di riccardo mastrorillo
Il successo della lista Alleanza Verdi e Sinistra alle ultime elezioni europee si basa su vari fattori. Dobbiamo sgombrare il campo intanto dall’equivoco in cui molti cadono, cioè considerare i voti di preferenza dati ai “personaggi” candidati come voto estraneo, se non addirittura capziosamente conquistato. Se è pur vero che molti, anche elettori di formazioni politiche minori di estrema sinistra, hanno votato AVS per sostenere Lucano e Salis, come numerosi elettori del Pd hanno votato AVS per sostenere Marino e Orlando, in tutti e quattro i casi le organizzazioni di partito, sia Europa Verde che Sinistra italiana, hanno lavorato, in quelle circoscrizioni, dando indicazioni decise per votare quei nomi. Al massimo potremmo considerare in circa 300.000 i voti, non ripetibili, dati ad AVS, solo per sostenere uno dei 4 personaggi. Il confronto con i numeri dei candidati strettamente di partito ci può suggerire un valido aiuto, per il confronto.
É indubbio che AVS è stata la lista per la quale l’incidenza del voto giovanile (sotto ai 30 anni) è stata più determinante, in molti casi erano giovani alla prima esperienza di voto e hanno votato evidentemente convinti che quella formazione politica potesse essere la garanzia per il loro futuro.
La scelta della denominazione “Alleanza” e la chiarezza che fosse l’alleanza di due partiti distinti è stata una scelta di trasparenza che è stata premiata rispetto alle solite “truffe” della politica italiana.
Era chiaro fin dall’inizio che gli eletti di questa lista si sarebbero seduti in due gruppi distinti al Parlamento Europeo, e che i due partiti hanno due diverse e definite culture politiche di riferimento. Culture politiche alleate, in Italia, ma che hanno due distinte visioni del mondo, distinzioni che comunque, in una dimensione di trasparente dialogo, li ha portati, almeno nel parlamento italiano a trovarsi sempre sulle stesse scelte, quandanche talvolta frutto di difficili mediazioni.
L’errore più grosso che questa Alleanza potrebbe fare è prendere in considerazione la creazione di un nuovo soggetto politico unico. La straordinaria vittoria elettorale si basa invece proprio sulla possibilità per tanti elettori di votare una lista pur aderendo esclusivamente ad una delle due culture politiche. Anche quando AVS assume in parlamento alcune posizioni, la determinazione di esse non poggia sempre dalla medesima analisi politica, né, talvolta, assume la stessa valenza programmatica. Permangono delle differenze culturali, del resto una cultura politica basata sulle teorie del materialismi storico, non perviene al concetto di salvaguardia dell’ecosistema per le stesse ragioni di un ecologista: l’ecologia, è infatti una “cultura del limite”, non certo derivante dal materialismo storico.
Ecologia e Materialismo
Un esempio pratico lo possiamo cogliere nell’approccio allo sviluppo dell’energia eolica, talvolta contrastato sia da ecologisti che da esponenti della sinistra radicale. Secondo alcune interpretazioni dell’ecologia integrale, in quanto cultura del limite, la pala eolica va limitata in quanto modifica in modo sostanziale il “paesaggio” e in quanto rischio potenziale per gli animali, in particolare uccelli migratori. L’intenzione di limitare l’eolico, per un esponente della cultura di sinistra, si basa invece sulla constatazione, per me lapalissiana, che la proliferazione delle pale eoliche viene promossa da società economiche, peraltro in buona parte multinazionali. Cioè è l’intenzionalità della ricerca del profitto che procura l’opposizione, non la pala eolica in se. Questa confusione di punti di partenza può agevolmente produrre una difficoltà di sintesi (tra ecologismo e materialismo storico) soprattutto laddove esse dovessero misurarsi in una condizione di “governo” meno marcata è la difficoltà di sintesi laddove le due culture si trovano in una condizione di opposizione.
Un altro esempio calzante è riferibile all’opposizione alla cementificazione ovvero alla realizzazione di inceneritori. Un ecologista vi si oppone sulla base del concetto di limite e in base al principio di precauzione, il materialista storico vi si oppone in quanto strumento di arricchimento della “classe capitalista”, in quanto l’edificio o l’inceneritore vengono proposti al fine della realizzazione di un profitto, ovvero non vi si oppongono se prevale, nella visione materialistica l’opportunità di creare lavoro.
Più complesso, ma altrettanto diversificato è il concetto di “pacifismo” come declinato dalle due culture politiche. Per un ecologista si tratta di una consequenzialità alla cultura del limite, per tanto la gestione di qualsiasi conflitto dovrebbe essere praticata con criteri non violenti e con soluzioni negoziali. Difficilmente un ecologista occupa una proprietà privata o partecipa a manifestazioni violente, salvo praticare (come ad esempio fanno gli attivisti di Ultima Generazione) alcune azioni nonviolente per impedire qualcosa o per sensibilizzare l’attenzione dell’opinione pubblica. Per un esponente della sinistra, già di per se favorevole idealmente alla “lotta di classe”, l’occupazione ovvero il danneggiamento di proprietà privata (danneggiamento vero, non con vernici idrosolubili) è una pratica ammissibile se promossa contro la “classe padrona”, in alcuni casi è, implicitamente, ammissibile anche il pestaggio di un fascista. Pertanto, esclusivamente sul piano ideale, una guerra rivoluzionaria contro l’oppressione è concettualmente ammissibile, mentre una guerra difensiva, se praticata da uno stato “neoliberale” va contrastata. Nonostante queste differenze valoriali, è facile per un ecologista e un materialista incontrarsi nel criticare una guerra.
