di francesca palazzi arduini
Sono sempre più forti i legami transnazionali che consentono ai paesi governati da regimi autoritari o democrazie imperfette di fare a casa di altri ciò che, per pietà del Diritto, non possono per ora fare a casa loro.
Parliamo di Italia partendo da alcuni recenti casi di delocalizzazione: quello del confino del dissidente Aleksej Navalnyj a 1900 chilometri da Mosca, per consentirgli passeggiate mattutine a meno quaranta gradi, quello dell’accordo tra Italia ed Albania per la deportazione “breve”, lontano dai cerulei occhi del governo, di immigrati salvati sulle coste italiane, e quello della prigioniera politica Ilaria Salis.
Anzi, partiamo da quest’ultima, detenuta da oltre un anno in una sordida galera ungherese, con l’accusa di aver partecipato ad una rissa, con prospettive di essere giudicata dalla magistratura ungherese, notoriamente soggetta agli umori del governo di Budapest. “La magistratura ungherese è indipendente”, dice invece il ministro Stralunato, e ci piace pensare che non abbia letto i corposi rapporti di Amnesty International e dell’Unione europea che sottolineano il contrario, come cioè l’assetto giudiziario ungherese sia estremamente arretrato in quanto sia ad indipendenza che ad equità. Scriveva già Amnesty International – Italia nel presentare il Rapporto 2021 “…lo squilibrio di poteri del presidente dell’Ufficio giudiziario nazionale continua a minare l’indipendenza del sistema giudiziario, nonostante i continui appelli da parte di diverse istituzioni europee e delle organizzazioni della società civile”.
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