di pier virgilio dastoli
Dopo oltre un anno di complicate trattative condotte al riparo dai riflettori e della società civile con
la sola collaborazione degli assistenti dei gruppi politici, i relatori della Commissione Affari
Costituzionali del Parlamento europeo hanno infine presentato prima alla stampa il 13 settembre e
poi hanno depositato in Commissione un corposo rapporto sulla revisione del Trattato di Lisbona (o
meglio: dei trattati di Lisbona essendo stati suddivisi dai governi nel Trattato sull’Unione europea e
nel Trattato sul suo funzionamento) entrato in vigore nel dicembre 2009 insieme alla Carta dei
diritti fondamentali.
Come le nostre lettrici e i nostri lettori ricordano la Commissione Affari Costituzionali aveva
inizialmente immaginato, a conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa (9 maggio 2022), di
proporre al Consiglio di chiedere al Consiglio europeo di avviare una convenzione per modificare
una trentina di articoli dei due trattati (LINK).
In quell’occasione, il Movimento europeo inviò alla Commissione Affari Costituzionali una lettera in
cui chiedeva di rafforzare le richieste di revisione dei trattati aggiungendo la convinzione che la via
migliore per riformare l’Unione europea per evitare lo scoglio della unanimità di una conferenza
intergovernativa inevitabile dopo la convenzione, superare l’immobilismo dei governi e avviare un
processo democratico e trasparente coinvolgendo tutte le forze politiche e non solo quelle nei
governi nazionali sarebbe stata quella di aprire dopo le elezioni europee nel 2024 una fase
costituente trasformando il testo della revisione dei due trattati in un nuovo trattato-costituzionale
da sottoporre ad un referendum paneuropeo.
A causa delle riserve del PPE, i gruppi politici decisero di accantonare quel che stava preparando la
Commissione Affari Costituzionali portando invece in aula a giugno 2022 una risoluzione in cui il
Parlamento europeo si è limitato a chiedere la modifica di due articoli del Trattato sull’Unione
europea (articoli 29 e 48.7 TUE) facendo tuttavia l’errore di annunciare di aver dato mandato alla
commissione affari costituzionali di scrivere un nuovo rapporto, un errore che ha consentito così al
Consiglio di rinviare ogni decisione a dopo l’approvazione di questo rapporto.
All’inizio, il PPE aveva chiesto ed ottenuto che al gruppo dei relatori fosse associato un deputato
polacco del gruppo ECR a cui appartengono Fratelli d’Italia e Vox e gli altri gruppi hanno compiuto il
grave errore di cedere al bluff del PPE e di Manfred Weber sottovalutando gli ostacoli che
avrebbero dovuto superare per tener conto delle ostilità euroscettiche dell’ECR in parte condivise
dal PPE (LINK).
Cosicché il lavoro dei relatori si è trasformato in una tela di Penelope con un continuo stillicidio di
date inutilmente diffuse negli ambienti federalisti essendo fin dall’inizio chiaro che il rapporto della
commissione affari costituzionali sarebbe approdato in aula non prima dell’autunno 2023 e che
l’avvicinarsi delle elezioni europee nella primavera del 2024 avrebbe reso totalmente irrealista
l’ipotesi dell’avvio di una convenzione per modificare i due trattati di Lisbona prima di quelle
elezioni, un’ipotesi frutto di un teorico wishful thinking con ripetuti appelli per una accelerazione
della riforma dell’Unione europea prima di quelle elezioni.
Il rapporto dei relatori è ora approdato in Commissione senza la firma del gruppo ECR e,
naturalmente, con l’esclusione degli altri sovranisti di Identità e Democrazia rafforzando la prospettiva che “il tavolo” degli equilibri politici in Europa dopo le Europee non sarà rovesciato a
favore di una coalizione PPE-Renew Europe-ECR.
