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SE IO FOSSI SENATORE…

Se io fossi Senatore, di un qualsiasi Gruppo politico, e tenessi alla dignità personale e dell’Istituzione in cui opero, e fossi assegnato alla Commissione Difesa, alla prima riunione presente Matteo Renzi, mi alzerei e me ne andrei. Motivazione: “io non discuto di questioni di difesa nazionale, che possono essere anche delicatissime, di fronte a uno che prende soldi da un paese totalitario”.

Ovviamente, la stesso ragionamento avrebbe dovuto essere fatto dopo il coinvolgimento di Salvini nella vicenda Savoini, in cui il leghista avrebbe concordato un affare sulla vendita di gasolio, poi non andato in porto, con venditori putiniani che avrebbe prodotto una plusvalenza di 60 milioni di euro destinata al finanziamento della “Lega per Salvini presidente”. Savoini è indagato per corruzione internazionale e Salvini siede nella Commissioni Esteri del Senato.  

Il caso Renzi-Riad: sottomettersi o dimettersi (con una nota di e.ma.)

[Critica liberale considera che lo scandalo Renzi-Arabia saudita, di inaudita gravità, avrebbe dovuto trovare una conclusione subito dopo la denuncia del caso. Il parlamento è rimasto aperto anche durante le dimissioni di Conte e sarebbe stato doveroso da parte della Presidenza del Senato avviare un chiarimento nell’aula di Palazzo Madama. Ciò non è avvenuto. Dopo il voto di fiducia al Governo Draghi, non si può perdere altro tempo e soprattutto il caso non può essere giudicato concluso in seguito a qualche dichiarazione stampa, ma deve essere discusso in sede parlamentare perché coinvolge in maniera assai grave un senatore della Repubblica.  Magari avessimo, sul centro-sinistra o  sulla sinistra, un partito che facesse politica, e sarebbe il massimo che la facesse in modo rigoroso!!!!!  e.ma.]

di luigi ferrajoli & gian giacomo migone

Che la crisi di governo, in questo momento  storico e nelle evoluzioni a dir poco ambigue di queste ore, costituisse un attentato alla salute pubblica con ogni probabilità era chiaro persino a colui che l’ha provocata. Configurando anche un vulnus della democrazia italiana, dopo quanto egli ha detto e fatto a Riad.
E che sta lentamente diventando consapevolezza collettiva, malgrado il diffuso silenzio mediatico.
Non si tratta soltanto di sfacciato conflitto d’interesse su
scala internazionale da parte del capo di un partito politico
decisivo ai fini della sopravvivenza della maggioranza esistente. Sarebbe ipocrita asserire che non siano esistiti e
che non esistano casi analoghi nel nostro parlamento.
L’elemento di novità consiste, però, nella pubblica
ostentazione, tale da creare un precedente se non adeguatamente stigmatizzata, della propria adesione, in quanto parlamentare dello Stato italiano, ad un costituendo istituto con finalità di affari, pro- mosso e finanziato da un altro Stato (il «Future Financial Initiative», promosso dall’Arabia Saudita).

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