di raffaello morelli
Il mondo liberale e l’ampia parte di quello laico che inclina al liberalismo, dovrebbero approfittare della nuova attenzione suscitata a metà di marzo circa il ruolo civile della legge 222/1985 nei suoi molteplici aspetti. L’attenzione è stata risvegliata da un grosso articolo su “l’Espresso” che ha approfondito un tema – quello del vero rapporto tra Repubblica Italiana e Stato del Vaticano – tenuto ai margini da un’ipocrita concezione della democrazia civile, irrispettosa anche di sentenze della Corte Costituzionale consolidate. A questo punto, per il mondo liberale e l’ampia parte di quello laico, si tratta di ragionare su quel rapporto al fine di impedire che si allarghi l’ipocrita concezione della democrazia civile, o preferibilmente al fine di diminuirne l’effetto.
Per tale ragionamento, occorre partire dalla legge 222 del maggio 1985 sui Beni ecclesiastici e sul sostentamento del clero cattolico. Una legge che regolamenta il settore nel diritto italiano, alla luce di quanto pattuito nel rinnovato Concordato sottoscritto il 18 febbraio ‘84. Questo Concordato ha abrogato tutte le norme di quello del 1929 non esplicitamente riprodotte (per esempio quella che definiva la religione cattolica sola religione dello Stato italiano). Il tema beni ecclesiastici e finanziario è trattato dall’art. 7 comma 6 e 7 che istituisce una Commissione Paritetica per formulare la disciplina della materia (il che fornisce l’implicita conferma della volontà della Repubblica di farsi carico degli oneri finanziari del clero). Quanto elaborato da tale Commissione venne poi approvato in un protocollo aggiuntivo sottoscritto nove mesi dopo, 15 novembre 1984, con il testo sulla materia affidata. La ratifica del Concordato avvenne con la legge 121/1985, e la ratifica del protocollo con la legge 206/1985. Non esistono altre leggi di ratifica di questi accordi internazionali. Eppure i clericali puntano ad allargare l’ambito giuridico della loro influenza.
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