redazione – giuseppe galasso
Riprendiamo dal “Corriere della sera” dell’8 febbraio l’ultimo articolo dello storico e politico repubblicano Giuseppe Galasso, deceduto oggi. Galasso fu nostro amico e da noi sempre ammirato. Ci impressiona molto, e lo troviamo oltremodo simbolico, che proprio l’ultimo scritto di Galasso sia stato dedicato a un altro grande personaggio del liberalismo italiano del ’900, Mario Pannunzio, di cui ricorre il cinquantesimo della morte. Sul prossimo “nonmollare” li ricorderemo entrambi.
MARIO PANNUNZIO AVEVA UN SOGNO – L’ITALIA PAESE MODERNO E LIBERALE
Nel 1949 Il suo settimanale fu una rivelazione per la svolta che diede al dibattito delle idee
Il nome di Mario Pannunzio (nato a Lucca nel 1910 e morto a Roma cinquant’anni fa) è strettamente legato al settimanale, «Il Mondo», che diresse dall’inizio, nel febbraio 1949. La sua era, già allora, una personalità nota per vari aspetti. E, tuttavia, la direzione de «Il Mondo» fu quasi una rivelazione per la svolta che egli subito sembrò dare al dibattito delle idee, alla polemica politica, allo stile giornalistico.
Già operava in tal senso la molto studiata veste grafica del giornale, di un’assoluta ed elegante «pulizia» nel suo essenziale bianco e nero, di un calcolato e rigoroso equilibrio nella sua impaginazione e nello snodarsi delle sue pagine in articoli e rubriche o servizi, e sempre di un gusto impeccabile e di una efficace pertinenza nella sua ampia, ma non ridondante, illustrazione fotografica. Un giornale di classica perfezione grafica, benché l’ormai imperante tecnica della stampa in rotocalco ne attutisse fatalmente il nitore tipografico.
A loro volta, le sue idee e le sue battaglie ne determinarono ben presto una suggestione e un’influenza superiori alle prime attese. Il sentimento e il pensiero liberali del direttore vi si riflessero appieno. Era, il suo, un liberalismo che nella sua sostanza etico-politica si rifaceva appieno a Benedetto Croce, ma si traduceva poi in battaglie civili e culturali per le quali il liberismo di Luigi Einaudi, il radicalismo moralista e concretista di Gaetano Salvemini, la crociata antimonopolista di Ernesto Rossi e molte altre alte ispirazioni coeve convergevano nell’agitare i più vari problemi di apertura, modernizzazione, liberalizzazione, equilibrio, avanzamento morale e materiale della società italiana.
Vi si univano le più salde convinzioni in materia di scelta occidentale ed europeista, di opposizione a ogni compromesso o equivoco con le idee e il mondo comunista, di garanzia dell’equilibrio e della sicurezza democratica quali il centrismo degasperiano aveva impostato. Ancora più forte, se possibile, era lo slancio nella promozione e difesa della causa laica, sia per ogni verso sul piano generale della cultura moderna e della tradizione italiana, sia, più specificamente, come difesa della laicità dello Stato, e innanzitutto delle sue scuole. E l’occhio era rivolto al Risorgimento, con capofila Cavour, e ai valori «risorgimentali», visti come la realistica preconizzazione dell’«Italia civile», ossia modernamente europea, a cui si mirava.
La stella polare di questo orientamento era sempre nel criterio degli «interessi generali» del Paese. Un criterio concettualmente arduo, ma reso concreto dal principio liberale, che lo ispirava, della «libertà liberatrice». E, cioè, la libertà quale valore supremo e non negoziabile, forza innovatrice ed elevatrice se tradotta in una prassi assidua, ininterrotta, anche insoddisfacente e discutibile, perché l’esercizio costante è il primo motore del suo progresso e di una sua stabilizzazione a più alti livelli, e perché la libertà nasce e vive nella storia, e non è un’idea che venga prima e stia sopra la storia.
Questa concezione storicizzante della libertà era una grande forza del giornale nelle sue tante battaglie, ma non toglieva che Pannunzio incontrasse difficoltà a seguire gli sviluppi della politica italiana fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Egli pensava, inoltre, che il suo potesse essere non solo un grande organo di opinione, bensì anche il nucleo generatore di una nuova e più forte presenza politica liberale in Italia, insinuando una «terza forza» nel duello fra «rossi» e «neri», che paralizzava l’Italia. Perciò assecondò prima lo sviluppo degli Amici del «Mondo», con convegni, fra il 1955 e il 1959, di forte richiamo su vari problemi italiani; poi la formazione di un nuovo partito, quello radicale, che fu però, in quella fase, un insuccesso.
