Evitare i reati di stalking, sexting, revenge porn: un prete consiglia suore e preti ma… .

di francesca palazzi arduini

Scheda 15. Reati penali da conoscere per la religiosa: istigazione al suicidio, diffamazione a mezzo web, falsificazione, sexting, sextorcion, manipolazione mentale, sostituzione di persona, revenge porn…
Due paginette in un manuale di circa 150 pagine sui rischi della dipendenza da connessione, pagine che, assieme al capitoletto sul cosa fare “in caso di denuncia e processo” e ad altre su come evitare di mantenere online contenuti pericolosi per la propria immagine pubblica (“il mio album digitale nello smartphone”), mettono in guardia dall’incappare in denunce e conseguenti scandali.
Suora in Whatsapp. Schede esperienziali per consacrate con esercizio di discernimento” (Il Pozzo di Giacobbe, 2020), di Giacomo Ruggeri, è stato preceduto da “Prete in Clergyphone. Discernimento e formazione sacerdotale nelle relazioni digitali” (Il Pozzo di Giacobbe, 2018); si tratta manualetti smart, con ampio uso di aggettivi e liste, tendenti a voler esaminare il fenomeno della dipendenza da internet da ogni possibile angolazione, con riferimenti a casi pratici che lo scrittore ha incontrato come consigliere spirituale …digitale.


Stesso lavoro di Paolo Benanti? In questo caso più focalizzato sulla sfera personale e privata, pare comunque che per alcuni preti il digitale sia la nuova frontiera dell’esercizio morale, e Ruggeri si presenta come formatore e consigliere in conventi e monasteri di tutt’Italia.
Se curiosate per capire un poco di più sulle motivazioni di questo sacerdote, direttore della collana “Capire il nuovo” della suddetta casa editrice, leggerete: “Molteplici sono le strade che conducono a capire. Ci posso arrivare con il cuore, con la mente, con l’anima, con la pancia, con i piedi.” No, non è una citazione della Rappresentante di Lista ma la presentazione della collana.
Approfondendo potrete cogliere però informazioni contrastanti… tornando a ritroso nel tempo reperirete proprio grazie allo strumento ‘diabolico’, internet, che serba memoria di tutto, che il sacerdote in questione è lo stesso Giangiacomo Ruggeri che suscitò lettere di protesta nel 2019, quando l’Osservatore romano gli commissionò un articolo sul mondo digitale. Perché?
Sempre andando a ritroso, vediamo il Ruggeri come docente di Teologia della comunicazione ed etica dei nuovi media a Rimini, e responsabile dell’Ufficio di comunicazioni sociali e del Centro vocazionale della diocesi di Fano. Un sacerdote giovane come pochi in quella posizione, che nel 2011 prende la parola a nome della Diocesi sul caso di una ragazza stuprata da tre individui a Fano, ricevendo critiche per quel comunicato in cui condanna la “accelerata e pseudo emancipazione che le ragazze di oggi hanno acquisito rispetto alle loro coetanee di alcuni fa. Mentre si ribadisce la ferma condanna di quanto accaduto si assiste ad una sempre più accentuata esibizione del proprio corpo…” (26 giugno 2011)
Se arriviamo al 2012 però, troviamo una narrazione diversa: “il sacerdote non era in sé”, dichiara il suo avvocato alla stampa, “la polizia ha effettuato riprese video in più occasioni”, scrive la stampa locale sul suo caso, quello di un uomo adulto, allora 43enne, adescatore di una ragazzina appena 13enne.
Condannato in primo grado nel 2013 a 2 anni e 6 mesi per abuso su minore, Ruggeri si taglia la barba, fa atto di contrizione, ribadendo la tesi dell’avvocato: è stato un momento di smarrimento. La macchina diocesana si mette in moto ma l’allora vescovo Trasarti dichiarerà in seguito: “mi hanno lasciato solo come un cane” e “avrebbe dovuto ripartire in punta di piedi e invece non l’ha fatto” (2019).