Il sistema tripolare europeo renderà inevitabile la conferma della grande coalizione PPE-S&D-Renew
Europe anche se non è ancora certa la conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della
Commissione considerando i suoi ripetuti tentativi di “accarezzare il pelo” dei conservatori guidati
da Giorgia Meloni per garantirsi una maggioranza più ampia di quella che si fermò a nove voti nel
luglio 2019.
Il rapporto che è approdato il 14 settembre in Commissione Affari Costituzionali conferma gli
orientamenti delle organizzazioni europeiste e federaliste secondo cui l’Unione europea – in vista
del suo ampliamento verso i Balcani occidentali e l’Europa orientale – deve essere resa più efficace
e più democratica aggiornando i due trattati di Lisbona con una diversa ripartizione delle
competenze esclusive, condivise e di sostegno, superando il potere di veto in molti settori in cui i
due trattati prevedono che le decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio siano adottate
all’unanimità e estendendo i poteri del Parlamento europeo nella logica di una autorità bicamerale
legislativa e di bilancio.
Come abbiamo potuto constatare leggendo il discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der
Leyen, la presidente della Commissione europea è convinta che “non dobbiamo aspettare che
cambino i trattati per proseguire sul percorso dell’allargamento”.
Lasciamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il tempo di leggere e giudicare il rapporto che è
approdato in Commissione Affari Costituzionali, che vi suggeriamo di comparare con il “progetto di
Trattato che istituisce l’Unione europea” del 14 febbraio 1984, dando appuntamento alla
quindicesima riunione della “Piattaforma sul futuro dell’Europa” che si incontrerà il 18 ottobre
dopo il voto in Commissione del 12 ottobre e prima del voto in aula attualmente previsto per il 9
novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino.
Ci permettiamo di attirare tuttavia la vostra attenzione su tre questioni a nostro avviso dirimenti su cui vorremmo concentrare la discussione del 18 ottobre:
– I due trattati mantengono, nelle proposte dei relatori, la loro natura ermafrodita che fu
denunciata da Giuliano Amato dopo la decisione di Angela Merkel, Tony Blair e Nicolas Sarkozy di abbandonare il progetto preparato dalla Convenzione sull’avvenire dell’Europa preferendo il “maschio” del Trattato alla “femmina” della Costituzione da cui emersero nella Conferenza intergovernativa avviata sotto presidenza tedesca i due trattati di Lisbona. A
quel tempo la decisione sciagurata di Angela Merkel, Tony Blair e Nicolas Sarkozy fu inutilmente contestata dalla maggioranza del Parlamento europeo, da Giorgio Napolitano e Romano Prodi (sostenuto dalla ministra degli affari europei Emma Bonino ma non dal
ministro degli esteri Massimo D’Alema) in due diversi discorsi nell’aula di Strasburgo, dal
primo ministro belga Guy Verhofstadt e dal capo del governo spagnolo Zapatero
– I governi conservano la loro signoria (we are the owners of the treaties) sui trattati e
mantengono il potere di restituire competenze dall’Unione europea agli Stati membri (art.
48.2 TUE)
– Il passaggio dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata nel Consiglio rischia di
essere vanificato – come è avvenuto spesso dall’entrata in vigore dei trattati di Lisbona – dal
fatto che al Consiglio (e al Parlamento europeo) non si applica in prima lettura un termine di
tempo per adottare le sue posizioni (articoli 289 e 294 TFUE) come è previsto invece per la seconda lettura, al contrario di quel che era previsto nell’art. 38 del “progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea” adottato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 che stabiliva per il Parlamento e per il Consiglio un termine di tempo di sei mesi.
Vi presenteremo prima della riunione della Piattaforma le nostre proposte di emendamenti al
rapporto adottato dalla Commissione Affari Costituzionali e la rinnovata richiesta al Parlamento
europeo di invitare gli ottocento cittadini coinvolti nella Conferenza sul futuro dell’Europa, le
organizzazioni rappresentative della società civile, il Comitato delle Regioni e il Comitato economico
e sociale, i partner sociali ad una agora che preceda il dibattito e il voto in seduta plenaria.
Roma, 18 settembre 2023