di paolo bagnoli
L’Unione Europea ha denunciato le carenze del nostro Paese per quanto concerne il suo essere uno “stato di diritto”. È un fatto grave da non prendere sottogamba. Si definisce, infatti, “stato di diritto” quello stato che è governato dalla legge e non dagli uomini. Se avessimo avuto bisogno di una ulteriore conferma della crisi della nostra democrazia l’abbiamo avuta: alla crisi della politica, peraltro, si associa sempre quella del diritto. Il presidente Mattarella, di par suo, è intervenuto subito con particolare fermezza. Nel mirino del discorso tenuto in occasione della cerimonia del Ventaglio, avvenuta a ruota delle dichiarazioni di La Russa sull’attentato squadristico di Casa Pound a Torino contro un giornalista de “La Stampa”, ha definito atti eversivi quelli perpetrati contro la libertà di stampa. Secondo un noto detto latino qui habet aures audiendi audiat!
I rilievi del Commissario Ue alla giustizia, Didier Reynders hanno puntato cinque punti, tutti riguardanti il campo dello “stato di diritto”. Sono: la riforma costituzionale del premierato; i danni della cancellazione dell’abuso d’ufficio; il mancato progresso sulla riforma della diffamazione relativamente alla difesa del segreto professionale dei giornalisti; la libertà di stampa poiché con la riforma Nordio e l’emendamento Costa se ne determina una restrizione al pari del diritto dei cittadini a essere informati; il problema della Rai e della sua indipendenza.
Il lungo arco del populismo decostruttore della politica democratica, iniziato con Berlusconi e incardinatosi ora, dopo vari passaggi intermedi che lo hanno incoraggiato e alimentato nel governo della destra dalla originaria matrice politico-culturale fascista, sta compiendo il proprio lavoro: sfarinare lo “stato di diritto”.
Con spirito di rivalsa sulla storia questo governo vuole dar inizio a una nuova fase basata su un nazionalismo nuovo e la sua forza portante legittima se stessa delegittimando quanto il dato costituzionale prevede vista la sua natura antifascista. È la nuda e cruda verità. In un parlare affollato e confuso di nazione, di italianità, di radici, i vinti vogliono diventare i vincitori. Dai comportamenti del governo trasuda l’intenzione di una quasi rivoluzione nazionale con il prevalere dell’autorità sulla libertà; sul fatto che loro rappresentano una specie di nuova aristocrazia e non sono un insieme indifferenziato espressione del popolo –in greco demos – “sulla potenza dello stato anziché sui diritti dei cittadini”, prendendo a prestito parole che sono di Norberto Bobbio. Insomma operando un vero e proprio salto all’indietro. Un incipit vita nova.
Che il disegno riesca è tutto da vedere. Al di là degli atteggiamenti e delle dichiarazioni dei corifei pubblicitari mandati a sparpadellare consunte enfatiche frasette nei telegiornali, il governo ci sembra entrato in una fase di crisi; l’atteggiamento binario tenuto dalla presidente del consiglio in occasione del recente passaggio europeo ne hanno incrinato il profilo tanto che ha, più di prima, continuato a estraniarsi rispetto a situazioni – come quella di Torino – che avrebbero richiesto un suo intervento e continuato a evitare ogni contatto diretto con la stampa. Potremmo aggiungere che, nel pieno delle celebrazioni matteottiane, si è limitata a dire che Giacomo Matteotti era stato ucciso da “squadristi fascisti”. Mussolini, nel discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, aveva avuto più coraggio se mai si può fare un paragone non fuori luogo considerato l’ampio contesto storico del tutto.
La situazione dell’Italia, sia per quanto riguarda il quadro interno – vedi questione dei conti, sanità , riforma costituzionale e autonomia differenziata – sia per lo scacchiere internazionale, Europa in primis, nonché per la compagine di governo ove Salvini, oltre alla Lega, ci sembra rappresentare anche Orban, si configura in piena incertezza.
Altro che sproloquiare su nazione, patria, identità e così via; il problema vero è che gli italiani che vogliono un’Italia libera e governata dalla leggi nell’ambito della Costituzione, devono porsi seriamente la questione di organizzare una risposta democratica consapevoli che, più è il distrutto tanto più complesso è il ricostruire.