Grillo non si arrende neppure di fronte alla liquefazione del suo movimento, e invece di chiedersi quali ne siano le ragioni, ritorna a dire:
«Perché votare? Perché non lasciare la parola ai cittadini, scelti a caso?». «Le democrazie rappresentative di tutto il mondo scricchiolano, sanno di antico».
Ha proprio ragione: la democrazie scricchiolano davvero, invece i princìpi spacciati per il “nuovo” dai 5S sono soltanto macerie. Dobbiamo ringraziare Grillo che li ha messi alla prova e si è scelto i suoi parlamentari già assolutamente «a caso». Così il mondo intero ha potuto constatare come è andato l’esperimento. Non ci poteva essere maggior contributo al rafforzamento della democrazia rappresentativa. Il seggio parlamentare regalato al primo passante ha creato un bel minestrone indigesto e ingestibile con estremisti di destra di qua, filocomunisti di là, vetero-democristiani di su, antisemiti di giù, per non dire degli opportunisti e dei ministri esperti come i bambini di sei anni. Pronti irresponsabilmente a governare sistemi sempre più complessi. Ma per Grillo e per Casaleggio bastava che fossero rigidamente sotto il loro comando e spingessero i bottoni secondo gli ordini dei Capi. Roba che non sa solo «di antico», ma puzza di esperienze antidemocratiche novecentesche e di dittature subequatoriali. Basti pensare alla riproposizione di una espressione orrenda e antichissima come “Capo”.
Anche l’altra genialata della non distinzione tra destra e sinistra i 5 stelle se la sono liquidata da soli definitivamente. La loro esperienza diventerà un caso di scuola. Appena gli elettori vedono quali sono le politiche pubbliche effettivamente svolte, preferiscono dare il loro voto agli “originali” e non ai subalterni, o ai dilettanti mutevoli come “foglie al vento”. Appena gli eletti si vanno facendo un po’ furbi si ricollocano “là dove li porta il cuore”, nel migliore dei casi. Anche nella scorsa legislatura del parlamento europeo, gli eletti «scelti a caso», se ne andarono uno nel gruppo dei Verdi e un altro raggiunse la fascista Marie Le Pen. Alla faccia dei cittadini che li avevano votati.
Speriamo che nei prossimi Stati Generali del Movimento, quel che rimane di questo esperimento, che ha avuto picchi assai rilevanti, abbia il coraggio di riflettere criticamente sulla propria breve storia e sull’impatto della realtà sui dogmi originari. Che si sono sconfessati da soli.
La democrazia è una cosa impegnativa, scricchiolerà un po’, ma soltanto perché tradita dalle classi dirigenti e ridotta a semplice “recitazione” caricaturale. Ovvero falsificata e irriconoscibile. Bisognerebbe che i 5s, e non solo loro, ci facessero i conti con onestà intellettuale. Perché certamente la via da intraprendere è quella del collocamento in un campo politico e valoriale definito e della sconfessione della demagogia, del leaderismo assoluto, dell’odio verso lo stato di diritto, . Se si vuole essere seri e – anche – non sparire del tutto.
Caro Enzo,
in dispregio della mia personale convinzione che sia molto meglio leggere, e, se possibile, riflettere, che scrivere (quantomeno perché più comodo e meno faticoso), ed in flagrante violazione di un faticosamente auto-conferito diritto alla pigrizia, almeno in senectute, invado, per la seconda volta, lo spazio intellettuale che tu ed i tuoi amici della Fondazione “liberalmente” mettete a disposizione dei lettori. All’occorrenza, anche di quelli, come me, le cui convinzioni ed i cui giudizi promanano da una formazione culturale e da una milizia di partito molto diverse, pur se rese civilmente compatibili dal comune rispetto (ormai assai poco praticato, purtroppo) del patto costituzionale e dalla convinzione che (laddove esista e si renda disponibile) l’intelligenza altrui è il miglior supporto che si possa dare alla propria.
