IN DIFESA DEL PARLAMENTO

di pietro polito,  Direttore Centro studi Piero Gobetti

Il Referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre 2020 è (sarà) un passaggio importante per il futuro della democrazia rappresentativa in Italia. Per questa ragione occorre che si attivi un dibattito pubblico sul ruolo e le funzioni del Parlamento per “contrastare l’inquinamento dell’opinione pubblica, qualunque sia la risposta delle urne”[1]. Dall’una e dall’altra parte gioverebbe evitare sia la demonizzazione sia la ridicolizzazione dell’avversario. Se da un lato non spira aria di fascismo, dall’altro non tira “un’arietta da crociata, tra i santi soldati che innalzano gli stendardi dei No”[2]. Che senso ha, sia pure per ragioni polemiche, ridurre i fautori del No al livello di “tifosi” e o “vestali”?[3]. O addirittura, l’accusa, ingenerosa e irricevibile, viene rivolta a “certi intellettuali di finta sinistra” (Roberto Saviano e altri), a “complici della destra prefascista”  o “cretini”?[4].

Il Parlamento ha ancora un senso? Va riformato o abolito? La domanda va presa sul serio almeno per due motivi. Il primo è un motivo politico: il Parlamento nelle democrazie contemporanee – specie il Parlamento italiano – da qualche tempo a questa parte non ha dato e non dà certo buona prova di sé. Il secondo è storico: l’antiparlamentarismo ha una storia antica e Cinque Stelle non è certo il primo né sarà l’ultimo movimento, ora divenuto Partito dopo anni di esperienza parlamentare all’opposizione e al governo, a scagliare i suoi strali contro il Parlamento.

Occorre dire che nella storia dell’antiparlamentarismo va distinta una critica di sinistra e una di destra: l’una mira allo slargamento del Parlamento verso il basso, la democrazia diretta, da non confondere con la democrazia digitale, affiancata alla democrazia rappresentativa; l’altra persegue la cancellazione della democrazia attraverso la soppressione tendenziale del Parlamento[5]. C’è stato storicamente un antiparlamentarismo di sinistra la cui massima espressione è stata l’ideologia comunista del partito unico.

L’antiparlamentarismo odierno impasta confusamente e indistintamente argomenti di destra e di sinistra con una curvatura che dell’una e dell’altra tradizione accentua l’elemento autocratico su quello democratico. Se, come osserverebbe Aldo Capitini, la crisi del Parlamento e della democrazia può essere affrontata dalla parte dell’uno o dalla parte dei tutti, mi pare fuori di dubbio quale sia la natura dei nemici attuali del Parlamento in Italia e in altre aree del mondo. A difendere la centralità del Parlamento siamo rimasti in pochi.

Volendo riassumere l’antiparlamentarismo degli anni Duemila in una formula ad effetto, ci sorreggono non le analisi di questo o quel pensatore politico quanto piuttosto gli argomenti di un uomo di spettacolo che ha avuto successo sul piano politico. Infatti, si può ricorrere alla famosa dichiarazione di Beppe Grillo: “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, richiamata da Giovanni Belardelli non come “la boutade di un comico” ma come “la delineazione di un obiettivo poi in buona parte raggiunto”[6].

Abbiamo di fronte “un antiparlamentarismo giunto all’ultimo stadio”[7], uno strano ircocervo con la testa di destra e le gambe e le braccia di sinistra. I suoi principali argomenti sono stati anticipati e ben delineati nel discorso pronunciato da Beppe Grillo per la presentazione delle liste del movimento/poi Partito alle elezioni politiche nazionali del 24 e 25 febbraio 2013, in cui si trova per la prima volta l’assimilazione del Parlamento a una scatoletta di tonno da aprire.

Primo. Il Parlamento è inutile: “una cosa è certa”: il Parlamento –Grillo affermava allora (afferma oggi?) – non serve praticamente a nulla. Sarebbe opportuno chiarire se l’accusa rivolta al Parlamento allora in carica, in realtà all’istituzione parlamentare in quanto tale, riguarda anche il Parlamento attuale all’interno del quale la maggioranza dei deputati e dei senatori è espressa dai Cinque stelle che sono al governo dall’inizio della legislatura con due esecutivi di segno politico opposto: giallo-verde prima, giallo-rosa poi.

