Una vita, le nostre vite

di Laura Cima

Una volta c’erano i consultori per cui abbiamo occupato a Torino locali autogestiti in ogni quartiere che avrebbero dovuto accogliere anche ragazze sole come Chiara Petrolini per informare e aiutare. Quanti ne sono rimasti? Sostituiti dalle istruzioni in rete che Chiara ha seguito mentre partoriva? Ma che sanità e che sistema educativo abbiamo? La rete? Sono inorridita anche di come si parla di questa ragazza, una omicida infanticida seriale senza coscienza. E parenti e fidanzato inconsapevoli poverini.

Sto sperimentando la mia fragilità di ultraottantenne con femore rotto e inchiodato dopo una caduta casalinga mentre tentavo di lavare il pavimento. Finora ho trascurato rete e relazioni extrafamiliari perché il dolore alle ossa e ai muscoli non è stato indifferente dopo la caduta, l’operazione e, anche ora, in alcuni momenti, mente procedo con la riabilitazione. Ho solo postato qualche mia fotografia rassicurante per parenti e amici, che mi raffigurava in piedi, mentre cammino con qualche supporto, o seduta nel mio bellissimo parco di Melta sotto casa, in cui mi sono fatta portare appena sono riuscita a salire in auto.

Ho diffuso anche un mio commento che riporto qui all’inizio, nauseata dall’odio in rete, e dalla totale mancanza di pietas e di ricerca di spiegazioni del perché, una studentessa colta, messa incinta contro il suo volere, anzichè abortire o premunirsi di pillola prima di rapporti prevedibili, abbia deciso di portare avanti la gravidanza per ben due volte, per poi lasciare morire per dissanguamento attraverso il cordone ombelicale tagliato e non chiuso, il figlio che aveva partorito. Lei sostiene di aver fatto tutto di nascosto e da sola, anche il seppellimento in una buca del suo giardino, dove il cane ha trovato le ossa, come era prevedibile.

Non ho intenzione di soffermarmi sulla viltà del fidanzato, e forse dei parenti che hanno scaricato tutta la responsabilità degli infanticidi su di lei, raccontando falsamente che non si erano accorti di nulla. Una gravidanza portata avanti fino alla fine comporta una pancia impossibile da nascondere, e il fidanzato che l’ha messa incinta per ben due volte, come fa a raccontare che lui era all’oscuro? Perché non ha usato un preservativo? Perché non ha praticato il coito interrotto, perché non l’ha accompagnata da una ginecologa o da un’ostetrica?

Fragilità e ignoranza, o menefreghismo di questa nuova generazione? Quale responsabilità ci portiamo addosso noi che abbiamo lottato perché questi ragazzi potessero vivere una vita migliore e i bambini potessero nascere bene accolti o non lasciati sviluppare quando erano piccolissimi feti, se non desiderati?

Siamo tornati indietro di secoli? Prima ancora dell’uso del prezzemolo o dei ferri da calza per abortire? La nausea che mi ha invasa leggendo e ascoltando anche i commenti sui media e la preoccupazione per la disumanità a cui pare ci si voglia abituare anche con le guerre in corso, mi ha spinto a scrivere queste poche righe oggi, superando i confini che mi ero quasi automaticamente data, dopo la caduta, la rottura del femore, l’operazione e la degenza ospedaliera.

Davanti al mio letto era stata portata una giovane venticinquenne con bacino, polso e costole e vertebre rotte in un’incidente alla fine della galleria verso Pergine che per anni ho percorso per andare a Bosco da Trento, a trovare nipotino e genitori. In quello stesso giorno mi ha detto che ci sono stati altri cinque incidenti nello stesso punto dove, per incuria, era stato tolto il guard rail e lasciati piloni pericolosi. Abbiamo fatto amicizia in quelle giornate in cui entrambe, quando eravamo costrette a muoverci, ci lasciavamo sfuggire lamenti di dolore.

Oltre a lei ho conosciuto in ospedale persone splendide. Anche tra il personale infermieristico e le studentesse che facevano pratica. Una esperienza importante in cui ho sperimentato la mia totale dipendenza e continuo a provare una immensa gratitudine per chi mi ha assistita e curata, e lo fa anche a casa, come Piero. L’empatia che circola intorno a me da quel giorno in cui sono caduta e hanno dovuta farmi la morfina per muovermi perché il dolore era insopportabile mi ha scoperto una empatia che circola, e che in condizioni normali non è così facile fare emergere.

Se Chiara fosse stata educata da bambina a esprimerla e ad accoglierla, forse avrebbe trovato una strada diversa che l’infanticidio. La responsabilità della morte di questi due bimbi, dobbiamo assumercela socialmente perché è troppo comodo sputare in rete indifferenza, odio e superiorità, tacciandola di delinquenza come qualcuno ha osato fare, per passare oltre fregandocene del tasso di violenza sempre più alto tra i giovani, anche quelli che usano i coltelli per ferire e uccidere, senza farsi molti problemi.

Io mi porto dentro dolore e angoscia e mi chiedo che società sta accogliendo le mie giovanissime nipoti e il mio ultimo piccolo amore maschio, Victor che si avvicina ai tre anni e mi fa riscoprire il mondo attraverso i suoi occhi, la sua sensibilità e le sue parole.

Non voglio rinunciare a quello che mi trasmette, alla bellezza e alla simpatia. Ma non voglio neppure rimuovere l’angoscia per quello che succede.

Mi piacerebbe amiche mie che aprissimo un confronto per aiutarci. Buona giornata a tutti e tutte.

* l’immagine è tratta da https://www.youtube.com/watch?v=s6pM0rlB-EQ, la storia dei consultori 1975-2015, Città metropolitana di Torino

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