Naturalmente, a tale invasione è tutt’altro che estraneo il piacere di interloquire con te, pur se, purtroppo, solo “interposito webbo” (ho tentato, senza risultato, di raggiungerti telefonicamente in occasione del mio precedente intervento). Piacere tanto maggiore, quanto più il tuo “fuori bordo” non si limita ad una polemica, fin troppo facile e scontata con un (falso, a mio avviso) sine bacillo e coi suoi accoliti (questi indubbiamente sine bacillo). A tal proposito, è possibile che le nostre valutazioni non siano troppo distanti nel ritenere il grillo sparlante pienamente consapevole dei guasti che ha provocato, e che continua a provocare, validamente aiutato, dentro e fuori del Parlamento, da coloro che non hanno lesinato i propri sforzi per sostituire il talora eccessivamente precario “arco costituzionale” di antica memoria, col solidissimo “arco anticostituzionale” che da ormai tre decenni dà il peggio di sé. Aggiungo anche, come pura nota di colore, che il citato creatore e tutore dell’astrologica “corte dei miracoli” mi ricorda fastidiosamente un vecchio “marco”, altrettanto palesemente falso, e tuttavia diffusamente apprezzato ed a lungo in circolazione in Italia (pratica dimostrazione della tesi dei vecchi economisti, secondo i quali la “moneta cattiva scaccia quella buona”), pur non essendo esente dal ragionevole sospetto di dedicarsi ad inappropriate frequentazioni di nazionali ed esteri “uffici affari riservati”.
Ciò detto, mi sembra indubitabile (l’affermazione, null’altro che incidentale, è qui inevitabilmente apodittica) che sarebbe sbagliato ignorare, od anche solo a sottovalutare, che quanto sta accadendo nel nostro paese sia il risultato di una grave crisi, della quale i succitati astrologanti sono solo espressione, nonostante l’impegno profuso nel rendersene concausa. Crisi, in primis materiale, ma anche culturale e morale, in larga misura indotta, pur se in un quadro non certo solo nazionale, dal perseguimento degli esclusivi interessi di classe dei nuovi ceti dominanti che si sono progressivamente sostituiti, dalla fine degli anni ’70 alla metà dei ’90, a quelli che, ben integrandosi nel sistema di potere della Democrazia cristiana, furono protagonisti del compromesso degasperiano.
È un tema, questo, che, comunque lo si voglia affrontare, ritengo sia di estrema rilevanza e che dovrebbe essere al centro di un “discorso pubblico” serio e non banalizzato.
Ma la circostanza sulla quale quanto da te scritto mi induce a riflettere è che una parte consistente degli elettori ha attribuito il proprio voto al partito dello “straparlante” ed ai suoi candidati (così come, del resto, è avvenuto nei confronti degli altri partiti e candidati) essendo assolutamente d’accordo con ciò che sentiva dire. Salvo poi ricredersi non sulla validità delle proprie convinzioni, bensì sulla capacità dei propri eletti di tradurle in pratica a proprio vantaggio. Ed a questo non sono estranee né l’incontenibile ansia di “governabilità” (la stessa che ha poderosamente contribuito a rendere ingovernabili od inutili le istituzioni della Repubblica, a cominciare dal Parlamento, e che si vorrebbe placare addirittura attraverso di un “uomo forte”, i prodromi della cui “opra fina” sono malauguratamente stati già sperimentati), né l’equivoca invocazione di una mai ben specificata “meritocrazia”, che dovrebbe costituire il fondamento della rappresentanza, cui affidare la gestione della cosa pubblica. “Meritocrazia” che nulla ha a che vedere né con la pratica della democrazia, né col riconoscimento sociale del merito.