Secondo. Il Parlamento non è rappresentativo:  il “luogo centrale della nostra democrazia è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini”. Col linguaggio di Grillo che non è il mio, il Parlamento ci appare come “un corpo in agonia” che “emette sussurri, rantoli, gemiti … raccolti da volenterosi giornalisti per il gossip quotidiano”.

Terzo. Il Parlamento è autoreferenziale: i deputati e i senatori non venivano eletti dal popolo ma “nominati”. Al di là del linguaggio più o meno colorito, si può negare che questa rappresentazione della situazione italiana non sia sostanzialmente corrispondente al vero? La qualità umana spesso modesta dei rappresentanti del popolo dipende dal rapporto che attraverso i diversi sistemi elettorali si viene a stabilire tra eletto e elettori e dal fatto che sono i vertici di partito che decidono chi entra il Parlamento[8].

Quarto. Il Parlamento è privo della sua autonomia: “i parlamentari nominati dai partiti non rappresentano nessun elettore, neppure se stessi”; essi “sono solo impiegati con un ottimo stipendio adibiti a pigiare bottoni a comando”; infine “qualcuno [di loro], scelto tra i più fedeli, viene utilizzato alla bisogna per raccontare frottole in televisione su canali lottizzati”. Domanda: “Questo discorso riguarda pure i deputati e i senatori “nominati” da Rousseau?”.

Quinto. Il Parlamento è stato privato del potere di fare le leggi: secondo l’articolo 76 della Costituzione, “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Come si fa a negare che il compito di fare le leggi si sia spostato dal Parlamento al governo? Si può non definirla con Grillo “una situazione degna di deliri da funghi allucinogeni”, ma in Italia il Parlamento funziona esattamente come viene descritto dal comico pentastellare: “le leggi, al suo posto, le fa il Governo sotto forma di decreti a pioggia, quasi sempre approvati in aula. Il Governo, in teoria, ha il compito di governare, non di sostituirsi al Parlamento. Camera e Senato, sono diventati un luogo di nominati che approvano le leggi del Governo”.

Sesto. Il Parlamento ha perduto il potere di sfiduciare il Governo in carica: in realtà, più che averlo perduto,  il Parlamento non lo ha mai esercitato. L’art. 94 della Costituzione non è mai stato applicato. Nella storia repubblicana solo Prodi è stato sfiduciato in Parlamento: in tutti gli altri casi abbiamo avuto crisi extraparlamentari. Da ultimo, ha fatto clamore l’avvento del governo Monti avvenuto senza alcun voto di sfiducia al governo Berlusconi[9]. Osservo che le regole valgono quando l’avvicendamento è tra un governo di destra e uno di sinistra, tra uno di sinistra e uno di destra, anche quando subentra un governo del Presidente.

Settimo. Il Parlamento è incostituzionale: il Parlamento dei nominati viene eletto con un sistema elettorale incostituzionale (il Porcellum).

Sulla base di questi argomenti, Grillo si chiedeva allora (si chiede oggi?): “A che serve questo Parlamento? A cosa servono le elezioni?”. La sua risposta era (è?) senza appello: “Il Parlamento potrebbe chiudere domani, nessuno se ne accorgerebbe. È un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica. O lo seppelliamo o lo rifondiamo. La scatola di tonno è vuota. Ripeto: la scatola di tonno è vuota”.

Dunque: il Parlamento lo seppelliamo o lo rifondiamo?

Diffidavo allora nel 2013, a maggior ragione diffido oggi nel 2020, quando sento discorsi che, con argomenti almeno in parte condivisibili, lasciano anche solo trapelare l’idea che in democrazia si possa fare a meno del Parlamento. Non c’è democrazia senza Parlamento e non c’è Parlamento senza democrazia. L’immagine del Parlamento come una “tomba maleodorante” ricorda troppo da vicino il “discorso del bivacco”, pronunciato da Benito Mussolini alla Camera dei deputati il 16 novembre 1922: “Con trecentomila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infrangere il Fascismo. Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”[10].

