Il fervore che sta suscitando la lettera di Cacciari e di Agamben sul “certificato verde” pubblicata dall’Istituto italiano degli studi filosofici di Napoli (fa più chic) è molto significativo della spaventosa arretratezza storica del mondo culturale italiano. Io mi schiero dalla parte di Cacciari. Perché il filosofo televisivo non ne ha colpa. È soltanto il frutto eccellente di decenni di connubio marcio tra clericalismo e comunismo pre & post tonfo.
L’Italia ancora vive in gran parte in una bolla fatta di endemico provincialismo pre-industriale. Cacciari, maturato insieme con i cattivi maestri di Potere Operaio, con il rivoluzionario Toni Negri e il marxista super clericale Tronti senza accorgersi che il secolo breve era agli sgoccioli, ha vissuto (e ha contribuito a) tutta la tragedia della sinistra italiana. Non si è fatto mancare nulla: dall’estremismo parolaio all’opportunismo filo leghista, dall’Udeur mastelliano all’oscurità à la francese, dai voli teologici al sostanziale rifiuto della modernità e della ragione illuminista, per finire nella molto comoda Facoltà privée di Filosofia dell’Università San Raffaele del famigerato Don Verzé. Non mancando mai di pontificare da tutti i pulpiti, è stato sempre fedele alla sua divisa “semper sull’onda e dentro al potere”. Ora si divide con Diego Fusaro il gravoso compito di filosofeggiare dalle reti televisive. Ogni tanto sa che deve scandalizzare o far finta di dare in escandescenze, come fa Sgarbi. Altrimenti l’audience non sale.