Dossier 2018
a cura di vittorio emiliani
E’ incredibile che le forze politiche che si oppongono alle scelte dissennate – come il muro a nuovi immigrati – di Matteo Salvini non conducano una campagna martellante, sulla base dei dati reali, per sbugiardare quanto viene spacciato dalla Lega e da altre forze per spargere la paura del diverso e dell’immigrato fra gli italiani e creare un clima di xenofobia nel Paese. Clima atto a coprire ignoranza politica, sottocultura, egoismo, distruzione dei nostri valori comunitari, italiani ed europei.
I dati reali che vi propongo – a cominciare dal tasso di natalità più basso del mondo insieme a quello giapponese e dalla denatalità di tutte le regioni italiane escluse le Province autonome di Bolzano (soprattutto) e di Trento – mettono in evidenza alcuni fenomeni incontestabili.
In forza dei quali “immigrazione zero” o forti ostacoli all’immigrazione condurrebbero l’economia italiana, nella sua interezza (agricoltura, industria, commercio, turismo, servizi), alla crisi, al rattrappimento, ad una inevitabile decadenza.
In Emilia-Romagna, una recente simulazione effettuata dall’Ufficio Statistico della Regione documenta che con la “immigrazione zero”- irrealistica ma che peraltro piacerebbe al trust dei “cervelli” della Lega (e non solo) – al 2035 la regione in questione perderebbe un quinto dei suoi attuali residenti scendendo dagli odierni 4.454.000 a 3.583.000. I bambini in particolare si ridurrebbero del 44 % con una deprimente crisi delle nascite. A quel punto ci sarebbe anche un esodo di emiliano-romagnoli fuori regione. Bisognerebbe chiudere numerosi istituti scolastici e parecchi insegnanti finirebbero a spasso. Sparirebbero circa 800.000 emiliano-romagnoli in età lavorativa, mentre gli over 65 formerebbero quasi il 35 % della popolazione: addio sistema pensionistico. Con riflessi negativi a cascata sulla produzione, sul Pil regionale e nazionale, sulla competitività del sistema. Discorso che vale per tutte le regioni sviluppate.
Il dato più impressionante – sul quale Salvini e affini non gettano nemmeno uno sguardo ribadendo che “è finita la pacchia per gli immigrati!” – è rappresentato dalla crisi ormai cronica della natalità. Anche nel Sud, con un record in Molise (- 6,3 %) e punte negative in Sicilia (- 5,9 %), in Basilicata (- 5,7), Abruzzo (- 5,3 %) al quale si appaia la Liguria da tempo la più “vecchia” fra le regioni italiane. L’Italia presenta un calo generale della popolazione, mitigato, per il momento, dal lieve incremento degli stranieri (+1,4%). Che presto sparirà.
In agricoltura la presenza di stranieri (non soltanto degli stagionali ipersfruttati dal caporalato, ma anche dei salariati a contratto) è ormai essenziale nella viticoltura e nella orto-frutticoltura in regioni altamente sviluppate come il Piemonte, Qui, secondo la Coldiretti, 17-18.000 stranieri sono ormai assunti a tempo indeterminato nelle campagne. Similmente nelle aziende agrarie lombarde o emiliane. Specie, come si sa, nelle zone degli allevamenti bovini e in quella del Parmigiano-Reggiano dove prevalgono gli Indiani. In generale i lavoratori agricoli stabili sono Romeni, seguiti, appunto, dagli Indiani, e in minor numero da Marocchini, Albanesi, Polacchi, Bulgari e Tunisini. Nei Comuni vitivinicoli della fascia collinare dell’Oltrepò pavese la quota di stranieri sul totale della popolazione aumenta infatti a vista d’occhio rispetto ai Comuni di pianura. Se se ne vanno o comunque diminuiscono, “è finita la pacchia” per il vino italiano. Qui e altrove.
Nell’industria, anche in una regione come il Veneto dai tratti spesso ostili se non xenofobi nei confronti degli immigrati, di recente il direttore della Confapi, Carlo Valerio, ha dichiarato che nella sua regione “non c’è manodopera industriale sufficiente per sostenere questo ritmo”. Il Veneto con Emilia-Romagna e Lombardia è la regione che ha più ha “tirato” la recente ripresa produttiva. Se se ne vanno, “è finita la pacchia” per l’industria delle zone più avanzate.
