di stefano feltri
La sconfitta di Kamala Harris e il ritorno di Donald Trump al potere segnano l’inizio di una fase buia. Anche e soprattutto per l’Europa
La vittoria ormai certa di Donald Trump è un problema, per gli Stati Uniti, per la democrazia liberale, per l’Unione europea, perfino per gli elettori e le elettrici che l’hanno sostenuto. E non ci sono soluzioni facili. Forse non ci sono proprio soluzioni, bisogna soltanto sopravvivere quattro anni o quanto durerà la sua presidenza.
Sono reduce da una lunga notte a seguire i risultati in tv – a Porta a Porta avevo accanto il gongolante Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia – quindi per ora mi limito a poche considerazioni a caldo.
Kamala Harris
Il suo ingresso nella campagna elettorale ha ridotto il differenziale tra Trump e Joe Biden, che sembrava destinato a sicura sconfitta. Ma è sempre stata più debole nei confronti di Trump rispetto sia a Hillary Clinton che Joe Biden a parità di momento di campagna elettorale. Non ha elaborato un messaggio chiaro e convincente, il suo ottimismo era privo di basi solide, il suo personaggio indecifrabile.
Dopo l’entusiasmo iniziale, ha confermato i limiti mostrati come vice presidente: non ha niente da dire e infatti più parlava, più perdeva consenso.
Le colpe di questa sconfitta sono da ripartire così: Barack Obama, Nancy Pelosi, il New York Times, George Clooney e tutta la “macchina” Democratica ha nascosto le fragilità di Biden quando c’era ancora tempo di costruire un’alternativa, poi lo hanno silurato dopo il dibattito di fine giugno, troppo tardi, troppo violentemente. Poi Biden ha indicato Harris come erede, chiudendo a ogni ipotesi di primarie.
Risultato: la candidata imposta dall’alto rispondeva alle esigenze del vertice Democratico, non a quelle degli elettori.
Democrazia
Donald Trump ha già tentato un golpe nel 2021, ha lavorato per anni per essere in grado di manipolare i risultati sgraditi (soprattutto in Georgia).
Non ce n’è stato bisogno, ma Trump non è un leader democratico e non ha un programma compatibile con la democrazia come l’abbiamo conosciuta. Sembra che sarà in grado di agire con pochissimi limiti, questa volta.
Sarà un disastro, soprattutto dopo che la Corte suprema – plasmata dalle nomine trumpiane – ha messo il presidente al riparo da ogni conseguenza penale per le azioni compiute nell’ambito dell’attività di governo (cioè praticamente tutto).
MAGA
Questo secondo successo di Donald Trump, a otto anni dal primo, conferma la trasformazione del Partito Repubblicano in un movimento MAGA, Make America Great Again. Si può sempre sperare che il movimento si esaurisca assieme a Trump, che ha 78 e non può avere altri mandati da presidente una volta terminato il secondo (a meno che non cambi la Costituzione).
Quindi ora bisogna osservare il vice, JD Vance, che si è dimostrato molto meno efficace di Trump come volto e interprete del movimento MAGA, ma ha una solida base ideologica per evolvere il caotico culto trumpiano in un populismo economico nazionalista (e un po’ suprematista bianco) che potrebbe proiettare il trumpismo oltre Trump.
Elon Musk
Con Biden la politica ha cercato di riprendere il controllo del digitale, sottraendo potere alle piattaforme. Musk impersona la vendetta di Big Tech, che compra la Casa Bianca per il suo burattino, o almeno così Musk vede il suo rapporto con Trump.
Le conseguenze saranno rilevanti: Musk ha trasformato uno spazio di discussione, Twitter, in una centrale di propaganda e disinformazione. Cosa potrà fare alle regole sul digitale con un presidente ai suoi ordini, è difficile immaginarlo. La speranza è che litighi presto con Trump.
Destre
La vittoria di Trump sarà interpretata dalle destre autoritarie di tutta Europa come il segnale che quella è la direzione in cui andare, e da quelle moderate come il segnale che è meglio diventare un po’ più radicali.
La destra di Giorgia Meloni ci metterà poco a riallinearsi.
Sentiremo parlare molto di deportazioni di migranti, cancellazione di diritti acquisiti, di supremazia della politica e dell’interesse nazionale su giudici, media, agenzie indipendenti.
Europa
Gira questa narrazione consolatoria che la vittoria di Trump può essere un’opportunità per l’Unione europea, costretta a diventare più autonoma e indipendente dagli Stati Uniti. Non può succedere così facilmente: non ci sono leader in grado di guidare questo processo, l’asse franco-tedesco è bloccato dalle debolezze domestiche di Emmanuel Macron e Olaf Scholz.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen non può avere spirito di iniziativa rilevante in campi che sono di competenza degli Stati, come la difesa. Inoltre, quello che molti trascurano, è che aumentare la spesa militare nell’Ue rischia di significare soltanto aumentare gli acquisti di armamenti dagli Stati Uniti.
Quindi, in pratica, pagheremmo un prezzo più alto per la sicurezza che già oggi gli americani ci garantiscono, ma senza emanciparci.
Ambiente, pace, salute, commercio
Tutto ora è a rischio con un ritorno di Donald Trump alla presidenza. Gli sforzi di tutto il mondo sul clima possono essere annullati da un cambio di rotta – di nuovo – degli Stati Uniti, la guerra in Ucraina può precipitare in una disfatta di Kiev e dunque dell’Ue, senza più supporto americano.
Non oso immaginare cosa possa fare il premier israeliano Benjamin Netanyahu più di quanto non abbia già fatto. E poi sulla salute Trump si affida al no vax squinternato Robert Kennedy Jr, sull’economia ha piani così assurdi che faranno esplodere il debito pubblico e l’inflazione, se realizzati.
Trump questa volta non è soltanto un incompetente al potere, ma un pericoloso incompetente anti-democratico circondato da una élite ancor meno democratica che pensa di usarlo per i propri interessi.
Nel migliore dei casi saranno quattro anni di caos al termine dei quali, forse, ci sarà da ricostruire tutto. Ammesso che qualcosa rimanga. Speriamo che le elezioni di Midterm del 2026 arrivino presto e limitino lo strapotere del presidente.
[Ripreso da “APPUNTI” di Stefano Feltri]