Fatte queste dovute considerazione eminentemente filosofiche, è facilmente comprensibile l’impossibilità di costruire un soggetto politico unico, che finirebbe, come è accaduto per il tentativo già praticato con Sinistra Ecologia libertà, nel breve tempo, alla fagocitazione della cultura ecologica da parte di quella materialista. Ma è anche facilmente comprensibile che in una logica di cultura del limite estesa alla salvaguardia dell’ambiente, l’alleato più omogeneo è il materialismo storico, in quanto cultura antagonista del sistema abitualmente in voga in tutto il mondo, legato alla produzione del profitto e alla conservazione dell’attuale élite dominante.
La formula dell’Alleanza consente quindi ad un elettore di cultura ecologista di votare volentieri la lista AVS, sapendo che essa comunque produrrà anche rappresentanti della sua cultura politica, che potranno agevolmente promuovere politiche di contrasto all’attuale modalità di gestione del potere al fine di cambiarla, per l’ecologista l’obiettivo è cambiare la modalità di gestione per estendere la tutela dell’ambiente, per il materialista il cambio è funzionale alla realizzazione di un sistema di potere alternativo in cui non vi siano classi sociali.
Una cultura del limite basa le sue argomentazioni sul pensiero critico, sul principio di precauzione e sulla delimitazione del potere, sia esso politico che economico. L’approccio “rivoluzionario” è praticato a livello teorico al fine di modificare le abitudini e le storture di un sistema politico/economico che negli ultimi anni ha prodotto un accrescimento delle diseguaglianze, soprattutto in termini di opportunità, e una radicalizzazione, quasi ideologica del primato del profitto come metro di successo. In questa critica all’ideologia postiliberista del profitto si nasconde l’equivoca sovrapponibilità del programma ecologista e del programma materialista. Nell’un caso ci troviamo di fronte ad un paradigma di contestazione per limitare il potere economico, pur riconoscendo la funzionalità del sistema basato sull’economia di mercato, nell’altro caso permane la volontà di sostituire al sistema “economia di mercato” un altro sistema che, se non è più la nazionalizzazione dei beni di produzione e l’instaurazione della dittatura del proletariato, si prospetta in una vaga rivoluzione in cui, senza spiegarne le modalità, si promuove una società perfetta in cui l’egoismo e l’istinto accaparratore vengano aboliti.
Negli anni ’80 alcuni ecologisti promossero, sulla scorta di esperienze già sperimentate nei paesi nordici, la creazione delle strisce blu nelle grandi città, al fine di porre “un limite” all’utilizzo dei mezzi di trasporto privati. Fu la sinistra “materialista” ad opporsi con più veemenza accusando quella proposta di essere classista. Alex Langer, ecologista morto nel 1995, diede un consiglio agli ambientalisti dell’epoca: «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile» (Intervento ai “Colloqui di Dobbiaco 94” sul tema del «Benessere ecologico», 8-10 settembre 1994). Proprio per superare la favoletta, che oggi ci propinano soprattutto i neopopulisti, che le questioni ambientali sono questioni da ricchi.
«Da qualche secolo ed in rapido crescendo si produce falsa ricchezza per sfuggire a false povertà. Di tale falsa ricchezza si può anche perire, come di sovrappeso, sovramedicazione, surriscaldamento ecc. Falso benessere come liberazione da supposta indigenza è la nostra malattia del secolo, nella parte industrializzata e “sviluppata” del pianeta. Ci si è liberati di tanto lavoro manuale, avversità naturali, malattie, fatiche, debolezze − forse tra poco anche della morte naturale − in cambio abbiamo radiazioni nucleari, montagne di rifiuti, consunzione della fantasia e dei desideri. Tutto è diventato fattibile ed acquistabile, ma è venuto a mancare ogni equilibrio».
In questa visionaria frase, anch’essa tratta dall’intervento di Langer ai “Colloqui di Dobbiaco 94”,è racchiusa l’incompatibilità ideale tra ecologismo e materialismo storico, a meno che non ci avventurassimo a rappresentare l’ecologismo, come una adattamento della previsione marxista della crisi del capitalismo. Ma non potendo ritenere oggettivamente Langer come un seguace del materialismo storico, la visione langeriana ci porta a una interpretazione della storia e dell’economia profondamente confliggente con il marxismo. Infatti Langer chiarisce in maniera inequivocabile che la strada non può essere la creazione di uno «Stato etico ecologico, l’eco-dirigismo o eco-autoritarismo possibilmente illuminato e possibilmente mondiale». Una sorta di dittatura degli ecologisti come parafrasi della dittatura del proletariato, unica soluzione per imporre per legge il limite all’inquinamento, come per il materialismo doveva essere per eliminare il “plusvalore”. La “rivoluzione ecologica” è una rivoluzione meramente culturale, la politica ecologica è la limitazione parziale della libertà assoluta, avversaria in questo senso dell’ideologia postliberista che teorizza l’assoluta e illimitata libertà personale: una sorta di diritto alla qualunque.
Un ecologista si concentra quindi sulla limitazione del potere, sia esso individuale, di governo o economico, un materialista si concentra sul controllo del potere, nell’ideale convinzione che assunto il controllo del potere potrà indirizzare il mondo verso il “sol dell’avvenire”.
L’alleanza tra ecologismo e materialismo potrà quindi esserci esclusivamente al fine di indebolire il potere, ma sarebbe impossibile la convivenza nel momento in cui questa alleanza dovesse conquistare il potere, perché l’uno vorrebbe limitarlo, l’altro utilizzarlo, benché entrambi mossi da un’idealità positiva. L’ecologismo tende all’equilibrio il materialismo all’uguaglianza totale.