15. 31 LUGLIO 2024 [giovanni perazzoli]
Non ci importa se la presunta Ultima Cena “woke” all’apertura dei giochi parigini fosse una rivoluzione o un sacrilegio. Chi si scandalizza fa male. Ci ha colpito, invece, l’affermazione del direttore artistico in risposta alle polemiche: “volevo che tutti fossero rappresentati”.
L’arte rappresenta? Il generico manifesto “progressismo inclusivo” era prevedibile, e ci dice davvero poco, anche se lo prediamo per buono. Perché però riportare l’arte al fervore ossessivo della rappresentanza e dell’identità, con la pretesa di colonizzazione dell’immaginario altrui?
Supponiamo, per paradosso, che ogni pennellata venga scrutinata sotto la lente dell’inclusività. Per contraccolpo, la bellezza si estinguerebbe? I critici sarebbero trasformati in contabili dell’identità e i musei in censimenti ambulanti?
D’accordo, la rappresentazione può avere la sua importanza. Ma la bellezza è un’altra cosa. Si è fatta viva quando Celine Dion ha cantando Edith Piaf. Non ha “rappresentato” nessuna categoria specifica, eppure ha parlato a tutti. Non ha incluso, ha trasceso. Non ha conteggiato diversità, ha cantato all’universale umano. Ed è questo il punto che sfugge a coloro che si limitato alla rappresentatività: l’arte più inclusiva è quella che non si preoccupa di includere, ma di essere bella. La bellezza, nella sua ineffabile essenza, abbraccia tutti proprio perché non si rivolge a nessuno in particolare.