di Angelo Perrone
Ogni volta è un momento di riflessione, da qualche tempo è diventato motivo di discussione. Persino di contestazione. Tra il compiacimento di pochi, purtroppo al potere, e lo stupore di tanti. Sono per fortuna la maggioranza: coloro che sanno e non dimenticano. Questo, ed altro, è il 25 aprile.
La Storia e la coscienza assicurano che la data, che segna la caduta del fascismo, rappresenti una svolta decisiva e irreversibile, dagli effetti profondi e non più ritrattabili. E, nello stesso tempo, che proprio l’antifascismo debba porsi alla base di quanto avvenuto dopo, esserne il principio ispiratore. Costituire la guida di ciò che tuttora dà alimento e sostanza alle nostre vite, in atteggiamenti pubblici, sensibilità individuali e norme di comportamento.
Si racconta, soprattutto, che quel momento sia fondativo della Repubblica, una pietra angolare su cui si regge la costruzione dello Stato e la vita collettiva, come prefigurata dalla Costituzione, un compendio di regole esemplare per significati e implicazioni.
Verrebbe da credere a tutto ciò e da confidare in simile missione, conquistati ancora oggi, nonostante tante disillusioni, dalla grandezza del disegno e dalla lungimiranza degli scopi.
Sarebbe anche utile pensare, per la nobiltà degli intenti che lo sovrastano, che il destino, immaginato da quanti presero parte alla Resistenza in nome di un’Italia libera e democratica e che poi ne forgiarono le regole supreme, corrisponda in pieno al futuro, un’anticipazione di ciò che sarà di noi domani. E tutto questo senza scarti, correzioni e distinguo.
Ma il presente è ingombro di troppe nuvole grigie, non appare affatto rassicurante, anzi integra cattivi auspici. Sarebbe improvvido non rilevarlo. Nessuna costruzione, anche la più radicata, può dirsi al riparo dai venti avversi, quando sono insistenti, pervicaci e devastanti. Il rischio è che, di fronte al pericolo, le convinzioni più salde smarriscano l’orizzonte e scadano nella retorica inoperosa.