Analogamente nei servizi, nel commercio e nel turismo dove dipendenti e anche imprenditori stranieri, extra-comunitari, hanno assunto una importanza tutt’altro che trascurabile: 590.000 sono infatti le aziende con un titolare straniero (10 per cento del totale nazionale) e, secondo l’Unioncamere, “crescono quasi cinque volte più della media, e da sole riproducono il 42% di tutto l’aumento registrato nel 2017”. E si segnalano nel settore delle telecomunicazioni, dell’abbigliamento, nei lavori edili specializzati, nel settore delle pelli, dei supporti per uffici, nel commercio al dettaglio, nella ristorazione, nel magazzinaggio e nei trasporti, nell’industria tessile. Prime dieci provincie (in percentuale sul totale) con stranieri a capo di imprese: Prato, Trieste, Firenze, Imperia, Reggio Emilia, Milano, Roma, Gorizia, Genova e Pisa, da un massimo del 28 % di imprese con titolare straniero ad un minimo del 12,5 %. E stanno crescendo a Napoli, Macerata e Terni. Per numero assoluto di imprese sono in vetta Roma, Milano e Torino. Alla faccia degli italiani razzisti. Sarà bene che si sveglino e si tolgano i paraocchi.
Analogamente nell’assistenza agli anziani e ai disabili, settore dove colf e badanti straniere/i rappresentano l’82,9 per cento del totale degli addetti con regolare contratto. Stando ai dati ufficiali dell’Inps e dell’Istat rielaborati dalla Fondazione Moressa di Milano (ma nel settore il lavoro sommerso certo non manca), i lavoratori domestici iscritti all’INPS risultano in Italia 886.747, cresciuti del 42 % fra 2007 e 2015, dei quali soltanto il 17,1 % formato da italiani/e (in risalita con la crisi economica). Il restante 82,9 è quindi costituito da Romeni/e, Ucraini/e, Filippini/e, Moldavi/e, ecc. Di questi 886.747 lavoratori e lavoratrici domestiche, una metà abbondante sono colf e un’altra metà scarsa badanti. Ovviamente in aumento poiché cresce l’aspettativa di vita (di circa 5 anni di qua al 2065), cresce il fabbisogno di badanti, soprattutto nelle aree a più alto reddito e quindi gli studi fanno prevedere che e ne vorranno altre/i 500.000 badanti già per il 2030. A cominciare proprio dalla Lombardia di Salvini con + 73.000, seguita da Emilia-Romagna + 52.000, Toscana, Lazio Veneto e Sardegna + 40.000 ognuna.
Non basta: la società italiana ha penalizzato sempre le donne, ma ci sono numerose famiglie con un solo genitore formate in stragrande maggioranza dalla sola madre. Separata, divorziata o sola. In condizioni economiche sovente precarie, con redditi insufficienti. Perché almeno una parte di queste 893.000 italiane sole possa lavorare e guadagnare un reddito, ci vorranno reti più efficienti di asili, di scuole materne, di badanti (a Modena, per esempio, stanno sperimentando quelle “a tempo”, a Firenze quella di condominio). Certo, per gli anziani verranno in aiuto i robot, ma ci vuole tutta una strategia politica complessiva dei servizi sociali e assistenziali, della scuola, delle imprese per concepire un progetto globale di società italiana meno diseguale, meno penalizzante per le donne, per l’infanzia, per gli anziani, più aperta ai giovani oggi come “irrilevanti”. Quale strategia se oggi siamo in preda ai furenti tatticismi elettoralistici, al giorno per giorno, dei maggiori partiti, tali da precludere ogni riflessione di tipo generale sull’Italia e sul suo futuro, da qui a trent’anni (mica tanto). Italiani first? Ma cosa sta dicendo? Di cosa sta ancora vaneggiando? Della pura razza italica e ariana?
