di beatrice brignone (Possibile)
Quest’anno ci siamo avvicinati all’8 marzo con le dichiarazioni di Matteo Salvini sull’aborto, gravissime e strumentali. Di fronte a consultori sempre più depotenziati, all’aumento dei medici obiettori, alla mancanza di politiche per le famiglie, è necessaria una risposta a chi parla ignorando la legislazione in vigore, colpevolizzando chi non vuole affrontare una gravidanza, mettendo in discussione il diritto di scelta delle donne.
Per rispondere alle sue parole, per ristabilire un minimo di verità, va fatta chiarezza:
1) Nessuna donna abortisce in Pronto Soccorso: l’interruzione volontaria di gravidanza è regolata da 40 anni dalla Legge 194, che prevede un percorso lungo e tortuoso: bisogna presentare un certificato di gravidanza, poi c’è un colloquio obbligatorio con un medico, che è tenuto per legge a esaminare con la paziente possibili alternative. Poi sette giorni obbligatori di attesa. Infine l’operazione.
2) Qualcuno chiede di abortire in Pronto Soccorso? Sì, sono le donne (spesso quelle più in difficoltà) che non hanno idea dell’esistenza dei consultori, e che vengono rimandate a casa.
3) A cosa si riferiva Salvini, allora? Probabilmente alla cosiddetta “pillola del giorno dopo”, che può essere effettivamente data in pronto soccorso, oltre che nelle farmacie e nelle parafarmacie;
4) In commercio esistono due tipi di pillola del giorno dopo: Norlevo (Levonorgestrel) e Ellaone (Ulipristal acetato). Entrambe vanno assunte il prima possibile dal rapporto a rischio, la prima necessariamente entro 72 ore, la seconda entro 120 ore.
5) Qui c’è il punto chiave: la “pillola del giorno dopo” NON è un metodo abortivo, ma anticoncezionale. Agendo prima del concepimento, blocca l’ovulazione e la sposta di circa cinque giorni, rendendo infecondabile l’ovocita.
6) “Fa male”, come dice Salvini? No. Lo ha spiegato Emilio Arisi, ginecologo e presidente della Società Medica Italiana per la Contraccezione: “In quanto ai fenomeni collaterali non esiste farmaco che non ne abbia dall’aspirina agli antibiotici. Nel caso della CE (contraccezione d’emergenza, come sarebbe più giusto chiamarla) sono modesti e di poco significato clinico, a maggior ragione se posti in relazione con l’obiettivo che si vuole ottenere con la contraccezione emergenza, cioè evitare una gravidanza non desiderata con tutti i suoi ben maggiori problemi medici e sociali”.
7) Perché in pronto soccorso? Perché, anche se i farmacisti non possono avvalersi dell’obiezione di coscienza, non sempre i farmaci sono reperibili e sono molti i casi in cui i farmacisti si sono rifiutati di venderli, adducendo motivazioni etiche. Alcuni di questi casi sono finiti in tribunale: in uno di questi, chiusosi nel 2018 con l’assoluzione del farmacista non perché il suo comportamento fosse stato legittimo ma per la “tenuità del fatto” (poiché il giudice ha presunto che il farmaco potesse essere reperibile altrove), l’avvocato dell’imputata era Simone Pillon.
8) Qui c’è un altro punto chiave: la tendenza dell’ultradestra, ben rappresentata da Salvini e Pillon, è di spacciare la contraccezione di emergenza per aborto. “La somministrazione della pillola abortiva o di altri tipi di farmaci non è uno scherzo”, aveva detto Vito Comencini, consigliere comunale della Lega di Verona, capitale italiana (e mondiale, dopo il Congresso della Famiglia dell’anno scorso) degli anti-choice. “Siamo ben felici che anche la Corte abbia voluto mandare esente da responsabilità penale la nostra assistita, che ha scelto coraggiosamente di seguire la voce della propria coscienza per difendere la vita umana fin dal concepimento”, aveva detto lo stesso Pillon, commentando la sentenza di assoluzione di cui parlavo prima. Obiettivo? Il solito. Colpevolizzare le donne, ridurre i loro diritti.
9) La dichiarazione di Salvini, quindi, è strumentale, come tutte le sue dichiarazioni: prende un caso limite (una donna che ricorre alla contraccezione d’emergenza per sette volte), cambia i termini del discorso (non “ricorrere alla contraccezione d’emergenza” ma “abortire”), aggiunge un tocco di razzismo (le donne nel suo discorso sono “straniere”) e strizza l’occhio all’ultradestra bigotta che continua a rappresentare, nonostante le “svolte moderate” di cui tanto si sente parlare.
Un ultimo appunto: chi vuole davvero ridurre il numero di aborti in Italia (anzi, meglio sarebbe dire “continuare a ridurre”, visto che il numero è in costante calo da anni, anche grazie al ricorso alla contraccezione d’emergenza) dovrebbe puntare su tre aspetti: politiche per le famiglie, considerando le loro necessità e i loro bisogni durante tutto l’arco della loro vita (non solo al momento del concepimento), un investimento significativo dello Stato sui consultori e una corretta educazione alla sessualità, che passi anche attraverso la contraccezione gratuita almeno per alcune categorie a rischio. Cose di cui Salvini non vuole sentire parlare, ovviamente.
Anche per questo saremo in piazza l’8 marzo, e sciopereremo il 9, e ci appelliamo alle principali forze sindacali affinché uniscano le forze in una lotta globale e facciano sentire la loro vicinanza alle donne di questo Paese.