di alessandro robecchi [il fatto quotidiano ]
[nella foto: il tipico proprietario di una discoteca , che per sopravvivere è costretto a integrare i suoi miserrimi guadagni notturni chiedendo di giorno l’elemosina]
C’è sempre da diffidare quando si sente la formuletta facile che recita: “Trasformare un problema in un’opportunità”. Di solito si intende che la sfiga resta per molti, quasi per tutti (il problema), e pochi, pochissimi, colgono la palla al balzo per guadagnarci (la famosa opportunità). Insomma, mi scuso in anticipo se userò questa formuletta in modo un po’ libero, ma insomma, i tempi sono quelli che sono e quindi sì, potremmo tentare davvero di trasformare un problema in opportunità.
CASO DI SCUOLA: gli aiuti che lo Stato, giustamente, elargisce ai settori in difficoltà, sia ai lavoratori (la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori) che alle aziende. Distribuiti a pioggia e senza troppi controlli nei primi mesi dell’emergenza Covid, sono diventati una coperta – corta, come sempre – che ognuno tira di qua e di là, sempre dalla sua parte, ovvio. Così la sora Meloni poteva tuonare “Mille euro a tutti”, dal bracciante a Briatore, e i capataz di Confindustria implorare di darli tutti a loro. Sono ben note le condizioni di partenza: una situazione drammatica mai vista, con il Paese chiuso, molte produzioni ferme, i lavoratori in casa, eccetera eccetera. Un errore, non aver messo limiti e paletti adeguati alla distribuzione di soldi, vero, e un’unica scusante abbastanza potente: la fretta e – appunto – l’emergenza. Poi si è scoperto che almeno il trenta per cento delle aziende ha fatto lavorare i dipendenti lo stesso, pagandoli con soldi nostri (la cassa integrazione invece dello stipendio), il che è stato quantificato come un furto di circa 2,7 miliardi, non un dettaglio, insomma. Questo il problema. Veniamo all’opportunità.
Il decreto di chiusura delle discoteche offre un buon esempio per la discussione. Attentato al libero mercato, dicono i gestori, con Salvini che si accoda, forse memore dei balletti con le cubiste del Pa-peete, e lady Santanchè che si fa riprendere mentre danza, si ribella, dice che la sua, di discoteca, non chiuderà. Tutto bellissimo. Poi vai a cercare qualche dettaglio ed eccolo qui. Proprietari e gestori di discoteche, a leggere gli studi di settore (quando ancora c’erano) e le dichiarazioni dei redditi degli anni successivi, non superano in media i 18.000 euro di reddito annui, un giro d’affari che sembrerebbe miserabile anche per una piccola salumeria.
I titoli dei giornali se la prendono sempre con i gioiellieri che guadagnano meno delle loro commesse – un classico -, ma a giudicare dai dati del ministero dell’Economia (basta cercare “discoteche dichiarazioni dei redditi”) si direbbe che chi possiede una sala da ballo col bar, le luci abbaglianti, il dj, le cubiste e altre cose utili al divertimento, passi le sue giornate in fila alla Caritas, guidi una vecchia Panda del ’99 e mantenga la famiglia con meno di 1.200 euro al mese. Francamente, anche con molta buona volontà, è difficile da credere.
Ecco dunque l’opportunità: perché non cogliere l’occasione degli aiuti (sacrosanti, ripeto) per fare un serio controllo in alcuni (anche tutti) i settori economici? Intanto, ovvio, commisurare gli aiuti alle dichiarazioni dei redditi, dato che sarebbe pazzesco rimborsare oltre i guadagni dichiarati. E poi approfittare dei controlli per verificare le condizioni di lavoro: quali contratti? Quali inquadramenti professionali? Quanti lavoratori in nero? Possiamo vedere il cedolino di fine mese dei buttafuori o delle cubiste? I contratti dei dj? Coraggio, Inps, Inail, ministero del Lavoro! Trasformiamo un problema in un’opportunità!
Un commento su “Discoteche, i gestori dichiarano solo 18 mila euro all’anno: cifre da Caritas”