Ai privi di memoria ricordo due brani di Piero Gobetti, anch’egli inizialmente malato di antiparlamentarismo, successivamente a poco a poco divenuto persuaso dell’importanza e dell’irrinunciabilità del parlamento nella lotta per lui mortale contro il fascismo. Già all’inizio del suo percorso nell’articolo La nostra fede, prima dell’avvento della dittatura, nel 1919 scriveva: “Il regime rappresentativo non ha più il favore popolare. Ma che cosa volete sostituirvi? La teocrazia?”[11]. Successivamente, il 2 novembre 1922, pochi giorni dopo la Marcia su Roma del 28 ottobre, afferma: “Ci ha amareggiato in questi giorni il vedere con quanta indifferenza sono considerate le libertà più elementari di stampa, di associazione, di parola. Il popolo nostro non le merita, non le sente, perché non le ha conquistate”[12].

Per democrazia si può intendere alla maniera di Piero Gobetti un processo di allargamento delle istituzioni che favorisca il continuo ricambio delle classi dirigenti e a lunga scadenza prepari l’affermazione delle nuove classi dirigenti espresse dalle classi popolari. In estrema sintesi Gobetti ritiene che il conflitto tra i partiti in Parlamento si riduce  a una mera contrapposizione tra “schemi”, se non è espressione di “forze” reali attive nella società; al tempo stesso la lotta sociale si rivela distruttiva se non si compone in parlamento:  “Il regime parlamentare — scrive nel volume La Rivoluzione Liberale  —, nonché contrastare a questa legge storica della successione dei ceti e delle minoranze dominanti, non è che lo strumento più squisito per lo sfruttamento di tutte le energie partecipanti e per la scelta pronta dei più adatti”[13].

L’atteggiamento dei partiti verso il Referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre 2020 appare confuso e francamente poco serio[14]. Eppure a me pare chiaro che siamo chiamati a scegliere tra parlamentarismo e antiparlamentarismo: “Si vota per la Costituzione, non per un partito. E sono in gioco le istituzioni permanenti della Repubblica italiana, non i nostri provvisori governanti”. La sovrapposizione tra i due piani distinti, l’uno costituzionale, l’altro politico, “svilisce il l’autorità della Costituzione, ne contamina il valore asservendolo alla politica dei politicanti, al gioco quotidiano dei vincenti e dei perdenti”[15]. Si stenta a capire che la Costituzione è un bene comune che si deve sottrarre alla politica contingente[16].

Nella sua ispirazione politica generale prevalente, il taglio lineare del numero dei deputati e dei senatori persegue la deparlamentarizzazione del sistema politico ed è il frutto di una visione politica coerentemente antiparlamentare che alla democrazia rappresentativa ritenuta vuota e ingannevole contrappone la democrazia diretta considerata non una integrazione ma una sorta di pass partout che apre tutte le scatole[17]. La diminuzione dei parlamentari, se pur presentata da alcuni come l’inizio di un processo riformatore costituzionale, volto a migliorare la qualità della rappresentanza o a far funzionare meglio il Parlamento, di fatto mira a colpire i politici di professione, considerati tout court una casta di parassiti e di profittatori che occorre penalizzare.

Intendiamoci, i nemici e gli amici del Parlamento non stanno indistintamente e compattamente o dall’una o dall’altra parte. L’autorevolezza del Parlamento sta a cuore sia ai costituzionalisti per il No sia a quelli per il SI[18]. Pur tuttavia, il giudizio impegna solo chi scrive, la vittoria del SI limita la rappresentanza e dà più forza alle oligarchie perché comporterebbe una restrizione del pluralismo ideale, politico e territoriale, prevarrebbero le grandi formazioni e i grandi territori, il voto degli italiani cesserebbe di contare allo stesso modo, almeno fino a quando il Parlamento non apporterebbe i correttivi necessari per garantire una adeguata rappresentanza popolare. Soltanto la vittoria del No, o almeno una vittoria non plebiscitaria del SI al referendum, potrebbe porre un freno alla marginalizzazione progressiva del Parlamento e avere di conseguenza un altro importante effetto benefico: quello di spingere milioni di italiani ad abbandonare le illusioni dell’antipolitica[19]. Il NO che emerge da queste pagine è un SI, un SI al Parlamento. Questo Paese ha bisogno di più, e non già di meno, Parlamento.

