di angelo perrone
La notizia che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si appresta a riaprire alcuni “tribunalini”, chiusi nel 2012 con la riforma Severino, tra cui il “Tribunale della Pedemontana” a Bassano del Grappa, genera perplessità. La decisione è bizzarra e incongruente, permeata dal sospetto di favoritismo politico. Lungi dal rappresentare un passo verso una giustizia più efficiente, l’iniziativa sconta la mancanza di una visione della geografia giudiziaria.
Nel 2012, la chiusura di 37 sedi giudiziarie minori fu dettata dalla logica dell’efficienza. In un Paese afflitto da cronica carenza di risorse e da una macchina giudiziaria elefantiaca, l’idea era concentrare le forze per garantire maggiore specializzazione e funzionalità. Ora, a distanza di anni, con le stesse problematiche irrisolte, si decide di fare retromarcia, contravvenendo ai principi di economicità e razionalizzazione che dovrebbero guidare la pubblica amministrazione.
La riapertura di sedi come Bassano del Grappa è “diametralmente opposta” agli impegni governativi. Non esprime una “visione strategica complessiva”, come evidenziato dall’Associazione nazionale magistrati, essendo dettata da logiche localistiche. La giustizia, per funzionare, ha bisogno di uffici di dimensioni adeguate che consentano specializzazione, non di “micro tribunali” che non possono offrire risposte all’altezza delle aspettative dei cittadini.
L’assenza di un piano per l’intera geografia giudiziaria rende queste riaperture simili a “toppe”, destinate a generare disfunzioni e iniquità.
Il sospetto di favoritismo politico aleggia su questa operazione. Il fatto che le sedi indicate per la riapertura (Bassano del Grappa, Alba, Lucera, Rossano Calabro) siano vicine ai collegi elettorali o ai territori di influenza di esponenti di spicco del governo e della maggioranza (il sottosegretario Ostellari, il sottosegretario Delmastro, il viceministro Sisto, il senatore Rapani) non può essere liquidato come coincidenza.
Questa “vicinanza geografica” alimenta il dubbio che la decisione sia più legata a calcoli di consenso elettorale che ad esigenze di giustizia o a principi di efficienza del sistema. La politica dovrebbe agire nell’interesse generale, non per rispondere a pressioni localistiche o gratificare bacini elettorali specifici, specialmente in un settore delicato come quello della giustizia.
La vicenda dei “tribunalini” riaperti è un ennesimo esempio di come, in Italia, le riforme e le controriforme rispondano a logiche di breve termine e di convenienza politica, piuttosto che a ispirazioni di lungo periodo per il bene comune. E, purtroppo, è la giustizia – e con essa i cittadini – a farne le spese.