di enzo marzo
«Io sono una persona seria» Matteo Renzi, “Corriere della sera”, 19 luglio 2024
Estate torrida, con una sola vera notizia positiva: il risveglio del partito democratico americano, che, sospinto dalla disperazione, ha ragionato un po’ e sembra aver acceso la speranza di salvare oltre che sé stesso anche il mondo civile da un golpista criminale come Trump. Certo non basterà. I democratici americani hanno accumulato nei decenni post-rooseveltiani parecchi errori e soprattutto parecchie morosità. Ne riparleremo dopo le elezioni di novembre, che speriamo caccino il pericolo mortale in cui incorrerebbero i paesi più civilizzati se Washington cadesse nelle mani di un destrorso delinquenziale. Ma non dovrebbe essere che l’inizio: i democratici hanno l’immane compito, abbandonato negli ultimi decenni, di riscoprire il liberalismo (guarda caso, quello anglosassone). Non è possibile che proprio negli Stati Uniti non si sia realizzato uno stato sociale effettivo. E che quindi persista e si accresca un’intollerabile differenza tra ceti sociali. Che rimangano lacune fondamentali sulla divisione dei poteri, che viva una legislazione medioevale che prevede la pena di morte o un personale uso di armi da guerra. Il liberalismo non confonde il conflitto con il fanatismo e la violenza, non si abbandona a un individualismo assoluto e senza regole che non tiene conto della libertà altrui, è permeato di valori umanistici. Non si trova a suo agio in una società sempre più aggressiva e consumista. Lamentiamo, quindi, la mancanza di conflitto proprio tra il liberalismo e la “democrazia americana”, già criticabile perché ha la pretesa di risolvere tutto col voto popolare (manipolabile in mille modi), figuriamoci quando degenera in populismo, suprematismo, liberismo selvaggio. E i democratici sanno dalle proprie radici che non basta una generica socialdemocrazia per cambiare radicalmente rotta. Vance, l’erede di Trump, predica il post-liberalismo. Piace addirittura meno di Trump a chi, come noi, è per la libertà e per lo sforzo continuo di dare la possibilità agli individui di poter scegliere effettivamente, liberamente. Insomma per chi è ancora, come fu la borghesia nascente, in lotta contro l’assolutismo e il fanatismo dogmatico. In tutti i campi.
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In Italia scendiamo di livello, di molto. Il punto più basso lo ha raggiunto Sallusti, direttore del “Giornale”, che ha aperto una polemica sul nulla assoluto. Molti hanno abboccato e quindi preso sul serio una bufala vuota. Io ho una spiegazione del fatto: Sallusti è stato sempre il Sancio Panza di V. Feltri, che in questo caso lo ha trattato come fanno i padroni zotici con i servi troppo servili. Ha detto ridendo: «Se uno vuole sostenere che [Sallusti] è un asino, che non sa scrivere in italiano e non conosce nemmeno la punteggiatura, potrei anche essere d’accordo». Non si capisce allora perché il re del turpiloquio giornalistico lo abbia sempre utilizzato, oppure vuol dire semplicemente che sul “Giornale” e su “Libero” c’era bisogno più di servilismo che non dell’italiano e della punteggiatura. La mia spiegazione dell’acuto di Sallusti è questa. Feltri Vittorio incappò ignobilmente in un gravissimo incidente deontologico quando nel caso Boffo per settimane linciò un povero Direttore dell’“Avvenire” sulla base di un documento di Procura totalmente falso. Boffo fu distrutto e Feltri si prese una bella sospensione dall’Ordine dei giornalisti. (Ci misi lo zampino anche io). In un altro paese Feltri Vittorio avrebbe chiuso la sua carriera, ma in un paese in cui conta soprattutto il trasformismo e il servilismo, la carriera del catto-socialista, poi leghista, poi berlusconiano, infine meloniano, continuò più gloriosa e remunerativa che “pria”. Sallusti, geloso come sempre di Feltri Vittorio, avrà pensato: voglio superare il Maestro, lui ha usato un verbale di tribunale assolutamente falso? Io allora mi invento un’indagine inesistente e faccio scrivere tutta l’Italia per una settimana sul Nulla. Chapeau!