L’abolizione o lo svuotamento di significato dei parlamenti è stata e continua a essere l’anticamera dell’abolizione o dello svuotamento di significato delle democrazie. Se nell’ambiguità dei partiti (escluso Cinque stelle) e con l’avallo popolare passa il messaggio che quanti meno fossero i parlamentari tanto meglio è, a qualcuno potrebbe venire in mente di portare alle estreme conseguenze il (falso) ragionamento: “E se si sopprimessero tutti, non sarebbe ancora meglio?”. Di taglio in taglio si arriverebbe alla meta finale perseguita dall’antiparlamentarismo di ogni tempo e di ogni colore: la scomparsa totale del Parlamento.

Purtroppo, non è vero che la storia non si ripete.

Note:

[1] Domenico Gallo, Riduzione dei parlamentari, perché no! in www.volerelaluna.it, 24 gennaio 2020. Questa è “la principale e più valida indicazione di orientamento anche perché, chiunque vinca, i problemi da affrontare saranno esattamente gli stessi”;  prima e dopo il 21 settembre, “è necessario interloquire con le posizioni più razionali e democratiche del SI e del NO per uscire dalla trappola e per parlare ai tanti cittadini che hanno perso fiducia nei partiti politici e nel Parlamento”. Felice Ippolito, Il nodo resta la centralità e il ruolo del Parlamento, “il manifesto”, venerdì 14 agosto 2020, p. 15.

[2] Pino Corrias, I nuovi crociati del “NO” con gli sci in spalla, “Il Fatto quotidiano”, martedì 8 settembre 2020, p. 9.

[3] Filoreto D’Agostino, Flick e il guazzabuglio logico dei tifosi del NO, “Il Fatto Quotidiano”, mercoledì 9 settembre 2020, p. 11). Non vale specularmente il contrario?

[4] Spiace che certi toni vengano usati dal grande sociologo Domenico De Masi,“L’odio per i grillini è cretino, oppure complice di Salvini”, intervista a cura di Giacomo Salvini, “Il Fatto Quotidiano”, venerdì 11 settembre 2011, p. 3. Per Barbara Spinelli, il “No di Sinistra” è “un maledetto imbroglio”, “Il Fatto Quotidiano”, domenica 13 settembre 2020, p. 19.

[5] Francesco Pallante, Contro la democrazia diretta, Einaudi, Torino 2020. La ripresa attuale della democrazia diretta “va piuttosto etichettata come ideologia del direttismo democratico”.  Massimiliano Panarari, Libertà di voto, “L’Espresso”, 13 settembre 2020, p. 7.

[6] G. Belardelli, Le troppe illusioni causate dall’antipolitica, “Corriere della Sera”, giovedì 3 settembre 2020, p. 26.

[7] Carlo Galli, Se il Parlamento diventa più debole, “la Repubblica”, sabato 29 agosto 2020, p. 27.

[8] Stefano Folli, Parlamento, la qualità perduta, “la Repubblica”, martedì 11 agosto 2020, p. 27 e Piero Ignazi, La stella perduta della virtù, Ivi, giovedì 13 agosto 2020, p. 27.

[9] Paolo Bagnoli, L’eclisse. L’Italia del montismo e della “non politica”, Biblion, Milano 2013.

[10] “Non a caso è sempre stato il parlamento, quell’aula sorda e grigia, il primo obiettivo dell’azione demolitrice di ogni totalitarismo in ogni luogo del mondo”. Emilio Siriani, La Costituzione non ha bisogno di un altro sfregio, venerdì 11 settembre 2020, p. 15.

[11] P. Gobetti, La nostra fede, in “Energie Nove”, serie II, n.1, 5 maggio 1919, p.1-8.

[12] P. Gobetti, Delizie indigene, “La Rivoluzione Liberale”, a. I, n. 32, 2 novembre 1922, p. 122.

