Immoralità edilizia

di riccardo mastrorillo

Come da copione in questi giorni siamo risucchiati dalle polemiche sull’inchiesta a Milano, come sempre, solerti dipendenti del tribunale consegnano documenti, che dovrebbero essere riservati, ai giornalisti, con strascico di intercettazioni e ricostruzioni.

Il paese è marcio, e lo sappiamo tutti da tempo, ma opinionisti e politici (garantisti alternati) si occupano solo di commentare, mai di analizzare i fatti e, magari, rivedere le norme.

La cultura liberale dovrebbe essere pragmatica, mai ideologica, lo strumento dovrebbe essere: sperimentare i fatti e correggere gli errori. La moralità di questo paese si basa sul concetto, tra il religioso e l’ideologico, del “sepolcro imbiancato”. Il bene e il male sono categorie sovrannaturali e chi è dalla parte del bene, può fare anche il male, considerando che è per un futuro bene superiore: la pace in terra e la fine delle ingiustizie o le famiglie dei miei operai…

Il pensiero critico, la pratica empirica: il metodo liberale, affrontano le questioni in tutt’altra maniera. Non credo di rappresentare il “bene”, credo solo di doverlo perseguire, ma cosa è il bene? Un ambientalista ideologico ritiene che costruire un grattacielo sia un male, l’imprenditore che vuole costruirlo ritiene che sia un “bene” (ricchezza personale, tanti posti di lavoro, un indotto  che fa muovere l’economia), anche il 110% era un “bene”, peccato che ha drogato un sistema economico, quello dell’edilizia, che ora cerca altre aree di sviluppo, il “bene” o il “male” non sono categorie pratiche, esistono “interessi contrapposti”, compito della politica dovrebbe essere mediare tra quegli interessi, se la mediazione è “alta” si garantiscono gli interessi “pubblici”; tutto è affidato  alla capacità di giudizio, di sintesi, di visione lungimirante del politico. L’interesse di un singolo, soprattutto di un imprenditore con molti dipendenti, è certamente più evidente e concreta dell’interesse collettivo, per esempio ad avere una città non congestionata, inquinata, invivibile. 

La magistratura sostiene che, date le intercettazioni, le consulenze pagate a un indagato siano tangenti camuffate. Ci domandiamo come possano dimostrare questa tesi, non avendo certamente (altrimenti le avremmo lette sui giornali) intercettazioni in cui il corruttore informa della cosa il corrotto. E, se l’avessimo, penseremmo, per prima cosa, di avere a che fare con degli idioti.

Crediamo fermamente che le regole debbano essere pensate per evitare a monte situazioni di evidente conflitto di interesse: il regolamento del Comune di Milano, riguardante la Commissione del Paesaggio recita: «1. I componenti della Commissione conformano la propria attività ai principi di legalità, buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, agendo in posizione di indipendenza e autonomia (…) 2. Per tutta la durata dello svolgimento delle funzioni della Commissione 8 componenti su 15, compreso il Presidente, non possono svolgere attività di libera professione nel territorio comunale». Anche uno stupido e perfino un corruttore storcerebbe la bocca su questo testo: 8 su 15? e come si dividono? Svolgono la professione a turni alterni di un anno? La logica e il diritto avrebbe imposto una incompatibilità netta, forse anche per il quinquennio successivo, garantendo, al contempo, un compenso estremamente altro per i componenti la commissione. Questa idea pauperistica e ipocrita che, chi svolga ruoli di responsabilità nella pubblica amministrazione, debba essere pagato poco, soprattutto quando la nomina proviene da un organismo politico, è basata su un pregiudizio idiota, sperando così di dissuadere i “partiti” dallo spartirsi quelle poltrone. L’effetto è che le poltrone sono spartite lo stesso, con l’aggravante che non si può pretendere l’unica garanzia oggettiva dell’assenza di conflitto d’interesse: l’esclusiva.

Da oltre 30 anni è stata introdotta nella procedura di pianificazione urbanistica, la partecipazione  del privato, anzi quella concertazione, per legge è canone e parametro di legittimità dell’azione amministrativa. Sarà il caso di rivedere questo principio? L’interesse privato, come dicevamo, è chiaro e palpabile, ma esistono interessi collettivi, ideali, morali, indiretti, come possono questi ultimi introdursi all’interno della procedura urbanistica?

Attualmente qualsiasi modifica della pianificazione edilizia che cambi la destinazione d’uso di un qualunque terreno, comporta la modifica sostanziosa del valore commerciale dello stesso: se il mio terreno agricolo, viene modificato in edificabile (magari pure per costruzioni di pubblica utilità) improvvisamente e, senza che io abbia fatto nulla, il valore del mio terreno si moltiplica esponenzialmente. Possiamo dire che, in questo caso,  i proprietari che insistono con i politici perché il loro terreno cambi destinazione, almeno hanno svolto una fatica per ottenere un guadagno? Scherzi a parte, in un sistema economico liberale vero, quell’incremento di valore (impropriamente definito “rendita fondiaria”) sarebbe tassato al 100% dallo Stato, impedendo così, a monte, che l’interesse di un privato, possa interferire con le decisioni pubbliche.

Le regole di pianificazione urbanistica necessitano di certezze e rapidità, spetta al Consiglio Comunale, quindi ad un consesso politico che dovrebbe svolgere il ruolo di mediazione degli interessi concorrenti, la determinazione di un Piano Regolatore Generale. Peccato che ogni Regione può o ha modificato il contenuto e le modalità di determinazione del piano, in alcuni casi hanno anche cambiato nome. Non sarebbe possibile avere un unica legge nazionale che stabilisce le regole per determinare in modo chiaro e trasparente il progetto complessivo urbanistico di ogni città? Poche semplici regole, comprensibili e di facile esecuzione. Proprio all’interno dei complessi e contorti meccanismi burocratici si annida l’immoralità e la corruzione. Come è possibile che una commissione di professionisti, non in esclusiva, possa autorizzare una “riqualificazione urbana” permettendo la costruzione di un grattacielo?

 

 

 

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