di giorgio benigni
L’amministrazione Biden sta per concludere il suo breve ciclo. Ci si può cominciare a interrogare su quale sia la sua eredità. È evidente che qualora i democratici restassero ancora alla guida degli USA questa legacy sarebbe sovrabbondante, ma già ora è opportuno chiarire alcuni punti di merito che la vulgata trumpiana dello sleepy joe, e quella europea del Presidente rimbambito, evidentemente ma altrettanto immeritatamente disconoscono.
Sull’economia americana i numeri parlano di una crescita che altri paesi occidentali e l’Europa nel suo complesso si sogna. Ma qui il punto non è tanto la politica interna quanto il ruolo internazionale degli Stati Uniti. Davvero l’America di Biden è meno forte, rispettata, temuta nel mondo rispetto a quella dei suoi predecessori?
Afghanistan. Ci sono fatti come la fuga dal paese centro asiatico che farebbero propendere per questa tesi. Ma poi se pensiamo che le trattative con i Talebani per un ritiro erano state avviate e impostate da Trump, e che l’invasione era stata pianificata da Bush per eliminare i Talebani e che solo con l’Amministrazione di Obama/ Biden si arrivò all’effettiva eliminazione di Bin Laden, il giudizio si fa più complesso. I democratici e l’amministrazione Biden in particolare ha dovuto gestire i disastri fatti prima dalla politica Neocon dell’esportazione della democrazia , poi da quella neoisolazionista di Donald Trump.
Indopacifico. Anche qui con la formazione dell’AUKUS (alleanza militare strategica tra Australia Regno Unito e USA) nel 2021 Biden ha riportato il protagonismo americano in un quadrante mondiale sempre più centrale per i destini del mondo. Trump aveva lasciato che la Cina promuovesse il RCEP, il più grande accordo di libero scambio del mondo, che include Giappone Corea, Cina fino ai paesi dell’ASEAN e all’Australia di fatto rinunciando a rivestire un ruolo proattivo e lasciando paesi storicamente alleati come potenziali prede della Cina. Con l’AUKUS questo rischio è stato sterilizzato. Certo non si può dire che si siano poste le basi di una stabilità permanente in quella regione, basti pensare al colpo di stato militare filocinese in Birmania, ma quanto meno si sono poste le basi per un effettivo contenimento della Cina.
Mediterraneo. E nel mare di mezzo che Biden ha provato a marcare una maggiore discontinuità a cominciare da due paesi fondamentali: Italia e Israele. All’indomani del suo insediamento cade in Italia il governo guidato da un Presidente del Consiglio di cultura populista, e più vicino a Trump che al candidato democratico, “Giuseppi was very very unhappy”. In Israele si interrompe il ciclo di Bibi Netanyahu dopo 12 anni di governo e il Likud passa all’opposizione. Il Governo Bennet Lapid durerà però solo un anno e per la parte restante del 2022 amministrerà il paese in vista delle elezioni anticipate dell’autunno rivinte da Netanyau. Ma lo sforzo di Biden di concorrere a dare a Israele e al Medioriente altri equilibri e altre prospettive è stato evidente anche se purtroppo non è stato supportato da nessun’altra potenza mondiale a cominciare da quella che più di tutte ci avrebbe dovuto tenere, ovvero l’Unione europea. I fatti del 7 ottobre e la guerra di Gaza sono i risultati di questo insuccesso, ovvero del tentativo fallito di archiviare Netaniahu, ritenuto e trattato, a ragione, come fattore di profonda instabilità nel già precario Medioriente.
Ucraina e Russia. Non sappiamo cosa si siano detti a Ginevra nel giungo 2021 Biden e Putin in un incontro a porte chiuse a margine del Vertice Nato. Forse sta lì la chiave di quello che sarebbe successo 8 mesi dopo, ovvero il tentativo della Russia di invadere e conquistare l’Ucraina, tentativo che dopo 30 mesi non è ancora riuscito ma è ancora in corso. Quello che sappiamo è che Biden, anche in questa crisi, è stato sempre fedele alla sua linea del containment, ha resistito ai richiami in stile crociata di alcuni leader dell’Europa orientale a cominciare dai polacchi e dai baltici, ha contrastato l’escalation, ha detto dei no anche agli ucraini perseguendo una linea della fermezza nella misura e nell’equilibrio.
Ecco, Biden non sarà stato un vincitore, ma ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la corsa e conservato la fede. Per questo la storia lo assolverà.