di alessandro pilotti
Si avvicina la data del Congresso del Partito Democratico. É stato un errore aver consentito ad Enrico Letta di rimanere segretario così a lungo e gestire una fase precongressuale con obiettivi addirittura costituenti. Letta ha effettuato una serie di scelte sbagliate anche dopo le elezioni del 25 settembre, creando confusione sia nel gruppo dirigente che tra gli elettori.
I sondaggi danno al momento in forte vantaggio il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini che ha dato dimostrazione di grande trasformismo, non solo negli ultimi tempi per il cambio di look, con i jeans risvoltati e gli occhiali a goccia, ma già quando dopo essere stato eletto segretario regionale del Partito dell’Emilia-Romagna, espressione della “Ditta”, dopo la “non vittoria” di Bersani alle elezioni del 2013, passò armi e bagagli con Matteo Renzi divenendone il coordinatore della mozione al Congresso di quell’anno.
In questi giorni in cui la questione morale ha colpito non solo mediaticamente il gruppo Socialista a Bruxelles Stefano Bonaccini si è affrettato a dire che mai aveva conosciuto Panzeri e si è aggrappato ad una vecchia foto di Benigno Zaccagnini ed Enrico Berlinguer per ribadire la sua distanza da ogni lobby economica.
Continua anche la sua contrapposizione di sapore populista nei confronti delle correnti. Tra i suoi principali sostenitori ci sono le 3 correnti architravi della stagione renziana: Base Riformista guidata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini, Comunità Democratica di Graziano Del Rio e i Giovani Turchi di Matteo Orfini.
Una quarta, dal nome fanfaniano, Iniziativa Democratica è nata in questi giorni per volontà di Piero Fassino che, rompendo il sodalizio con Dario Franceschini, ha deciso di abbandonare dopo 13 anni Area Democratica, non condividendo il sostegno dell’ex ministro della Cultura ad Elly Schlein.
Sempre demagogica è la centralità che Bonaccini attribuisce agli amministratori locali, portatori di virtù civiche, a differenza dei gruppi parlamentari, che descrive come avulsi dal rapporto con gli elettori.
Alla mozione Energia Popolare di Stefano Bonaccini si contrappongono le candidature di Paola De Micheli, di Elly Schlein e Gianni Cuperlo. Se l’ex ministra delle Infrastrutture non sembra in grado di raccogliere consensi, lo spazio di principale competitore se lo contendono la deputata eletta a Bologna e il Presidente della Fondazione PD.
Elly Schlein, nonostante sia cresciuta rispetto ai tempi di Occupy PD, si è candidata a segretaria nazionale prima di prendere la tessera del Partito Democratico da cui era uscita sbattendo la porta nel 2015.
Nel suo ingresso non ha chiarito il perché dell’abbandono di allora imputandolo semplicisticamente a Matteo Renzi e molte perplessità hanno destato i suoi quasi tre anni come Vicepresidente della Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna con deleghe al Welfare e alla Sostenibilità, in cui non ha inciso su nulla, non invertendo la rotta sviluppista impressa dal Presidente Bonaccini su infrastrutture, energia e politiche ambientali.
Così la candidatura di Gianni Cuperlo è diventata la scelta obbligata per salvare questo congresso, per uscire dagli slogan ed approfondire non solo identità e linea politica ma anche la forma-partito.
Gianni Cuperlo non è più il candidato che si caricava sulle sue spalle il fardello della fallimentare gestione bersaniana del partito di nove anni fa. É un dirigente maturo che ha promosso prima con Sinistra Dem e poi con Radicalità per Ricostruire le uniche due iniziative di area che hanno portato contenuti forti senza cedere alla degenerazione correntizia.
Partendo da una posizione di sinistra tradizionale ha saputo connettere la cultura dei diritti sociali con i diritti ambientali e la tutela delle libertà individuali.
Il sostegno di importanti intellettuali come Piero Ignazi e Nadia Urbinati lo rendono il candidato più credibile per la sinistra liberale.
L’illusione veltroniana di poter creare un Partito Democratico sul modello statunitense quindici anni fa si è scontrata non solo con la perdita di consensi ma anche con un modello plebiscitario di statuto che non ha eguali neppure nei partiti sudamericani.
Infatti, l’attuale Chairman, il Presidente del Partito Democratico degli Stati Uniti, Jaime Harrison è stato scelto con il voto unitario di 443 delegati e non con Primarie a cui può votare anche il primo che passa per strada.
Nei partiti laburisti e progressisti europei il leader che sia segretario o presidente è scelto all’interno del gruppo parlamentare e non tra sindaci o Presidenti di regione ma votato solo dagli iscritti.
Le riforme dello Statuto del PD sia quella della Commissione Orfini che l’ultima del novembre 2019 hanno peggiorato la situazione: il ballottaggio tra i primi due più votati tra gli iscritti introdotto in queste primarie avrà solo la funzione di ridurre il valore dell’iscrizione al Partito dando centralità all’elettore, che in realtà viene interpellato solo una volta ogni quattro anni.
Cuperlo dovrebbe mettere in discussione il plebiscitarismo dello statuto con un gesto forte. Rinunciare alle primarie anche se arrivasse tra i primi due nel Congresso tra gli iscritti. Il PD non ha bisogno dei gazebo ma di una ampia fase Costituente che lo metta al centro del processo di riorganizzazione del Partito del Socialismo Europeo per essere il motore della Riforma dei Trattati in un’ottica federale che è la politica più urgente da qui fino al 2024 per i progressisti.
Un commento su “UN SÌ per Gianni Cuperlo”