Nati in Italia
2008
576.659
di cui da genitori stranieri: 72.472
da un genitore straniero: 96.442
Fecondità
Donne italiane 1,34
Donne straniere 2,65
2017
464.000 – meno 112.659 sul 2008 – meno 19,5 per cento
i cui da genitori stranieri: 67.933 – meno 4.539 – meno – 6,3 per cento
di cui nati da un genitore straniero: 99.211 – + 2.796 – + 2,8 per cento
Fecondità
Donne italiane 1,24 – meno 7,5 per cento sul 2008
Donne straniere 1,98 – meno 25,3 per cento
Fra 2008 e 2017
Le donne residenti in Italia sono diminuite di 900.000 unità
Donne senza figli
11,1 per cento del totale (1951)
22,2 per cento del totale (2017)
Famiglie con la sola madre
893.000 (86,4 per cento delle famiglie monogenitoriali)
di cui 57,6 per cento separate o divorziate spesso in difficoltà economiche
I Paesi col tasso di natalità più alto – (nati ogni 100.000 abitanti)
Niger 51,60
Mali 49,15
Uganda 47,84
Afganistan 45,46
Sierra Leone 44,73
Burkina Faso 44.33
Somalia 43.70
Angola 43,69
Etiopia 43,66
RD del Congo 42,63
Liberia 42,25
Yemen 42,14
Malawi 41,48
Burundi 41,42
Rep. Congo 41,37
Ciad 40,86
Zambia 40,24
Ruanda 39,67
Sahara Occ. 39,54
Benin 39,22
Sao Tomé 38,54
Madagascar 38,14
Gibuti 37,87
Guinea 37,52
Striscia di Gaza 36,93
Senagal 36,84
Paesi con la tasso di natalità più basso – (nati ogni 100.000 abitanti)
Giappone 7,64
Italia 8,18
Germania 8,18
Austria 8,65
Rep. Ceca 8,83
Slovenia 8,97
Monaco 9,10
Serbia 9,19
Grecia 9,45
Ungheria 9,51
Bulgaria 9,51
Svizzera 9,59
Croazia 9.64
Spagna 9,72
EUROPA 9,10
Polonia 10,04
Svezia 10,12
Belgio 10,45
Portogallo 10,29
Finlandia 10,38
Paesi Bassi 10.40
Romania 10,42
Gran Bretagna 10,65
Norvegia 10,99
Moldavia 11,12
Macedonia 11,14
Francia 12,57
Irlanda 14,23
Popolazione italiana nel 2017
60.483.973
saldo naturale sul 2016: meno- 200.000 – meno- 0,33 per cento
saldo migratorio
+ 188.000 – + 0,31 per cento
meno 105.472 sul 2016 – meno 0,17 per cento
italiani meno 202.884 – meno 0,66 per cento
stranieri + 97.412 – + 0,16 per cento
Natalità nelle Regioni 2016
(in percentuale)
Piemonte meno 5,2
Val d’Aosta – meno 4,3
Lombardia – meno 2,0
Tr-Bz + 0,4
Veneto – meno 2,6
Friuli-VG – meno 5,2
Liguria – meno 8,0
Emilia-R – meno 4,1
Toscana – meno 4,9
Umbria – meno 5,3
Marche – meno 5,1
Lazio – meno 2,6
Abruzzo – meno 4,5
Molise – meno 5,6
Campania – meno 1,7
Puglia – meno 2,5
Basilicata – meno 4,4
Calabria – meno 2,6
Sicilia – meno 2,6
Sardegna – meno 4,0
ITALIA – meno 3,2
Lavoratori domestici in Italia
886.747 iscritti all’Inps – + 42 per cento fra 2007 e 2015
Nazionalità
20,5 per cento Romania
17,1 per cento Italia
9,1 per cento Ucraina
6,6 per cento Filippine
6,2 per cento Moldavia
Stranieri 82,9 per cento
* Negli anni scorsi, con la crisi, sono di nuovo aumentati quelli italiani
Lavoratori domestici
di cui colf
510.000 (58 per cento)
di cui badanti : 375.000 (42 per cento)
Fabbisogno badanti: 2030 – + 500.000 (+ 25 per cento)
di cui:
Lombardia 73.000 badanti
Emilia-Romagna 52.000
Toscana, Lazio, Veneto
e Sardegna 40.000 ciascuna
(dati Inps e Istat elaborati dalla Fondazione Leone Moressa, Mestre)
Quale futuro per l’Italia
Popolazione
2045 2065
59.000.000 54.100.000
(meno 1.600.000 sul 2017) (meno 6.500.000 sul 2017)
Nel 2065
Centro-Nord 71% degli abitanti
Sud e Isole 29 per cento degli abitanti
Saldo naturale nati/morti
Meno 400.000 nel lungo termine
Vita media nel 2065
86,1 anni per gli uomini (oggi 80,6)
90,2 anni per le donne (oggi 85,0)
Saldo migratorio
impossibile stabilirlo per le incertezze nazionali e internazionali, molto probabilmente in diminuzione.