La demolizione delle istituzioni

c’era un folle che, per paura di essere defenestrato dal terzo piano, decise di demolire l’intero palazzo…

di riccardo mastrorillo

Avevamo salutato la nascita del governo Conte 2, come reazione democratica a chi chiedeva i “pieni poteri”. Il rischio di una deriva populista, illiberale e indemocratica, ci apparse lo scorso agosto più evidente, per la salute pubblica, dell’aumento dell’Iva o del paventato “esercizio provvisorio”.

Abbiamo atteso e sperato indarno che questa coalizione di governo, mentre si occupava del bilancio dello Stato, si premurasse anche di mettere in sicurezza la tenuta democratica e costituzionale del Paese, ma, finora, questo non è avvenuto. Ci sembra anzi di assistere al paradosso di un folle che, per paura di essere defenestrato dal terzo piano, abbia deciso di demolire l’intero palazzo.

Abbiamo già più volte scritto come, tutte le proposte della maggioranza, di compensazione della riduzione di rappresentanza, conseguente alla diminuzione del numero dei parlamentari, fossero paradossalmente delle aggravanti. Non era bastato mettere in campo una proposta di legge elettorale che, riduce i criteri della rappresentanza, mentre continua a impedire la scelta del rappresentante da parte dell’elettore. Il segretario del Pd ha voluto strafare, al termine del seminario nazionale del Partito, accennando alla formula del cancellierato ha detto: «Non so con quale formula ma non dobbiamo aver paura. Mettiamo in campo delle proposte, aprendo il confronto con gli altri», sciogliendo definitivamente il dubbio che stesse, da tempo, lavorando per Salvini. Del resto dopo aver partorito una legge elettorale che, grazie ad un’inutile sbarramento, consegna una maggioranza certa alla destra (storicamente meno frammentata della sinistra), per agevolare “il Capitano” nell’ottenere “pieni poteri” vuole anche proporre l’elezione diretta del Capo ed un rafforzamento dei poteri del governo!

La crisi dei partiti è talmente evidente che, paradossalmente ci pareva migliore la proposta leghista di un sistema uninominale all’Inglese, dove almeno, ogni singolo parlamentare verrebbe comunque scelto dagli elettori, costringendo i partiti, almeno, ad evitare candidature improbabili di inutili “servi del capo”, per non essere sonoramente bocciati. Come era prevedibile la Corte Costituzionale non ha ammesso il quesito referendario. La remota possibilità che il referendum sarebbe estato ammesso, ci aveva fatto sperare nella conseguente necessità di una riforma elettorale largamente condivisa e quindi, forse, meno peggio della presente.

La reazione alla bocciatura del quesito, da parte di Salvini, è stata intollerabile: «È una vergogna — ha detto —. È il vecchio sistema che si difende: Pd e 5stelle sono e restano attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: così è il ritorno alla preistoria della peggiore politica italica»

La decisione della Consulta, per quanto ci dispiaccia, è assolutamente corretta, Non si capisce cosa c’entra la consulta col Pd e i 5 stelle, né cosa c’entri l’attaccamento alle poltrone. Ma soprattutto vorremmo sapere di quale “Popolo” parla Salvini? Forse di quello turlupinato dal suo sodale Calderoli che, con il suo “Porcellum” , lo ha privato del diritto di scegliere i suoi rappresentanti? Perché, giova ricodarlo, la prima legge elettorale dichiarata incostituzionale fu proprio scritta da un leghista.

In questo clima politico basato su slogan, accuse reciproche e la costante assenza di proposte concrete, il legislatore accorto, dovrebbe oggi aumentare le garanzie liberali, promuovere strumenti di equilibrio dei poteri e magari anche una sana autocritica degli errori del passato.

Ogni riforma elettorale, è stata presentata come la soluzione definitiva all’ingovernabilità, ai cambi di casacca, ai ribaltoni e a tutti i sintomi della crisi della rappresentanza. Tutti quei sintomi si sono ripresentati aggravati nella legislatura successiva, perché la crisi della rappresentanza non si risolve con la contrazione della stessa, ma con un allargamento, ma si continua a confondere il sintomo con la malattia.

Poco più di cento anni fa la sinistra liberale, nel proporre il suffragio universale prima e il sistema elettorale proporzionale poi, sapeva con certezza che avrebbe favorito la nascita di formazioni politiche nuove e la fine della supremazia liberale in parlamento, eppure seppe cogliere, forse anche con qualche ritardo, la necessità di allargare la rappresentanza, mai pensando di sacrificarla alla governabilità, o peggio alla conservazione del suo potere.

Negli ultimi 30 anni di riforme in nome della governabilità e della semplificazione: i partiti sono più che raddoppiati e la mobilità tra gruppi parlamentari è diventata preoccupante. Anche un idiota avrebbe ormai capito che insistere su questa strada porterà al disastro.

Un commento su “La demolizione delle istituzioni”

  1. Mi ero completamente perso l’apertura di Zingaretti che cmq è una tripla! Cioè è aperta a tutte le possibilità. In genere questa mossa in Italia si fa per prendere tempo non per arrivare da qualche parte. Memento “bozza Violante”. Che il problema dell’Italia sia la credibilità delle istituzioni per me è una verità incontrovertibile. Sono più perplesso sul ricordo “positivo” della sinistra liberale italiana di 100 anni fa

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