di Enzo Palumbo
Come ho scritto più volte, considero la riduzione dei parlamentari una solenne sciocchezza, consumata sull’altare della stucchevole polemica anticasta, senza considerare che, aumentando a dismisura la dimensione di circoscrizioni e collegi, si riduce fortemente la rappresentanza politica, si moltiplicano i costi delle campagne elettorali e si rende praticamente impossibile la conoscibilità dei candidati da parte degli elettori, che pure è stata una delle riflessioni che hanno portato la Corte Costituzionale a bocciare il c. d. porcellum con la sentenza n. 1-2014.A parte ciò, quella di Salvini, che ieri pomeriggio ha offerto al M5S di votare in quarta lettura la riduzione dei parlamentari per poi andare subito al voto, mi è sembrata la mossa disperata di chi vedeva sfumare il suo blitz elettorale; ma è stato certamente anche un bluff che non aveva nessun fondamento nell’art. 138 Cost. e nella legge 352-1970 che regola lo svolgimento del c. d. referendum confermativo o oppositivo, come sarebbe più giusto chiamarlo.
Se la riduzione dei parlamentari fosse approvata, per metterla in pratica non si potrebbe votare comunque entro l’anno, perché bisognerebbe intanto attendere 3 mesi, per dare la possibilità a 1/5 di deputati o senatori, a 5 regioni o a 500.000 cittadini di proporre il referendum (art. 138 Cost.);
una richiesta, questa, che certo ci sarebbe a iniziativa dei parlamentari di opposizione, ma, al limite, anche da parte dello stesso M5S per averne la conferma popolare (com’è accaduto col referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi, chiesto anche dallo stesso PD).
A questo punto, l’apposito Ufficio presso la Cassazione avrà 30 giorni di tempo per verificare l’ammissibilità della richiesta (art. 12 L. 352-1970), e, in mancanza di contestazioni e integrazioni (da formulare e decidere entro 5+20+2=27 giorni) seguirebbe l’indizione del referendum con decreto del PdR da emettere entro 60 giorni dalla decisione della Cassazione, e il referendum andrebbe indetto per una domenica compresa tra il 50° e il 70° successivo all’emanazione del decreto d’indizione (art. 15 L. 352-1970).
Fatta la somma, se anche il 20 agosto si approvasse in via definitiva la riduzione dei parlamentari, il referendum non si potrebbe fare prima che sia decorso da un minimo di 230 giorni a un massimo di 337 giorni, e quindi non prima della prossima primavera.
Come si vede, la proposta di votare subito la riduzione dei parlamentari è assolutamente in contraddizione colla conclamata volontà di andare subito alle elezioni politiche, per cui l’unica conclusione ragionevole è che Salvini, volendo comunque le elezioni subito, avrebbe fatto mancare la maggioranza assoluta necessaria per approvare la riforma; insomma, una vera e propria trappola, nella quale il capogruppo del M5S, buon per lui, non è caduto.
Salvini ha tentato di superare il problema richiamando l’art. 4 del ddl di riforma, per il quale la riduzione si applica a partire dal primo scioglimento o dalla prima cessazione delle Camere successive all’approvazione, e comunque non prima di 60 giorni dall’entrata in vigore.
Siccome l’entrata in vigore della riduzione sarebbe comunque rinviata alla prossima primavera, ne conseguirebbe che si eleggerebbero Camere composte da 945 membri, in pendenza del meccanismo referendario, cosa che, di per sé, è già a forte dubbio di legittimità costituzionale.
In caso di definitiva conferma della riduzione, il Parlamento appena eletto con 945 membri risulterebbe immediatamente delegittimato e si dovrebbe subito rivotare; in mancanza, si dovrebbe attendere il 2024 per mettere in pratica una riduzione che Salvini, ottenuta la maggioranza assoluta a cui aspira, potrebbe anche eliminare.
L’uomo non è imbattibile, come la votazione di ieri dimostra; e non è nemmeno intelligente; è solo furbo. E Dio ci guardi dai furbi!