Avversari e critici vi videro la prova di una sua errata lettura della realtà italiana, ma, nella nuova Italia della fine degli anni Cinquanta, avviata al centrosinistra, Pannunziostesso cominciò a capirlo più che non sembrasse o dicesse. Per effetto naturale di questo mutare, «Il Mondo», da giornale di avanguardia liberale in un’Italia in cerca di guide e di orientamento, quale fu nei suoi primi anni, divenne davvero sempre più quel giornale di ristrette élites che ad esso si imputò sempre di essere. Appariva meno proiettato verso il futuro e il nuovo, e più volto a specchiarsi nel proprio patrimonio di idee, a sognare il suo sogno dell’«Italia della ragione». Con gli anni il gruppo numeroso dei maggiori intellettuali e giornalisti italiani, e di quelli da lui stesso allevati, raccoltisi intorno a lui (il giornale, si diceva, aveva più firme che lettori) si era frammentato. Pannunzio non era uomo da non capirlo, mentre dimezzavano pure i lettori. Poi, ad appena due anni dalla chiusura del giornale nel marzo 1966, anch’egli il 10 febbraio 1968 si spense. Quasi l’allegoria di un destino annunciato. Ma anche memoria di un sogno che varrebbe ancora la pena di sognare.
foto Ansa
continuiamo a sognare..
Riporto la parte conclusiva dell’editoriale de “L’Acropoli” Anno XVII – n. 6 a firma di Giuseppe Galasso. http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=1159#.Woc2C-bkRdi
“A noi sembra pure che l’approvazione della riforma istituzionale che sarà votata il 4 dicembre prossimo rappresenterebbe un sicuro passo in avanti del paese, conferendo maggiore sicurezza, dinamismo e funzionalità agli istituti della liberaldemocrazia italiana. Certo, se la riforma sarà respinta, si andrà avanti lo stesso e se ne potrà tentare un’altra. Se il governo cade, se ne farà un altro, e, nel caso peggiore, si andrà a nuove elezioni. Nessuno può neppure negare, però, che, se prevarrà il “no”, non solo si sarà perduto una importante occasione di rinnovamento della vita pubblica italiana, non solo dovrà passare molto tempo, molto acqua sotto i ponti di Roma prima che si abbia di nuovo una occasione così importante, ma certamente lo stato attuale, così frammentato e confuso, della politica nazionale diverrà ancora più tale, con sviluppi e incertezze di una estremamente imprevedibile pericolosità per il futuro vicino e meno vicino della vita nazionale.
Non è il timore del “salto nel buio”, e tanto meno è un piccolo espediente di polemica politico-elettorale. È una meditata e ragionevole riflessione sulle questioni in gioco col referendum di dicembre, condotta sulla scorta dell’esperienza ormai settantennale che si è fatta in Italia del regime liberaldemocratico all’italiana.”
Galasso la pensava così. Gli italiani hanno preferito correre il rischio della ingovernabilita’ a quello della deriva autoritaria, già concretizzatosi in passato, e penso abbiano fatto bene. Il che nulla toglie alla statura e spessore dell’intellettuale, ministro di specchiata onesta’, prosecutore della scuola illuministica napoletana nata col Caffè’, repubblicano autentico.
Nessuna intenzione di togliere neanche un centimetro alla “statura intellettuale” di Giuseppe Galasso il quale, forse, si sentiva più vicino allo storicista Vincenzo Cuoco che all’illuminista Ferdinando Galiani. P.S. La rivista degli Illuministi napoletani si chiamava “NA TAZZULELLA E CAFE'” e non “Il Caffè”.
Cio’ che non riuscì a Pannunzio, e cioè orientare in senso liberal radicale l’opinione pubblica italiana, e’ invece riuscito a Scalfari con Repubblica che ha veramente costituito un polo di attrazione del pensiero azionista grazie alla collaborazione di valenti giornalisti. Questo però solo nei primi vent’anni. Dopo questa felice stagione, da Mauro in poi, si è assistito al solito ripiegamento verso posizioni “comode”, come se il giornale fosse stato corrotto dal potere, dal “generume romano”. Era meglio morire da piccoli.
L’edizione in rete della rivista “L’Acropoli” di Giuseppe Galasso ospita gli articoli sulla scuola di Giovanni Carosotti, un insegnante di Liceo che da anni opera contro le cosiddette riforme scolastiche dei vari governi di destra e di sinistra. L’ultimo si intitola “La triste scuola senza insegnanti, “http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=1223#.WpVouKN75dg .
Di Carosotti ricordo il recente “Appello per la scuola pubblica”
https://sites.google.com/site/appelloperlascuolapubblica/