Lo strabismo democratico

di riccardo mastrorillo

È un fiorire di commenti e ragionamenti sull’imminente voto per il Governo Europeo, s’ode chiaramente lo stridere delle unghie sullo specchio, ma la vicenda viene trattata, come spesso accade, guardandola dalla prospettiva sbagliata.

Non solo i politici l’affrontano secondo considerazioni politiciste e, diciamolo, pure di “bassa cucina”, ma sono soprattutto i commentatori dell’informazione che deludono per le loro analisi politologiche talmente arzigogolate da apparire comiche.

Financo Mattarella, nel suo puntuale e corretto intervento finalizzato a mettere avanti gli interessi nazionali rispetto alle beghe di partito, ha perso però l’occasione di analizzare fino in fondo quale sia il vero problema della designazione di Fitto quale commissario europeo.

Ne abbiamo già scritto, le regole sono semplici e chiare: «Il Consiglio, di comune accordo con il presidente eletto, adotta l’elenco delle altre personalità che propone di nominare membri della Commissione. Dette personalità sono selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri, conformemente ai criteri di cui al paragrafo 3, secondo comma e al paragrafo 5, secondo comma».

Per cui non esiste nessun obbligo, da Parte del Presidente eletto, di accettare qualsiasi nome venga proposto dal Governo Nazionale, mentre il buon senso e la Politica (con la P maiuscola) suggerirebbero che vi fosse una connessione tra la maggioranza politica che ha eletto il Presidente e la composizione della Commissione.

 

Già nelle precedenti legislature non sono mancati commissari, indicati dai Governi Nazionali, appartenenti a gruppi politici di opposizione nel Parlamento Europeo, ma questa volta c’era una novità assoluta e sostanziale.

Prima delle elezioni, proprio il Candidato dei Popolari Weber aveva apertamente sostenuto la necessità di arrivare ad una maggioranza politica, dichiarandosi disponibile a formare una maggioranza di destra in Europa. Il risultato elettorale e le trattative politiche sulla candidatura di Ursula Von der Leyen hanno, però, portato ad una maggioranza, chiaramente definita, composta da Verdi, Liberali, Socialisti e Popolari.

Von der Leyen avrebbe dovuto stabilire confini ben precisi sui candidati che i Governi potevano proporre. In Italia, dentro all’attuale maggioranza di Governo esiste un partito: Forza Italia, affiliato ai Popolari. Proporre un ministro nazionale esponente di un partito d’opposizione in Europa è un atto politico che doveva essere, istituzionalmente, scongiurato. Vale la stessa cosa, ovviamente per l’Ungheria. Diciamo che per salvare la faccia Meloni e Orban avrebbero potuto proporre figure non di partito.

Questo era il principio che avrebbe dovuto guidare la scelta dei Commissari, principio che Von der Leyen avrebbe dovuto per prima difendere.

 

A nostro modesto parere la questione su cui dibattere è questa, e se dovesse servire, anche valutare una modifica alle norme comunitarie che stabiliscono le modalità di nomina della Commissione. Modifica che, ripetiamo, non sarebbe necessaria, se la Presidente eletta, per prima, avesse indicato la strada della Politica e non quella degli equilibri nazionali.

Purtroppo nessun esponente politico e nessun commentatore ha mai riportato la questione sulla “politica”, in questo contesto l’annuncio di Fratelli d’Italia di votare a favore della Commissione, dopo aver votato contro la Presidente certifica e palesa una modalità da “mercato” più che da Parlamento, con il dovuto rispetto dei mercanti.  

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