di antonio caputo
L’illusione delle democrazia diretta e ora la buona idea del referendum propositivo: un cammino reso impervio da un disegno di legge imperfetto da respingere o rifare.
La democrazia non può essere consegnata a malintese e fallaci concezioni di una gestione solo diretta, immediata e/o telematica del rapporto tra governanti e governati o a leadership costruite al di fuori del circuito della rappresentanza democratica.
E anche l’idea tutta difensiva e perdente di contenere o annullare le spinte della c.d. “anti-politica” con l’immediatezza della relazione verticale tra governanti e governati e con l’uso (soprattutto, se non solo) mediatico della comunicazione politica è certamente azzardata e, soprattutto, illusoria.
La Costituzione prevede oggi solo due tipi di referendum, quello abrogativo e quello costituzionale confermativo.
Non esiste il referendum propositivo, che la legge allo studio licenziata dalla Commissione affari costituzionali intende introdurre, istituendo una corsia preferenziale per le proposte di legge di iniziativa popolare, meccanismo attualmente inefficace e inoperoso (262 le proposte di legge arrivate in Parlamento dal 1979 a oggi, mentre solo 3 sono diventate legge: milioni di firme buttate al macero).
Proposte di legge di iniziativa popolare che dovranno essere obbligatoriamente calendarizzate e discusse in aula entro 18 mesi.
Se ciò non dovesse avvenire o il parlamento dovesse approvare con sua legge sulla materia oggetto di iniziativa popolare una diversa proposta si passerebbe al referendum propositivo.
Con il disegno di legge sul referendum propositivo, si modifica l’articolo 71 della Costituzione, che al momento prevede il solo referendum abrogativo.
L’iter del nuovo referendum funzionerà in questo modo: i cittadini, raccolte inizialmente 100 mila firme, sottoporranno al vaglio della Corte costituzionale il testo del referendum, ovvero della legge su cui si chiede che il Parlamento intervenga.
Se ci sarà il via libera della Corte, allora serviranno 500 mila firme per sottoporre il quesito al voto popolare. Ma, prima, il parlamento sarà tenuto a esaminare la proposta di legge di iniziativa popolare entro 18 mesi.
Trascorsi i 18 mesi senza che il Parlamento si sia espresso, scatterà il referendum propositivo , con la previsione, in forza di un emendamento accolto dalla Commissione di un quorum del 25% dei voti, affinche il referendum passi e la legge venga approvata.
Quorum da valere anche per il referendum abrogativo, per il quale cui attualmente è necessaria la partecipazione di almeno la metà del corpo elettorale .
Una novità che, introdotta nel passato, avrebbe visto approvati 5 referendum abrogativi (i due sulla caccia, quello sui fitofarmaci, quello sulle trivelle e sull’abolizione del proporzionale) su 28 falliti per mancanza del quorum del 50%.
L’emendamento approvato in Commissione stabilisce che il referendum, sia abrogativo sia propositivo, è valido se i “sì” sono superiori ai “no” e se sono “superiori a un quarto degli aventi diritto al voto”.
In altri termini i Sì, oltre che essere superiori ai No, dovrebbero essere almeno 12.5 milioni in quanto gli elettori sono circa 50 milioni, un passaggio certamente positivo, a fronte di una iniziale mancata previsione di un qualunque quorum.
Un passaggio che favorisce certamente partecipazione, impedisce che minoranze si approprino della iniziativa legislativa, sconsiglia le pratiche astensionistiche o gli inviti ad andare al mare di memoria non solo craxiana.
Un rafforzamento della democrazia parlamentare .
Piuttosto che democrazia diretta, ammesso che sia possibile, come non è una democrazia diretta totale, un rafforzamento della partecipazione e controllo popolare all’iter di formazione delle leggi.
Un istituto, dunque, finalizzato da una parte a rafforzare l’autorità del Parlamento stesso, responsabilizzandolo circa la continua ed effettiva rispondenza delle normative proposte alla volontà del popolo rappresentato, dall’altra voluto come strumento in grado di agevolare la fondamentale funzione che dovrebbe essere svolta, così come in questa fase non è, dai partiti (di educazione politica e formazione della classe dirigente) e di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica.
Sovvengono in proposito le parole all’Assemblea costituente del grande giurista calabrese Costantino Mortati, riassunte nell’intervento in Commissione sull’art.75.