In altri termini, ritengo vi sia stata (e, mutatis mutandis, continui ad esservi al di là dei temporanei, assai ondivaghi risultati elettorali) una pressoché perfetta biunivocità tra le caratteristiche di gran parte degli elettori e quelle di gran parte degli eletti. Elettori ed eletti impegnati senza risparmio di energie in una ignobile gara nel corrompere le istituzioni della Repubblica, privandole delle caratteristiche e delle prerogative loro attribuite nel quadro del patto costituzionale, facendole diventare lo “specchio” di un paese strutturalmente, culturalmente e moralmente corrotto, e, di converso, nel rendere questo (possibilmente in modo irreversibile) a sua volta lo specchio fedele di non meno corrotte istituzioni. Garantendo, quindi, che elettori ed eletti siano, altrettanto irreversibilmente, copia conforme gli uni degli altri.
Si tratta, d’altronde, di un processo che non vede la propria origine solo nella storia recente. Per rendersene conto non c’è bisogno di andare molto indietro nel tempo, basta domandarsi quanti, agli albori degli anni ’90, fossero realmente in buona fede tra i minus non habentes che si strappavano le vesti ed i capelli, manifestando stupore ed indignazione, dinnanzi alle “scoperte” dei magistrati milanesi che si occupavano delle gesta di molti dei “rappresentanti” partitico-istituzionali dell’epoca, eletti o non?
A tale stato di cose contribuisce, certo, la dilagante ignoranza di massa, ormai predisposta e coltivata nelle scuole di ogni ordine e grado, e non estranea alle aule universitarie. Ignoranza, tuttavia, (e lo dico scevro di ogni tentazione moralistica) che, pur se ampiamente indotta, non per questo è incolpevole, né costituisce una valida attenuante delle responsabilità individuali e collettive derivanti dalle sue conseguenze. Non ultima delle quali è la permeabilità alle menzogne di ogni tipo. Tra le quali sono da annoverare quelle che accompagnano e che sono tese a giustificare le quotidiane reviviscenze paleofascistiche, neofascistiche, parafascistiche, criptofascitiche, e così via fascisteggiando.
Detto ancora in altri termini, ritengo che il voto (e questo costituisce a sua volta un primario fattore di crisi), anche quello che determina la designazione, in qualità di rappresentanti istituzionali, dei soggetti più ignobili (che in giro per il paese sembrano in riproduzione forzata), sia espresso in modo assolutamente consapevole. Fermo restando che la consapevolezza riguarda ciò che si vorrebbe per sé e per la propria immediata cerchia di interessi (e non di rado poco importa che questi siano leciti od illeciti), ancorché quanto voluto non coincida necessariamente con ciò che sarebbe meglio si volesse, per sé e per gli altri. E, tuttavia, non si può non rimarcare che un tale fenomeno, pur falsando intrinsecamente e radicalmente in termini sociali, culturali e morali la natura e l’efficacia democratica della rappresentanza istituzionale (che diviene, in tal modo, espressione di un organico “voto di scambio”) non ne costituisce la negazione, neppure in termini formali, poiché è il risultato di un ormai esplicito patto sinallagmatico tra elettori ed eletti. E mi sembra del tutto evidente che di un simile patto si avvalgono in larga misura, apertamente e senza resipiscenza, pur se con disuniforme abilità, le espressioni partitiche, ancorché diverse tra loro, di tutto “l’arco anticostituzionale”. A tal punto che, in ogni dove, si invoca a gran voce, egualmente da elettori e da eletti, l’adeguamento della norma costituzionale alla realtà fattuale attraverso il riconoscimento di un ferreo vincolo di mandato per gli eletti.
In tale quadro, ovviamente, non trovano collocazione i non pochi “astenuti da disgusto”. Il cui stato d’animo, nondimeno, diviene fattore di “mancata rappresentanza” (circostanza non superabile, ovviamente, né col piegarsi, per malinteso senso di responsabilità, all’insopportabile ricatto del “voto utile”, né adattandosi all’avvilente scelta del “meno peggio”, o ad una qualche forma, ancor più umiliante, di “entrismo”). Salvo, naturalmente, fare di necessità virtù quando sia indispensabile tentare di erigere una barriera antifascista, almeno formalmente istituzionale e per quanto possibile efficace, ma pur sempre estemporanea (alle condizioni date).
