di maurizio fumo
Di fronte ad un problema ci sono, in astratto tre opzioni: A) lo si ignora, B) lo si risolve (o almeno ci si prova), C) lo si elimina.
Ebbene, per quel che riguarda la eccessiva (intollerabile) durata dei processi (penali, ma, molto di più, civili), per decenni si è operata la scelta A; ora si è passati alla C con la così detta “riforma” Cartabia, che si occupa prioritariamente (ma perché?) del processo penale e non di quello civile.
Il ritornello del “ce lo chiede l’Europa” è solo una mezza verità (e dunque una vera bugia): l’Europa (se proprio vogliamo usare questa ipostasi) ci chiede di ridurre i tempi dei processi, non certo di cancellare i processi; l’Europa ci considera – a ragione – un paese con un alto tasso di corruzione e dunque come potrebbe gioire se i processi per corruzione rischiano di evaporare in secondo grado o in cassazione?
In realtà questa “riforma” assomiglia più al gioco delle tre carte, o – se preferite un eloquio più accademico – all’Etikettenbetrug (truffa delle etichette) della dottrina giuridica tedesca: si affibbia il nome di improcedibilità a quella che in realtà è e rimane una forma abbreviata di prescrizione; infatti l’effetto è lo stesso: il processo non si fa, non va avanti, si blocca, l’imputato diventa “improcedibile”, la parte lesa (o presunta tale) non riceve giustizia.