Cosi’ Mortati:
«Si deve infine accennare alla funzione da attribuire al popolo come organo del potere legislativo. La tendenza moderna è quella di condurre il popolo, da una funzione limitata alla scelta dei suoi rappresentanti, ad una funzione più ampia, di attiva partecipazione politica, e il mezzo adoperato a questo scopo è il referendum, che ha una efficacia diversa a seconda del modo in cui sono congegnati i poteri pubblici […].In ogni caso quello che bisognerebbe curare, ove si introducesse l’istituto del referendum, sarebbe di congegnarlo praticamente in modo che possa dare il massimo rendimento. È questo un punto molto delicato, che implica particolarità di dettaglio che influiscono sulle funzioni dell’istituto stesso. Bisogna aver cura che il popolo risponda nel referendum come entità organizzata, e non come popolo indifferenziato […].
Si tenga anche presente che, mediante il referendum, si rende possibile fare interessare maggiormente il popolo a questioni che possono essere di vitale importanza per il Paese. Con il referendum quindi si potrà conseguire una maggiore educazione politica delle masse popolari, cosa da tutti auspicata, e lo sviluppo di una sana democrazia in Italia […].
La importanza del referendum sta, dunque, più nell’azione potenziale che può esercitare col frenare le tentazioni di intemperanza dei partiti al potere, col renderli più meditativi circa la convenienza delle riforme proposte in confronto ai bisogni del popolo, che non nel suo impiego effettivo».
Con il disegno di legge costituzionale a 5 stelle , che sta per passare all’Aula, approvato in Commissione , nel caso in cui il Parlamento legiferi su proposta di iniziativa popolare ma ne approvi un’altra o comunque nel caso in cui cambi il testo della proposta popolare, il comitato promotore della legge cassata in tutto o in parte, potrà scegliere se il nuovo testo comunque raggiunge gli obiettivi prefissati – e allora non si svolgerà il referendum – o se si vuole far decidere al popolo attraverso il referendum, dopo una prevedibile e inedita interlocuzione e negoziazione con la commissione parlamentare per la quale manca una qualunque regolamentazione, pur necessaria e proficua..
In tal caso, il c.d. ballottaggio, verrebbero sottoposti a referendum entrambi i testi, e sarà legge quello che otterrà più voti.
Se la proposta di legge popolare prevede dei costi per le casse dello Stato, i proponenti saranno tenuti ad indicare le eventuali coperture.
Come è stato argomentato anche in sede parlamentare, il disegno di legge non prevede alcuna limitazione al numero di iniziative che possano essere sottoposte a referendum propositivo, generando la possibile infornata referendaria di pannelliana memoria che non rappresentò certamente un incentivo al voto.
E nemmeno contiene una puntuale delimitazione delle materie sottoponibili a referendum, per cui viceversa la Costituzione, come è nel caso dell’art,79.1 (amnistia e indulto da approvare con maggioranza qualificata di due terzi) e .3 ( approvazione della legge/ intesa sulle cosiddette autonomie differenziate a assoluta) prevede un procedimento legislativo diverso da quello ordinario o un diverso quorum deliberativo ; o ancora, per quanto concerne l’iniziativa legislativa spettante al Governo in via esclusiva; o infine per leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali per cui l’art.75 in materia di referendum abrogativo fa opportuno divieto di referendum ratione materiae, non potendosi escludere che l’iniziativa legislativa referendaria venga utilizzata per eludere i limiti di materia di cui all’art.75.
In particolare, evitando che tramite il referendum propositivo si proponga una manovra di bilancio alternativa a quella approvata, su cui il Governo ha iniziativa legislativa riservata (art. 81.4 Cost.).
È previsto dal disegno di legge il controllo preventivo di costituzionalità della proposta referendaria, una novità senz’altro da accogliere con favore e tuttavia molto poco dettagliata e imprecisa. Controllo non sufficientemente specificato. La Corte costituzionale, nel testo base poi emendato, dovrà valutare per ammettere il referendum il rispetto dei «principi e diritti costituzionali fondamentali», nonché dei vincoli internazionali e degli obblighi dell’U.E. Secondo il testo base emendato in Commissione, «il referendum non è ammissibile se la proposta non rispetta i principi e diritti fondamentali garantiti dalla costituzione nonché i vincoli europei e internazionali». L’emendamento Forciniti, parlamentare 5 stelle, approvato nel testo licenziato dalla Commissione, ha soppresso le parole «i vincoli europei e internazionali» sostituendole con la frase «dal diritto europeo e internazionale».
Per Forciniti, si legge nel resoconto dei lavori della Commissione, «il senso dell’emendamento è quello di attribuire una portata più ampia alla potestà legislativa popolare, in modo da evitare che essa sia gravata da limiti che non sono invece previsti per la potestà legislativa esercitata dal Parlamento. Al Parlamento è consentito di legiferare in modo difforme rispetto ai vincoli europei, assumendosene la responsabilità e andando incontro alle relative conseguenze, e questo deve valere anche per la potestà legislativa popolare».
