di riccardo mastrorillo
In questi giorni stiamo assistendo ad una sequela di sciacallaggi politici su una vicenda tragica e drammatica. Lo sciacallaggio pervade l’intero paese: politici, tecnici e financo i giornalisti, in questi giorni hanno cercato di addossare responsabilità, prevalentemente sbagliando bersaglio.
Ci sono due diverse responsabilità, una, quella penale, l’accerterà, se c’è, la magistratura, ma vi è una più grave e pervasiva responsabilità culturale, strutturale nel nostro paese.
Il 15 agosto Antonio Polito, sul Corriere della Sera, individua la crisi nel fatto che il nostro Paese ha smesso di credere nell’idea di progresso, sostenendo che in Italia non si fa né manutenzione né si costruiscono grandi opere. Crediamo che il problema sia più complesso, che si debba finalmente fare chiarezza su alcuni punti essenziali; andiamo per ordine:
- la smitizzazione dell’umano
Ci siamo convinti che, grazie alla tecnologia, tutto sia permesso all’uomo: violentare la natura, manomettere il clima, costruire dove è imprudente, tutto nel nome del progresso inarrestabile, questa sciagura dovrebbe farci riflettere intanto sulla debolezza umana e sull’impossibilità di fare tutto. Gli anni in cui fu costruito il viadotto Morandi erano appunto gli anni delle grandi opere, tra queste, una per tutte, c’era la diga del Vajont… potremmo oggi riflettere laicamente sul fatto che in quegli anni l’uomo ha forse compiuto qualche errore, soprattutto a causa del suo delirio di onnipotenza? Potremmo trarne un insegnamento per il futuro?
In tutti questi giorni pochi hanno fatto notare che, sotto al viadotto, insistevano abitazioni e fabbriche e forse, potremmo domandarci, se quelle abitazioni e quei capannoni fossero situati in un posto sbagliato? Ecco, questa è una seria responsabilità, forse anche penale, da approfondire.
- la politica dei trasporti ferma al secolo scorso
Non serve essere ingegneri per comprendere che la quantità di automezzi, soprattutto camion e Tir, che transitavano quotidianamente su quel viadotto ha contribuito non poco al deterioramento della struttura, ha ragione Polito quando sostiene che siamo un paese che ha smesso di credere nell’idea di progresso, infatti continuiamo, come 50 anni fa, a considerare il trasporto su gomma come l’unico trasporto utilizzabile. Certo, se si fosse costruita la famosa Gronda, il carico di traffico si sarebbe presumibilmente ridotto sul viadotto Morandi, o forse più persone avrebbero scelto di usare l’automobile, presumendo che sarebbe diminuito il traffico. Ci domandiamo se non sia arrivato il momento di implementare e finanziarie un sistema efficiente di trasporto pubblico alternativo e moderno, magari senza condizionarlo alla sua economicità?
- L’economia liberale non neoliberista
Ernesto Rossi, Luigi Einaudi e altri esponenti della cultura liberale, sono da molti ritenuti liberisti in economia, non è questa l’occasione di soffermarci a spiegare le enormi differenze tra l’economia liberale, liberismo e, quell’anarcocapitalismo, che oggi è definito semplicisticamente neoliberismo; una cosa è certa, per un liberale (compresi Einaudi e Rossi) il monopolio è assolutamente negativo, ed infatti, si ritiene che vi siano alcuni monopoli “naturali”, e tra questi vi è indubbiamente il trasporto pubblico, che non possono essere privatizzati. Non possiamo affermare con certezza che, se fosse stato ancora di proprietà dello Stato, il viadotto sarebbe stato manutentuto meglio, anzi ne dubitiamo fortemente, ma potremmo domandarci, sempre laicamente, se è opportuno affidare ad un privato la gestione di opere che, per loro natura e per lo scopo cui sono state destinate, non possono garantire al contempo efficienza, sicurezza e remuneratività? E soprattutto possiamo dubitare che la gestione di alcuni servizi possa avere un risultato economico e non debba essere invece sovvenzionata dalla fiscalità generale?
La responsabilità politica e morale di quanto è accaduto ricade su ciascuno di noi, sulla nostra cialtroneria, sul nostro pressapochismo e sulla nostra irresponsabilità, sommata al delirio di onnipotenza per cui tutto ci è permesso…. anche costruire case sotto un viadotto o a ridosso di corsi d’acqua in zone idrogeologicamente insicure.
Concordo pienamente.
Solo una precisazione. La maggioranza delle case e degli edifici produttivi esistevano già quando il ponte è stato progettato. Tant’è vero che la sua costruzione ha comportato interventi “chirurgici” sull’esistente (tipico il caso del cornicione di un palazzo tagliato per far passare una delle pile del ponte). Non so invece quanto sia stato fatto per prevenire l’impatto sugli edifici sottostanti, non dico di un eventuale crollo, ma almeno dei lavori di manutenzione.