Il sacerdote viene piazzato a Perugia e poi a Pordenone ad occuparsi di faccende fuori da contesti socializzanti (la pena viene ridotta in appello nel 2014, col beneficio della sua sospensione). Scrive Ruggeri in Prete in ClergyphoneCiò che nasce per gioco, si può trasformare in tragedia. Come sacerdote sono sempre una persona esposta, ovvero, sul crinale. Basta un nulla per cadere, farsi del male, far del male, ferirsi, ferire. Dalla denuncia al carcere. Scandalo e fango. La persona e il suo (nuovo) recupero.” (p.143). Quello che il prete definisce “fango” è in generale solo la costernazione della società civile al pensiero di come i propri figli e figlie possano essere predati, e l’indignazione rispetto alla totale mancanza di consapevolezza della Chiesa cattolica rispetto alla condotta di alcuni suoi dipendenti. Anche in fatti ben più gravi l’iter è lo stesso:
1) “la Diocesi non sapeva” 2) il prete viene delocalizzato 3) la famiglia viene risarcita economicamente con un “investimento ingente di denaro (più o meno ingente in base al percorso che si profila e le persone coinvolte, anche in caso di risarcimento in sede civile)” (Suora in Whatsapp, pag.67).
Cambiato vescovo presso Fano, nel 2023, il nuovo annuncia, a cose fatte, il ritorno del prete con funzioni di parroco, proprio presso la Diocesi, nei luoghi dove ancora vivono la ragazza adescata e la sua famiglia, affermando di essersi consultato ampiamente coi suoi presbiteri (ma i pareri in merito sono contrastanti). Fine dunque di quello che il vescovo Andreozzi pare presentare come un “esilio” punitivo, ma… “Don Ruggeri era stato a suo tempo sospeso dal presule fanese Armando Trasarti. Non solo: sulla scorta del successivo processo ecclesiastico venne condannato a non esercitare il proprio ministero nella Chiesa d’origine per 5 anni, a non avere alcun contatto con i minori nella pastorale durante lo stesso periodo e a essere seguito da uno psicologo. – Questa sentenza – aggiunge il vescovo di Pordenone Pellegrini – è stata, ed è tuttora, pienamente rispettata. Da noi studia, scrive, pubblica. Si occupa di ritiri spirituali e predicazione tra i confratelli, ma soprattutto tra le suore” (il Gazzettino, Pordenone, 2 giugno 2019).
Nel frattempo quindi Ruggeri aveva continuato ad esercitare il suo ministero fuori dalla sua “Chiesa d’origine” ed a scrivere volumi, uno dei quali ha addirittura la prefazione del già direttore della Sala stampa vaticana, Federico Lombardi, e tratta di …pedagogia ignaziana: Ordinare i frammenti. Discernimento e cura personalis: la pedagogia di S. Ignazio di Loyola (ed. Fara, 2016).
C’è da chiedersi se dedicarsi alla formazione delle suore, per i sacerdoti, riproponga una disposizione a insegnare, la volontà di avere un ruolo magistrale su soggetti considerati più deboli. Insegnare alle suore è più facile? Di certo tra il volume dedicato ai preti (2018) e quello dedicato alle suore (2020) vi sono alcune differenze: ai preti ad esempio Ruggeri fa presente, nel capitolo “L’anonimato non esiste” che “…è bene ricordare costantemente nell’incontro mensile del Vescovo con i preti, i reati penali dei quali si dovrà rispondere in prima persona. Ciò che considero come “innocuo” o “senza malizia e nulla di male”, devo sapere che ha conseguenze serie e rilevanti per il Codice Penale, perseguibili per Legge (contemplando anche la custodia cautelare) soprattutto in materia di “computer crime” …è credibile dipingere il Codice penale italiano come punitore di quisquilie e pinzillacchere? Se ad una persona consacrata ciò che la Legge riconosce come un reato sessuale pare “nulla di male”, non dobbiamo preoccuparci?
Sta di fatto che, contrariamente al volume dedicato alle suore, il capitolo di Prete in clergyphone riporta anche i reati di Atti sessuali con minorenne, con la citazione precisa della pena “art.609-quater c.p. da 3 a 6 anni di carcere” e di Adescamento di minorenne “… da uno a tre anni di carcere”.
Riassumendo, in certi ambienti sembra che l’adescamento di minore, facilitato dallo status della tonaca, vada da considerarsi episodio di “straniamento” momentaneo (anche se spesso dal crogiolo dei social emergono altre visioni; “i catechisti erano stati avvisati di atteggiamenti strani nei confronti di ragazzine, …perché non hanno riferito?”). Di certo va anche considerata la tendenza alla spersonalizzazione dovuta al concetto di “peccato indotto” da elementi esterni, si legga a questo proposito proprio l’interessante capitolo sugli influssi di Satana in “Regole di discernimento degli spiriti”, (pag. 145), Prete in Clergyphone.