[13] P. Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Cappelli, Bologna 1924. Cito dalla nuova edizione a cura di E. Alessandrone Perona (1983); Einaudi, Torino 1999, p. 46.

[14] Giovani Orsina, La politica senza serietà. I partiti confusi verso il Referendum, “La Stampa”, giovedì 27 agosto 2020, pp. 1 e 21.

[15] Michele Ainis, Un voto per la Costituzione. Che cosa c’è in gioco nella scelta sul referendum, “la Repubblica”, martedì 1 settembre 2020, p. 26. Il quotidiano “la Repubblica” si è schierato per il NO: Maurizio Molinari, Perché votare NO al referendum, Ivi, giovedì 20 agosto 2020, pp. 1 e 26. Poiché “alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle costituzionali”, Gustavo Zagrebelsky sembra invitare a “starsene costituzionalmente sulle sue” (Se la Costituzione resta nascosta dietro una diatriba tutta politica, “la Repubblica”, domenica 23 agosto 2020, p. 9).

[16] Gianfranco Pasquino, Al referendum dico NO per difendere la Carta, “Il Fatto quotidiano”, mercoledì 20 agosto 2020, p. 11. Franco Monaco ha ragione quando esorta: Referendum: smettetela con l’uso politico del NO, “Il Fatto Quotidiano” venerdì 11 settembre 2020, p. 11, purché si inviti allo stesso modo a smetterla con l’uso politico del SI.  Fautore del SI, Monaco riconosce con onestà che l’avvertenza “vale anche per i sostenitori del SI. Tutti, si vorrebbe, consapevoli che la storia non finisce il 21 settembre, che la partita non si chiude lì”.

[17] “Ribadisco il mio NO dovuto all’antiparlamentarismo alla base della riforma, e al suo non essere accompagnata da misure che valgano a rafforzare autorevolezza e funzionalità del Parlamento mentre se ne riducono le dimensioni”. Roberta Calvano, Alla base del taglio c’è un intento antiparlamentare, “il manifesto”, sabato 22 agosto 2020, p.15. Come è stato ben detto, “la democrazia rappresentativa può ben essere integrata da cosiddette forme di democrazia diretta, ma non attraverso la mortificazione del Parlamento. Nella storia delle istituzioni rappresentative, alla crisi dei regimi parlamentari non hanno mai corrisposto forme di democrazia diretta, solo forme di più o meno accentuate di autoritarismo”. Luciano Violante, I rischi del SI e un’idea per i dem, “la Repubblica”, lunedì 7 settembre 2020, p. 24.

[18] Alberto Maria Benedetti, “Se vince il SI sarà più facile controllare l’operato dei parlamentari”, intervista a cura di Liana Milella, “la Repubblica”, 8 settembre 2020, p. 7; Valerio Onida,“Rappresentanza: dipende più dalla legge elettorale”, intervista a cura di Silvia Truzzi, mercoledì 8 settembre 2020, p. 7;  Michele Ainis, L’uovo e la gallina. Referendum perché voto si,

“la Repubblica”, giovedì 10 settembre 2020, p. 24. Per Ainis, l’obiezione dei fautori del No, “gira e rigira”, è “una soltanto: non darla vinta ai populisti. Ma il loro successo durerà tre giorni, la Costituzione – si spera – durerà trent’anni”. Durerà – il successo dei populisti – tre giorni?.

[19] Virginio Rognoni, Il pregiudizio contro il Parlamento, “Corriere della Sera”, domenica 30 agosto 2020, p. 30. I sondaggi danno un ampio margine di successo al SI: 7 o 8 cittadini su 10 sono orientati in quel senso. “Questo non vuol dire che abbiano necessariamente ragione. La maggioranza è solo un dato statistico. Se le maggioranze avessero sempre ragione, non avrebbe senso garantire le minoranze. […] Se anche ci fosse il 99% d’accordo ciò non vuol dire che perciò stesso avrebbero ragione”. Gaetano Silvestri, “Dico No al taglio perché vedo gravi pulsioni contro la democrazia”, intervista a cura di Liana Milella, “la Repubblica”, martedì 8 settembre 2020, p. 7.

[dalla newsletter del Centro Gobetti]

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