Grazie alla proposta di modifica approvata sarà possibile, secondo quanto riferisce il deputato PD Stefano Ceccanti, fare referendum propositivi sulle direttive europee, con tutti i rischi di fratture e iati rispetto alla normativa comunitaria, che costituisce vincolo per il giudice nazionale, che ne possano derivare. Un emendamento nazionalistico in definitiva e ideologico.
Troppe poche le limitazioni di materia con il rischio che per via referendaria diretta si possa intervenire su materie sensibili come fattispecie penali, disciplina fiscale e ambiti che investono i diritti delle minoranze. Con il rischio più che concreto di sovraccaricare il referendum propositivo, sovrapponendo e anche contrapponendo alla funzione parlamentare un indistinto popolo sovrano ( che in realtà sovrano non è, in quanto agevolmente manipolabile nel circo mediatico). Per di più in una fase in cui il parlamento corre il rischio di venire ulteriormente delegittimato, sotto la tenaglia della proliferazione di decreti legge quale unico e comunque prevalente strumento normativo, accompagnato dalla fiducia, e il taglio talora inverecondo dei tempi che ha portato da ultimo alla infelicissima approvazione della legge di bilancio non preceduta da alcuna discussione e serio esame, anzi da nessun esame, in patente elusione dell’art.72 Costituzione e della forma parlamentare sovrana di governo umiliata da quelle due nottate.
Un corto circuito infernale e mortifero per la democrazia rappresentativa.
Il controllo di costituzionalità preventivo non appare sufficientemente definito, perché’ sarebbe meglio, onde evitare ambiguità e per dare un senso compiuto allo stesso, rendere esplicito che si tratta di controllo preventivo di conformità a tutte le norme costituzionali e non solo a «principi e diritti fondamentali», così come genericamente afferma il testo di legge. Ma anche e in particolare, prevedendolo, nel caso in cui la proposta venga cambiata dal Parlamento.
Non è infatti chiarito cosa si intenda per testo modificato, mentre sarebbe necessario introdurre una verifica ad opera della Corte Costituzionale sulle diversità, come già attualmente accade per il quesito abrogativo nel referendum abrogativo, qualora sopravvenga prima di esso una nuova legge.
Il c.d. ballottaggio popolo vs. parlamento col referendum non sarebbe di per sé un attacco al parlamento se quest’ultimo fosse realmente rappresentativo ed espressione di leggi elettorali non distorsive del principio di rappresentatività e di libertà del voto degli elettori, con parlamentari scelti liberamente e senza liste bloccate, liberi da vincoli di mandato.
Il che richiederebbe una rinnovata vitalità democratica dei partiti e l’attuazione dell’art.49 costituzione, che prevede la strutturazione dei partiti secondo regole democratiche e trasparenti.
Il rischio incombente, con la ulteriore delegittimazione del parlamento quale epicentro della sovranità popolare è quello di una partitocrazia qualunquista o di un plebiscitarismo confuso denso di nubi per le sorti della democrazia parlamentare rappresentativa.
Al di là delle buone intenzioni, più o meno presunte dei proponenti, allo stato molto superficiali, della riforma.
Ancora una volta siamo, come fu per la Berlusconi/Bossi e per la Renzi/Boschi, alle porte una riforma costituzionale di governo e di un parlamento non rappresentativo?
Referendum propositivo sì, in conclusione, ma ben fatto e circoscritto nei limiti della costituzione, quale mezzo di ampliamento della partecipazione popolare alla vita istituzionale e alla formazione delle leggi, a condizione che non venga prevaricata la forma parlamentare sovrana della democrazia rappresentativa, la cui vitalità è stata confermata dal popolo italiano nel referendum del 4 dicembre 2016. Senza che ne sia stata appresa fino in fondo la lezione, a cominciare da una seria e democratica legge elettorale che restituisca sovranità al cittadino elettore e rimetta in piedi il sistema della rappresentanza e della partecipazione. Senza demagogia e senza spacciare per mitica e irrealistica “democrazia diretta” quel che è o rischia di diventare democrazia “recitativa”, secondo la felice e a un tempo triste espressione di Emilio Gentile.
La democrazia parlamentare si è dimostrata finora la forma di governo che ha consentito a un numero sempre più numeroso di governati di partecipare pacificamente alla scelta del propri governanti e di diventare cittadini.
Osservava Gaetano Salvemini nel 1952 che «una democrazia perfetta non e mai esistita in nessun paese di questo mondo. La democrazia è stata è e sarà ovunque e sempre qualcosa d’imperfetto che deve perfezionarsi», cercando di adeguare la realtà all’ideale e superando le proprie imperfezioni.
