PERCHÉ’ RENZI E’ EVERSIVO

di paolo fai

Se è vero quanto asseriva George Steiner, nell’Introduzione di uno dei suoi libri migliori (ma si potrà mai fare una classifica di qualità tra la produzione scientifica di Steiner?), «La lezione dei maestri», che «le arti e gli atti dell’insegnamento sono, nel senso proprio di questo termine abusato, dialettici», perché «il maestro impara dal discepolo ed è modificato da questa interrelazione in quanto essa diventa, idealmente, un processo di scambio», è anche vero che, senza l’impulso magisteriale, le potenzialità responsive del discepolo rimarrebbero allo stato di latenza.

Che le cose stiano così, ne è prova l’impeccabile intervista che Gustavo Zagrebelsky ha rilasciato a Marco Travaglio per “il Fatto Quotidiano” (martedì 1 maggio 2018, pp. 4-5) sulla situazione politica di questi giorni, sullo stallo istituzionale dovuto alle difficoltà di fare un governo da parte di Di Maio per il veto posto da Renzi a qualsiasi forma di dialogo con i 5Stelle.

Zagrebelsky rivela la sua statura di maestro subito alla prima domanda, quando Travaglio gli chiede se abbia sentito Renzi da Fazio (“Che tempo che fa?”, domenica 29 aprile scorso). L’ex presidente della Corte costituzionale non risponde, ma chiede, a sua volta, a Travaglio se conosca la teoria dei numeri nel diritto costituzionale e nella politica. Il direttore del “Fatto” confessa di ignorarla, ma chiede se c’entri qualcosa «con Renzi che chiude la porta in faccia ai 5Stelle e con lo stallo ormai definitivo della politica italiana». E Zagrebelsky: «C’entra, vedrà. Il numero 1 è quello del principato: uno regna, tutti gli altri obbediscono. Il numero 2 è quello della sovversione e della rissa: se le forze in campo sono solo due e si affrontano come si usa nelle democrazie latine, inclusa la nostra, senza la cultura politica del ‘modello Westminster’ che spesso si invoca da noi, l’una tende a sopraffare l’altra. In Italia, il 2 significa la totale occupazione dello Stato, degli enti pubblici, della Rai, della burocrazia, della sanità, della cultura… Si vive in quello che Tucidide, nella Guerra del Peloponneso, chiamava ‘stasis’, che non è solo lo stallo, è la quiete apparente che precede la tempesta, lo scontro finale dove solo uno dei due resta in vita. Poi c’è il numero 3… [che] è il numero perfetto anche per il pensiero costituzionale: la cifra dell’equilibrio dinamico che garantisce tutti. Se in Parlamento hai tre forze, due potrebbero accordarsi per eliminare la terza, ma poi si ripiomberebbe nel numero 2: la ‘stasis’ e lo scontro. Invece conviene a tutti che esista sempre una terza forza, a garanzia delle altre due, contro l’esplodere del conflitto radicale».

Dunque, Zagrebelsky ha conferito subito spessore e qualità all’intervista, trasferendola dal terreno del dibattito, sovente banalizzante, da talk-show sulle baruffe tra partiti a quello della riflessione politologica svolta da Tucidide sulle cause della ‘guerra civile tra consanguinei’ (così definiva la ‘stasis’ Platone in Repubblica V, 470a-e), che vedeva i democratici opposti agli oligarchici nelle ‘poleis’ greche coinvolte nell’immane conflitto (‘polemos’ Platone definisce, nello stesso passo, “l’inimicizia tra estranei”) che, tra il 431 e il 404 a.C., vide dilaniarsi le due città più importanti della Grecia, la democratica Atene e l’oligarchica Sparta.

Atene come metafora, allora, proprio come Luciano Canfora ha intitolato l’Introduzione al libro dello storico ebreo francese Jules Isaac Gli oligarchi – Saggio di storia parziale, pubblicato due anni fa da Sellerio nella mia traduzione dal francese, a rammentare che gli eventi sociali e politici di quella città costituiscono una ricca miniera cui attingere, per interpretare il presente. Come hanno fatto fior di studiosi del mondo antico del secolo scorso, da Wilamowitz a Schwartz, da Delbrück a Thibaudet, da Croiset a Glotz, da Cohen a Isaac, per istituire più o meno aperte analogie tra gli spasmodici sussulti dell’antica Atene combattuta tra democrazia e oligarchia, specialmente negli anni 415-403 della Guerra peloponnesiaca, e momenti della storia moderna (la Rivoluzione francese) e contemporanea (la caduta della Francia nelle mani di Hitler) caratterizzati da non meno spasmodici sussulti tra democrazia e oligarchia.

Oggi, per nostra fortuna, non siamo in uno stato di nemmeno latente conflittualità armata; tuttavia, quando Zagrebelsky definisce “eversivo l’Aventino di Renzi”, perché “nel sistema proporzionale ci si allea”, ed esorta il padre padrone del Pd alla responsabilità collaborativa con i 5Stelle, lo fa con la lucidità di chi, profondo conoscitore della Storia, sa che quell’accordo serve per evitare “la quiete apparente che precede la tempesta”.

 

 

 

2 commenti su “PERCHÉ’ RENZI E’ EVERSIVO”

  1. Siete tronfi. Vi compiacete della catastrofe imminente salvo chiedere che qualcuno (sempre qualcun altro) intervenga d’urgenza quando questa sta per concretizzarsi.
    Siete indulgenti, per pregiudiziale odio, con chi liberale non è e non fa nulla per nasconderlo.
    Cercate la chimera, trascurate il passo concreto: siete correi della tragedia.
    Un liberale, ovviamente.

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