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«Ci vorrebbe Totò: poi dice che uno si butta a destra.». Finalmente Marco Travaglio apre il suo cuore e si butta via. Purtroppo la notizia è stantia. Sono ormai anni che il Direttore del “Fatto”, gloriosa testata fondata da Colombo e Padellaro che aveva meriti immensi nella lotta senza quartiere contro la destra berlusconiana, si è ripiegato su una versione regressiva fatta di livore e di pregiudizi che fanno il gioco dell’estrema destra. Per fare il pastore del gregge disperso del Movimento 5 stelle Travaglio si è inventato delle forche caudine, misura di tutto: l’antiamericanismo globale e il putinismo. Chi non corrisponde a questi due criteri viene gettato all’inferno, e chi invece supera l’asticella, come Trump, Salvini e Orban, viene salvato, qualche volta esaltato. Per essere «veri democratici» basta essere putiniani. Per guadagnarsi la stima del “Fatto” è sufficiente detestare Zelens’kyj che ha l’ardire di non arrendersi a Putin e persino osa smentire tale Orsini che già mesi fa ha annunciato al mondo intero la bufala che la guerra in Ucraina era finita, e con «la vittoria della Russia».
Anche l’estrema destra meloniana, che, sempre secondo Travaglio – «aveva tre pregi: era legalitaria [a parte qualche bomba], sociale e multilaterale in politica estera» ora delude un po’ l’ineffabile Direttore perché il presidente del consiglio «purtroppo li ha tutti sacrificati». Ma poi si contraddice perché tra le tante lodi che le elargisce [«mi è molto simpatica», chissà se Albertini una volta scrisse che Mussolini gli era molto simpatico], si lascia andare a un vero slurp: «Si è sempre mossa nel segno della coerenza». Poi la giravolta, Meloni frustra T. perché incoerentemente anche lei è caduta preda dei «poteri forti», espressione in voga sui giornali alcuni decenni fa. Quanto era meglio quando invece rispondeva solo alla sua pancia autoritaria, sembra sospirare il Direttore. Ai bei tempi di Almirante. «Io sono contrario al suo governo non perché è di destra, ma per le cose che fa e non fa, sentenzia imperterrito il Direttore, non capendo che “Destra” non è un’etichetta su un vestito, ma che proprio “le cose che fa, che dice, che non fa” fanno di lei e del suo governo una pericolosissima svolta a destra. Ma Travaglio non ci sta e giudica questo governo «afascista». Forse perché ha sulla sua nave collaboratori più o meno vicini all’ideologia del Ventennio e dichiarati reazionari, Travaglio sorvola sulla mentalità di stampo fascista dei Fratelli di Giorgia e nega il pericolo autoritario, che eppure è rintracciabile in ogni provvedimento governativo e che dovrebbe essere il primo collante su cui organizzare una seria opposizione. Ma il suo problema primario è al contrario quello di dare una linea a Conte. E quindi all’ambiguità di Meloni non può che affiancare l’ambiguità di Conte. Entrambi non si accorgono che il Movimento si squaglia proprio perché furbescamente i due strateghi non vogliono cogliere la differenza tra un Trump e un candidato democratico, tra Marine Le Pen e Macron, che viene demolito come «stupido» solo perché ha avuto l’abilità di fermare l’estrema destra francese, e si dedicano con passione ai loro fatti organizzativi interni. Sicuramente più importanti dell’informare gli elettori se sono rimasti antieuropeisti o no.
A dare una identità politica al M5s provò il buon Mimmo De Masi, indirizzandoli verso il laburismo. Voi ce lo vedete De Masi giocherellare indeciso su Trump? Ma la sua scomparsa e i tempi ristretti hanno reso velleitario e poi vanificato quel progetto, da subito declassato a “progressismo”, formula quanto mai ambigua e non impegnativa, ma adatta a una formazione che individualmente o in massa ha dimostrato di poter andare all’estrema destra come all’estrema sinistra. Nello spazio di un mattino. Allo sbando completo.
