di pier virgilio dastoli
Volodymir Zelensky torna a Kiev dal suo viaggio a Roma, Berlino, Parigi e Londra con molte buone promesse ma con pochi passi in avanti non solo rispetto allo stato del conflitto militare che, al di là della propaganda da una parte e dall’altra, è di fatto congelato da mesi ma soprattutto rispetto alle prospettive di una interruzione di quella che fu definita da Vladimir Putin come una “operazione militare” e ancor di più al ritiro delle truppe russe e del Gruppo Wagner dai territori illegittimamente occupati dalla Federazione Russa dopo il 24 febbraio 2022 che coprono un quinto del paese ed una linea del fronte di 1500 km dalle regioni orientali di Luhans’k e Donetsk a Zaporizhzhya e Kherson a sud.
Nonostante il progressivo aumento degli aiuti militari a Kiev di decine di paesi nel mondo a cui si unisce l’addestramento dell’esercito e dell’aviazione nell’uso di armi di difesa e di attacco avviato da USA e Regno Unito già prima dell’attacco russo, le forze armate dell’Ucraina non sono in grado – contrariamente a quel che è stato da più parti dichiarato – di “vincere la guerra” e di costringere così la Russia ad una resa incondizionata.
Per evidenti ragioni sia tattiche sia geopolitiche, l’Unione europea ed i suoi paesi membri non possono rispondere positivamente ad alcune richieste di Volodymir Zelensky che secondo l’Ucraina potrebbero contribuire ad una svolta decisiva nel conflitto come l’invio di missili, veicoli blindati, anti-droni, munizioni così come persiste l’ostilità dell’Occidente alla creazione di una “no-fly zone” e ancor di più il non possumus corale degli USA e della maggior parte degli Europei all’adesione dell’Ucraina alla NATO in tempo di guerra che Kiev vorrebbe ottenere come segnale politico al Vertice di Vilnius del 10 luglio insieme ai tempi lunghi dei negoziati per l’ingresso come membro di diritto nell’Unione europea sapendo che l’una e l’altro richiedono le ratifiche nazionali di tutti i paesi membri in alcuni casi per referendum.
È evidente alle autorità dell’Ucraina che il congelamento del conflitto militare giocherebbe a tutto vantaggio della Russia, che il rinvio della più volte preannunciata contro-offensiva ucraina rischierebbe di provocare una riduzione degli aiuti militari dell’Occidente e che potrebbero crescere in alcuni paesi europei le pressioni politiche di chi ritiene che debba essere riaperta la via di un dialogo con la Russia, una via respinta come un inaccettabile segnale di resa da Volodymir Zelensky nei suoi incontri a Roma, Berlino e Parigi e in particolare nel suo colloquio con Jorge Bergoglio.
Noi riteniamo che l’ Unione europea, confermando il pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà e del diritto alla inviolabilità del suo territorio insieme all’impegno alla ricostruzione del paese, dovrebbe iniziare a riflettere sulle ipotesi per un avvio di un dialogo indispensabile al raggiungimento di un “cessate il fuoco” e poi dell’inizio di un processo che porti ad una pace duratura ai suoi confini essendo chiaro che la definizione delle condizioni per un accordo appartengono in primo luogo alle autorità dell’Ucraina e cioè al suo governo e al suo parlamento che sarà rinnovato nelle elezioni legislative che avranno luogo entro l’estate del 2024.
A nostro avviso le ipotesi per l’avvio del dialogo dovrebbero essere basate sui seguenti cinque elementi che potrebbero costituire un embrione di un “piano di pace” dell’Unione europea inserito nel quadro di una visione complessiva della cooperazione e della sicurezza sul continente che potrebbe assumere la forma di un accordo o di un trattato che si ispiri al metodo dei negoziati che condussero nel 1975 alla Dichiarazione di Helsinki e poi nel 1990 alla Carta di Parigi:
– La garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell’Unione Sovietica;
– L’attribuzione alle regioni di Donec’k, Luhans’k e della Crimea dell’autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all’Alto Adige con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946;
– L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea al termine dei negoziati di adesione, sulla base delle condizioni stabilite dall’art. 49 del Trattato sull’Unione europea e nel quadro del processo di allargamento ai paesi candidati dei Balcani Occidentali e dell’Europa orientale (Moldavia e Georgia) che prevede:
• l’accettazione piena e integrale dei principi contenuti nel preambolo del Trattato di Lisbona ivi compreso il processo di una unione sempre più stretta le cui basi dovranno essere gettate entro la prossima legislatura europea superando lo stesso Trattato di Lisbona secondo un metodo democratico costituente,
• il rispetto dei valori comuni definiti nell’art. 2 e dello Stato di diritto insieme al primato del diritto dell’Unione,
• il principio della cooperazione leale previsto dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea e della solidarietà previsto dagli articoli 80 e 222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
• l’adesione alla Carta dei diritti fondamentali,
• e l’applicazione dell’art. 42.7 che prevede l’aiuto e l’assistenza degli Stati membri ad uno Stato oggetto di una aggressione armata sul suo territorio conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.
– L’applicazione all’Ucraina delle stesse condizioni di neutralità adottate al tempo dell’adesione dell’Austria all’Unione europea nel 1995.
– In questo spirito e in questa logica la decisione di escludere l’adesione dell’Ucraina alla Organizzazione dell’Atlantico del Nord e alle sue strutture militari.
Questi elementi dovrebbero essere presentati dall’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite secondo l’art. 34.2 del Trattato sull’Unione europea, al Vertice della Nato di Vilnius e al Vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa associandoli alla richiesta di convocare una Conferenza ispirata agli Accordi di Helsinki del 1975 e alla Carta di Parigi del 1990.