TRAGICI ‘SCHERZI A PARTE’

di La lepre marzolina

Martedì 25 gennaio. Ore 10,15.

Ieri lunedì è stata la giornata tra le più nefaste della storia repubblicana. Draghi, con le sue consultazioni, ha ufficializzato la discesa in campo, già di fatto preannunciata a dicembre. (Non è un caso che persino i più prezzolati dei suoi sostenitori – Gedi & company – riconoscono che l’azione di governo degli ultimi due mesi si è molto indebolita).

Con la mossa assai azzardata della candidatura ha dimostrato tutta la sua incapacità politica ed ha manifestato la sua totale irresponsabilità.

Il quadro generale era già inquietante: impazzimento generale, partiti spappolati, leader afoni o incapaci di fare alcuna proposta credibile o mutanti idea tre volte nella stessa giornata, in una situazione generale di pandemia, malessere sociale che non può che crescere, lavoro precario alle stelle, economia che il governo pensa di poter risollevare solo con la pioggia di bonus, necessità comunque di sfruttare al meglio i soldi europei, situazione internazionale che precipita in una crisi cosi acuta e così vicina da mettere paura. E ricordiamoci che noi abbiamo le destre, forse maggioritarie, che trafficano materialmente e ideologicamente con Putin. Il tutto sotto agli occhi di intere generazioni allo sbando destinate a un futuro assai incerto.

Il questo paesaggio desolato, il presidente del consiglio, il Migliore, forse stanco del calvario che i partiti gli stanno facendo passare, decide incoscientemente di far passare alla repubblica (e a sé stesso) un pericolo mortale. Perché gli esiti avventatezza possono essere solo due: o viene eletto trionfalmente alla seconda o terza votazione o rischia di essere umiliato alla quarta.

Il suo primo errore politico sta nel fatto di non rendersi conto che il presidente della repubblica – mai come in questa occasione – viene eletto dai parlamentari e non dai leader dei partiti. Le motivazioni per “impallinarlo”, in parlamento, ci sono tutte: soprattutto il terrore di chi lo dovrebbe votare che la sua ascesa al colle, con naturale crisi di governo, apra questioni non risolubili e spostamenti di equilibri nel totale buio. Da qui la chiusura della legislatura e ben servito ai parlamentari. Poi ci sono motivazioni più nobili: la gestione dei finanziamenti europei a chi verrebbe affidata?; un governo debolissimo, e non potrebbe che essere così, sarebbe funzionale di fatto a una manovra di spostamento dell’intero asse istituzionale, con un’apertura “a fisarmonica” – direbbe Gianfranco Pasquino – dei poteri del Colle. Vogliamo correre questo rischio assolutamente da evitare? La scomposta mossa di Draghi comporta o la sua affermazione, con conseguenti esiti nefasti in ogni caso (crisi al buio, accuse fondate di diserzione e di volontà semigolpiste) o la sua sconfitta (un presidente del consiglio umiliato dal parlamento). E non sono certo questi i tempi per un presidente del consiglio (Draghi) dimezzato perché sconfitto, con addosso l’aura di velleità e addirittura di pericolosità, o (chissà chi) perché è un personaggio di nessun conto, senza autorevolezza né capacità.

Riconoscimento che oramai la frittata è stata fatta e non si può più tornare indietro. Non resta che far finta che il tentativo di candidatura non sia mai avvenuto, e andare avanti.

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