire il fatto che in Lituania, in Germania, in Francia, in Olanda, i femminicidi sono molti di più che in Italia o in Grecia. Non ho spiegazioni. Per spiegare questi dati è stato ipotizzato che, paradossalmente, la società patriarcale svolga di una funzione di “protezione” delle donne, naturalmente incarcerandole in una rete di controlli e di costrizioni. Da questa ipotesi verrebbe che la differenza nel numero dei femminicidi tra diverse nazioni si trovi nella maggiore libertà delle donne di dire no. Non è un’ipotesi che convince fino in fondo. Comunque, fiutato il pericolo (non sia mai che le società liberali siano meno patriarcali delle altre), la risposta (collocata nella sinistra più ideologica) è stata quella di abbozzare un’idea della società patriarcale mistica e ineffabile, che è dovunque e in ogni luogo – e anzi, si è detto, abbiamo voluto sostenere che la società patriarcale fosse solo quella islamica, ma in realtà assume molte forme. Anche qui torna, però, l’impressione che, come era per “imperialismo”, “neoliberismo”, “borghesia”, si sposi un concetto con entusiasmo per farlo valere, senza alcun controllo analitico, per spiegare tutto.