di riccardo mastrorillo
C’è un labile confine tra un’azione di disobbedienza civile e un’azione illegale, ma la disobbedienza non è mai un’azione da perseguire moralmente quando è fatta per un fine superiore.
I tre militanti di “ultima generazione” hanno utilizzato vernice lavabile, il costo per rimuoverla è stato minore di quanto è costato ripulire le zone limitrofe al Vaticano dopo “l’assalto” dei devoti, recatisi al funerale di Benedetto XVI. Eppure i tre giovani saranno processati per “danneggiamento aggravato”. L’indignazione dei benpensanti dovrebbe essere rivolta a Ignazio La Russa, che ha parlato di violenza o a quegli organi di informazione che hanno equiparato l’atto ad un’azione di terrorismo.
Il fatto che non avremmo compiuto quel gesto non ci esime dall’analizzare con adeguata oggettività il significato rispettabile delle motivazioni che hanno spinto quei giovani ad un atto così eclatante.
L’esagerata reazione di alcuni vertici istituzionali nasconde una visione repressiva delle istituzioni che non possiamo che rigettare con decisione. Ha ragione il Presidente della camera quando afferma che «le istituzioni rappresentano un presidio fondamentale della nostra democrazia e come tali vanno rispettate», peccato che il rispetto è un concetto molto confuso nelle menti di coloro che sovrappongono il loro potere e le loro idee alle istituzioni. Questi ragazzi hanno compiuto un gesto forte, eclatante, ma non violento. Un gesto che non ha danneggiato permanentemente nulla, chi li addita come violenti non li attacca per il gesto in sé, ma li attacca per la motivazione che ha mosso quel gesto.
I blocchi stradali sono odiosi, ma lo sono perché vengono attuati in danno a persone non responsabili dei fatti che hanno mosso i protagonisti della protesta, perché è la motivazione che spiega l’atto, non l’atto in sé. Il 5 giugno 1989 il “rivoltoso sconosciuto” effettuò da solo un blocco stradale, fermando una colonna di carri armati diretti in piazza Tienanmen, nessuno, sano di mente, oggi potrebbe ritenersi indignato per quel gesto di disobbedienza civile.
Ignazio La Russa potrebbe, a buon bisogno, destinare la sua indignazione verso i suoi sodali di partito che hanno imbrattato svariati muri della città con frasi tipo “Paolo Vive” oppure per l’imbrattamento anche dei monumenti, sempre a Roma, con i manifesti di commemorazione della “strage di Acca Larenza”, sono quelli atti vandalici o meglio “danneggiamento aggravato”?
Ma il Presidente La Russa ha una visione sovrapposta tra “potere” e “istituzioni”, pertanto per sostenere le sue idee, è ammesso qualsiasi mezzo, ma non per sostenere le idee che lui non condivide..
Politicamente e anche giuridicamente l’azione di disobbedienza può essere considerata meno grave solo in relazione alle motivazioni che l’hanno spinta, esiste per esempio il concetto di “stato di necessità” per giustificare la commissione di un reato e quindi escluderne la punizione.
Pertanto sul piano politico e giuridico la severità applicata a questo atto, è direttamente proporzionata alla volontà di negare la motivazione che ne è alla base.
Quindi tutta la questione si riduce al valore del messaggio che quei tre ragazzi volevano trasmettere. Non avendo commesso violenza, non avendo causato un danno irreparabile, non avendo nemmeno lontanamente minacciato o spaventato nessuno, solo chi vuole negare l’esistenza di una emergenza climatica e ambientale, può ritenere il fatto di estrema gravità. Tutto il resto è solo ignobile teatrino.
Assurdo porre sullo stesso piano il ricordo di una strage d’innocenti ragazzi con la stupidità dei militanti di ultima generazione