Mi sembra quindi fuor di dubbio che le istituzioni della Repubblica siano state poderosamente destituite della capacità-possibilità di rappresentanza di interessi reali, materiali ed immateriali, sostituita da una rappresentanza fittizia ed ingannevole, ma non per questo meno efficace, di non-interessi. Questione che investe in toto quella che si può definire la “maggioranza sociale” (della quale i lavoratori produttivi, cioè quelli che scambiano tempo di lavoro con quote di capitale, garantendo la riproduzione e l’accumulazione del capitale stesso, sono, ormai pressoché inconsapevolmente, l’asse portante strutturale). E del pari fuor di dubbio mi sembra che cause tutt’altro che secondarie di un tale fenomeno siano la disarticolazione, la banalizzazione o la cancellazione tout court delle culture e delle morali storicamente proprie delle classi e dei ceti di quella maggioranza sociale. Al punto da indurre una radicale modificazione della consapevolezza di sé (e della “propria filosofia”, come avrebbe detto Georg Hegel), individuale e collettiva, nella duplice, contemporanea appartenenza di ogni persona alla società civile ed alla società politica. Duplicità che già di per sé costituisce un’incomponibile contraddizione ed un permanente fattore di scontro nell’ambito della società.
Ciò detto, qui mi fermo, ben consapevole di aver detto troppo poco in relazione alle questioni sollevate da quanto da te scritto (sebbene in realtà volessi dire ancor meno), e, quel poco, in compenso, espresso in modo confuso, come si diceva, in tempi ormai remoti, delle idee degli ottimi padri gesuiti (lo ricordo in omaggio al tuo ferreo anticlericalismo). Mi permetto comunque di suggerire, assai sommessamente, come dicono le persone bene educate (anche se devo fare uno sforzo per riconoscermi ingiustificatamente tra loro), di sollecitare su queste pagine una riflessione più strutturata sulla questione della rappresentanza. Almeno tra chi sia ancora convinto della necessità, che non è certo scontata possibilità, di attuare gli indirizzi del patto costituzionale (evitando, sono sicuro che sarai d’accordo, di abbandonarsi alle insulse retoriche della “costituzione più bella del mondo”, non certo per caso preceduta dalla costituzione francese del 1793 e da quella della Repubblica romana del 1849. Entrambe, purtroppo, mai entrate in vigore).
Confidando nella tua indulgenza, ti ringrazio ancora per l’ospitalità e, augurandoti buon lavoro. ti invio i miei più fraterni saluti.
Francesco M. Granone
P.S. Mi permetto di raccomandare alla tua sensibilità storica di chiarire a chi ne avesse necessità (anche se non credo questo possa riguardare i tuoi lettori), che gli Stati generali non costituivano in nessun modo un omogeneo “organo direzionale” e non esercitavano alcun reale potere nell’ambito decisionale dell’ancien régime, che non erano neppure lontanamente un parlamento di tipo anglosassone, e che, pertanto, la locuzione non dovrebbe essere utilizzata per designare una istanza di partito, per quanto “sdirigente”, litigiosa e raccogliticcia possa essere.
Mi appello altresì al tuo semantico buon cuore per scongiurare l’uso di lemmi come “valoriale” e simili, evitando in tal modo di ulcerare la sensibilità di qualche devoto lettore affetto dalla, ahimè inguaribile, sindrome del materialismo (oltre che storico, all’occorrenza anche rozzo ed un po’ volgare, come nel mio caso). D’altronde, neppure la assai poco encomiabile metafisica illuministica merita di essere colpita da un tale maltrattamento linguistico.