Le domande – avanzate negli ultimi decenni – con le quali si pretende di avere maggiore democrazia si sono espresse principalmente nella richiesta di estendere gli istituti della democrazia diretta.
Ma un governo così perfetto non è fatto per gli uomini Richiesta, questa, che riconduce agli argomenti già fatti propri da Rousseau, il quale aveva detto che la sovranità non può essere rappresentata» e che la vera democrazia, che richiede uno stato molto piccolo, una grande semplicità di costumi, uguaglianza delle condizioni dei consociati e assenza di lusso, in verità non è mai esistita: «se ci fosse un popolo di dei, si governerebbe democraticamente», scriveva il filosofo ginevrino del Contrat social. Quasi a voler radicare nell’imperfezione e nella caducità che caratterizzano le cose umane l’impossibilità di tradurre l’utopia in realtà.
Il che non esclude affatto l’ampliamento della partecipazione, base stessa della democrazia per realizzare un rapporto virtuoso tra rappresentanti e rappresentati e il più ampio controllo democratico, anche attraverso i corpi intermedi e le formazioni sociali in cui si svolge la socialità della persona.
Sovviene allora, quale elogio della democrazia tout court, il famoso apologo di Protagora, raccontato originariamente nell’omonimo dialogo platonico: Hermes, che, incaricato di portare agli uomini l’arte politica, domanda a Zeus se debba distribuirla esattamente come le altre arti solo tra i competenti, si sente rispondere che l’arte politica invece dovesse essere distribuita a tutti; «gli Ateniesi, come gli altri, ove trattisi di competenza nelle costruzioni e nelle arti, credono che pochi siano capaci di dar consigli, e se prende la parola uno al di fuori di quei pochi non lo sopportano; e con ragione a mio credere. Quando invece trattisi di una deliberazione politica che deve procedere per le vie della giustizia e della temperanza, tollerano che parli chiunque, essendo naturale che di queste tutti siano partecipi, altrimenti non esisterebbe città».
La differenza fra l’arte politica, e le altre arti, è che non s’insegna, e non s’insegna perché è patrimonio di tutti, e ciò spiega perché tutti abbiano diritto a partecipare al governo della città. «La democrazia diretta – scriveva Bobbio nel 1975 nel saggio Quali alternative alla democrazia rappresentativa – può essere un utile correttivo della democrazia indiretta, ma non può surrogarla». Essa «è un sistema migliore di quelli che l’hanno preceduto e di quelli che sinora l’hanno seguito».
In conclusione partecipazione sì, ma nel quadro, incompiuto e anche contraddetto dal disegno grillino, del potenziamento della democrazia parlamentare rappresentativa.
Un cammino che richiude preliminarmente di restituire agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di essere rappresentati correttamente senza scorciatoie e deviazioni indigeribili, dagli incostituzionali italicum e porcellum e ora per finire all’infelice, a detta anche dei suoi autori, rosatellum, anche esso sub judice ad opera dei volenterosi avvocati anti porcellum e anti italicum.
Una nota marginale.
Renzi tenò di trasformare il referendum costituzionale in referendum “confermativo”. Ma il referendum costituzionale è, per sua natura, oppositivo: è strumento nelle mani di chi si è opposto alla legge di revisione (non della maggioranza che l’ha approvata) per ottenere che non enrti in vigore.
Condivido le considerazioni di Antonio Caputo.
Il governo parlamentare, fondato sul principio di maggioranza semplice, ma appoggiato da una stabile maggioranza, dovrebbe garantire la coerenza delle decisioni, particolarmente importante in materia economica.
Sul punto Mortati, opportunamente citato, ha svolto considerazioni importanti. Aggiungerei che il c. d. “paradosso della maggioranze cicliche” (Condocet, Arrow) milita anche in favore di un governo parlamentare stabile. D’altra parte, un qualche antidoto a questo paradosso è dato dal principio di maggioranza semplice, anziché relativa: ma i quorum permissivi di partecipazione potrebbero vanificare anche questa garanzia.
Aggiungerei, ancora, che la sovranità popolare di Rousseau presupponeva leggi applicabili a tutti e ciascuno ed eguali, qualità che sovente difetta nelle “leggine” di settore che possono essere veicolate da “minoranze intense”, nel disinteresse delle “maggioranze inerti”.
E’ vero, però, che, nella realtà, i governi, quando di coalizione, svolgono un’azione coerente solo nel campo economico, perché vi sono costretti dalla “forza delle cose”.
Non sarei alieno, dunque, dal porre al referendum propositivo limiti simili a quelli dell’art. 75 Cost.
Lo stesso Mortati, del resto, in Assemblea costituente, fu tra coloro che proposero detto articolo.