di Marco Cianca
Vili, indifferenti, furbi, prudenti, cinici, scettici, rabbiosi, prepotenti, egoisti, cattivi, invidiosi, brutali, spietati, ignavi. Sono tante le sfumature dell’umana negatività. E vengono tutte in mente, spinte dall’orrore per la morte di Satnam Singh, buttato davanti casa dal padrone. Come un sacco dell’immondizia, lì, dissanguato, con accanto il braccio. Un fantoccio rotto, uno schiavo senza tempo. Succedeva migliaia di anni fa, succede oggi.
Perché meravigliarsi o indignarsi? Ipocrisia allo stato puro. Quando compriamo i pomodori al supermercato, magari cercando i prodotti in offerta, è ben chiaro che più il prezzo risulta basso, maggiore è il peso dello sfruttamento. Non fa una grinza. Risparmio per il consumatore, profitti comunque assicurati ai produttori, morte nei campi. In genere, prevale la dissociazione cognitiva, una sorta di rifiuto del problema. Come pagare in nero l’idraulico o il meccanico per non sobbarcarsi l’Iva, oppure acquistare ad un mercatino merce dalla dubbia provenienza.
Poi, però, tuoniamo contro gli immigrati, gli evasori o i ladri. Un’incoerenza che alla lunga può provocare un disagio psichico, capace a sua volta di generare, come autodifesa, un’alienata proiezione sugli altri, che diventano i veri colpevoli, delle proprie debolezze. Come dire: non dipende da me se gli extracomunitari ci invadono e tirano a campare come possono, se i rom rubano e se le tasse sono talmente alte da giustificare il loro aggiramento. Gli omofobi più truci spesso nascondono sotto la loro violenta intolleranza pulsioni omosessuali più o meno inconsce. E, per tutte queste variegate patologie sociali, i richiami belluini della Destra sono nel contempo un anestetico e un ricostituente.
Poi c’è la rete delle complicità, delle acquiescenze, dell’arrangiarsi. Nelle campagne di Latina, lo scempio della raccolta di ortaggi era noto, accettato, coperto. Persino le inchieste della magistratura e le indagini degli investigatori finora sono rimbalzate contro un muro di gomma. Eppure, basterebbe un diuturno controllo del territorio per stroncare il caporalato. Ma gli interessi in gioco sono tanti e arrivano fino alle grandi multinazionali del settore agricolo-alimentare. I giganti del cibo schiacciano i campi e chi ci lavora. In tutto il mondo
Nel 1926, George Grosz dipinse “I pilastri della società”, sconcertante satira del potere. Dettaglia la scrittrice Claudia Ryan: “In ogni personaggio enfatizza le fattezze, trasformando così i loro volti in ghigni mostruosi che sembrano provenire da un incubo. Il militante in primo piano, con un boccale di birra in mano e il simbolo della svastica sulla cravatta, agguanta una spada e le sue idee bellicose fuoriescono dalla scatola cranica concretizzandosi in un cavaliere armato; il politico alle sue spalle, il cui aspetto grasso e flaccido tradisce il suo egoismo, ha un cumulo di escrementi al posto del cervello; il giornalista, che scrive ancora con una penna con la piuma a indicare il suo conservatorismo, ha un vaso da notte al posto del cappello; il prete, con naso e orecchie rosse da ubriacone e gli occhi chiusi per non vedere, sembra vivere felicemente scappando dai problemi; infine i soldati sullo sfondo portano morte e distruzione con caparbio rigore, infatti un palazzo è già in fiamme”.
Lo stesso Grosz dichiarò che nei periodi di crisi è compito della pittura “convincere il mondo della sua bruttura, della sua malattia, delle sue menzogne”. Per le SS si trattava di arte degenerata, distrussero molte opere e perseguitarono gli autori. Stava arrivando quella che Karl Kraus, citando il Faust, chiamò “La terza notte di Valpurga”.
E oggi? Chi sono i pilastri della società? Come li raffigurerebbe Grosz? Assistendo alla tragedia di Satnam Singh, forse insisterebbe con il suo vecchio quadro. I personaggi hanno cambiato vesti ma sono sempre gli stessi.
25 Giugno 2024 da in Il guardiano del faro