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Se Sallusti è riuscito a creare sul Vuoto assoluto una bella polemica agostana, il Pd ugualmente si sta contorcendo su una questione “Renzi sta con l’opposizione o no” che troverebbe già nel suo titolo la soluzione ovvia. Capisco che l’argomento “Renzi” brucia dalle parti del Nazareno, perché è stato proprio Renzi a distruggere il Pd, nonché il centrosinistra tutto. Non perché sia di destra ma, contrariamente a quanto affermato nell’esergo qui su, perché è il prototipo del politico trasformista, cinico, senza valori, che vive alla giornata. Non serio. Non si tratta di riprendere all’interno del Pd lui e una pattuglia di soldati alla ventura, non si pone neppure la questione, ma di verificare se “Italia viva” si pone o no, al livello locale e nazionale, all’opposizione. Non c’è alcuna decisione da prendere da parte del Nazareno, ma solo occorre che gli elettori e i partiti di opposizione verifichino ora e nel tempo se Renzi si pone davvero all’Opposizione. Uguale discorso vale per Azione e +Europa. Voti aggiuntivi allo schieramento antimeloniano non c’è motivo di buttarli via. Anzi.
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Fin qui le chiacchiere di casa nostra. Ma restano i fatti che insanguinano il mondo. Pubblichiamo in questo numero una lunga disamina del conflitto mediorientale. Anche se ragionato e senza fanatismi, l’articolo del professor La Torre può trovare opinioni dissenzienti.
Credo che tutti possano dichiararsi pessimisti su una rapida soluzione del problema, che non nasce oggi e non troverà pace domani, perché entrambe le parti portano avanti le loro ragioni col condimento di uno strenuo e mortifero fanatismo. Sono la prova storica del maledetto danno che continuano a fare i libri sacri sulle menti deboli. Libri dove fanatici Dei unici incitano a mattanze, appunto bibliche. Hamas e l’Iran non si fermeranno mai spontaneamente finché non avranno raggiunto lo scopo della completa distruzione di Israele. Ugualmente il governo di Netanyahu e i coloni in Cisgiordania perseguono l’annientamento del nemico. E le popolazioni decimate o terrorizzate di entrambe le parti pagano tutti i prezzi. Per dirla in breve, la guerra guerreggiata porterà danni irreversibili, e non solo alle due parti.
Credo che sia un’illusione e un grave errore lasciare alle parti la ricerca di un accomodamento, anche transitorio. Il disegno dei “due popoli, due stati”, che oggi appare utopico ma che non lo è più di una riconciliazione spontanea, deve essere imposto, anche con la forza, dalle grandi potenze dopo una Conferenza che ridisegni equamente i territori e detti delle regole di convivenza. Con la forza internazionale bisogna imporre a ciascuna delle due parti la rinuncia definitiva del disegno “un solo popolo, un solo stato”. Il proprio. Il progetto dei due stati viene detto e ripetuto, ma senza molta convinzione, da molti e anche da alcuni che invece sperano di lucrare dal conflitto in corso. Bisogna uscire dalla retorica e dalle partigianerie. Forse solo una nuova presidenza democratica negli USA potrà mettere il resto del mondo di fronte alle proprie responsabilità. Aggiungerei qui che in tutta questa storia pesa come un macigno il silenzio e l’inerzia delle Comunità ebraiche internazionali che da questa vicenda, alla fine, subiranno il peggiore danno. La voluta confusione tra ebrei, sionisti e israeliani ha fatto rinascere in tutto il mondo un forte antisemitismo. L’antisemitismo da secoli è una coltre di cenere che non ci mette nulla a infiammarsi. L’irresponsabile Netanyahu sta bruciando in poco tempo il capitale morale accumulato dopo il dopoguerra dal sacrificio incommensurabile patito dagli ebrei. Lui può anche non rendersene conto e ora considerare più importante la prepotenza dei coloni e il fanatismo religioso che lo sostengono. Ma è un idiota, perché non potrà mai raggiungere il disfacimento totale di Hamas, né la fine vera del conflitto. Gli israeliani democratici non possono fare più di quello che già fanno, spetta agli ebrei sparsi nel mondo farsi sentire, stabilire le differenze, sconfessare ogni forma di fanatismo, diventare parte attiva per trovare una soluzione stabile e pacifica. Vasto programma, ma indispensabile.
da “nonmollare” n. 154
Ai tempi tal Pannella soleva dire “due popoli, due democrazie”…