In una intervista ad AgenSir del marzo 2016 lo psicoterapeuta e missionario comboniano Giuseppe Crea sottolineava: “…Talvolta…la cura del malessere psicologico non è affidata a un esperto del settore ma demandata al direttore spirituale. “Quante volte ho sentito dire: ‘Speriamo che Dio intervenga, speriamo che possa stringere i denti e andare avanti…’. Così si rimanda soltanto l’escalation. Le categorie spiritualizzanti fanno parte della malattia e sono talmente insidiose che possono apparire una risorsa salvifica, nascondendo il malessere che invece provocano nell’individuo e nell’istituzione”… “spiritualizzare il problema significa dilazionarlo nel tempo. Nelle nostre comunità siamo pieni di queste situazioni.”
Non si tratta qui di fare un processo alla persona, ed al suo percorso di sostegno psicologico (che è cosa ben diversa dal “discernimento” tra le sacre mura) ma di contestare con fermezza la realtà culturale che nella Chiesa, così come nella società, è fortemente patriarcale: il marito violento era “una brava persona, lavoratrice”, l’abuso o lo stalking sono episodi di “confusione”, vengono cioè assunti come transitorie “disconnessioni” dalla realtà mentre ne sono a tutti gli effetti la tessitura portante, essendo le donne considerate come soggetti deboli, predabili, e di proprietà.
Ciò che nella Chiesa è ancora più grave è che ci si ostina a mantenere nel loro ruolo uomini condannati dai tribunali civile e canonico, maschi adulti che hanno gravemente lesionato la fiducia nelle relazioni e la psiche di persone minorenni, ponendoli anzi a continuare in ruoli apicali che li pongono come punto di riferimento morale per i fedeli.
C’è inoltre la questione del confidare richiesto ai fedeli (e cittadini) nell’autorevolezza dei vescovi rispetto alla risoluzione dei casi di abuso su minore, per cui la comunità dei fedeli non viene interpellata e nemmeno informata. Alla faccia della nuova sinodalità bergogliana. Nel buon esito di un percorso i fedeli debbono per forza credere, che si risolva con un miracolo (“è stato solo un attimo”) o con una espiazione sotto l’occhio, prima ben poco vigile dei superiori e dei colleghi (“in fondo aveva 13 anni, anzi 14, anzi gli si è buttata addosso”).
Quello che la comunità locale ha espresso con una lettera di protesta contro il ritorno come di Ruggeri parroco proprio nella Diocesi dei fatti andati a processo (Fano, Pergola, Fossombrone in provincia di Pesaro e Urbino) con addirittura meme sui social ed anche una petizione su Change, di certo non può battere la pervicace convinzione del clero che anche i danni subiti dai minori siano “passeggeri” … la speranza banale che il tempo cancelli e cambi. Cosa c’è di differente rispetto al percorso dei molestatori “laici”? C’è il potere del sacerdozio. C’è che il sacerdote resta sacerdote, in un percorso protetto, lontano dai cambiamenti radicali di chi vive fuori dei protettivi colonnati che tutto e tutti accolgono.
E se nel 2022 Bergoglio dichiarava che “Un prete non può continuare a essere prete se è un molestatore”, Ruggeri, prolifico scrittore e consigliere spirituale, è ora parroco nella piccola parrocchia di Pianello di Cagli (450 anime). Vien da pensare che la delocalizzazione del sacerdote “controverso” sia come quella che usano le amministrazioni per piazzare le industrie insalubri, fuori dalla vista, e ciò di certo non giova. “Clima sereno…il sindaco Alessandri: “Decisione giusta, nessuna segnalazione” (– Il Corriere Adriatico).
Tra il caso personale, i percorsi di pentimento, il diritto di ognun* al perdono e il diritto all’oblio sta insomma un altro punto di vista, facilmente visibile a chi vuol vedere:
quello che riconosce nell’abuso conosciuto la punta di un iceberg di molteplici abusi segreti, e proprio per questo richiede scelte differenti e radicali al clero, come nel caso dei cittadini che chiedono che un prete molestatore non continui ad esercitare il ministero, al di là del suo percorso individuale. In nessun caso, verrebbe da dire.
È una questione di sensibilità e simbolico, ed è proprio strano che proprio dei religiosi non vogliano capire, vero? C’è il significato simbolico in questi fatti, che ci dice che il contesto è il patriarcato. In una Chiesa che tuttora non concede alle donne, alle “Suore in Whatsapp” un minimo della condiscendenza, protezione e prestigio che regala agli uomini, come i recenti lavori sinodali hanno ben dimostrato.

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