di angelo perrone
L’approvazione al Senato della riforma sulla separazione delle carriere in magistratura ha innescato una reazione politica veemente, rivelando una frattura profonda non solo tra maggioranza e opposizioni, ma sulla stessa concezione del ruolo della giustizia in una democrazia moderna. Per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si tratta di un “passo avanti” epocale, mentre il ministro della Giustizia Carlo Nordio celebra la realizzazione di un “sogno” coltivato fin dal 1995. Una prospettiva, quest’ultima, che le opposizioni hanno duramente contestato, mostrando emblematicamente la Costituzione capovolta in Aula e tuonando contro un provvedimento che realizza il “sogno di Licio Gelli”, evocando i fantasmi della P2 e di un progetto eversivo teso a indebolire le istituzioni democratiche.
L’incongruenza della posizione del ministro Nordio emerge con forza. Un Guardasigilli dovrebbe essere il primo garante dell’equilibrio tra i poteri e della piena funzionalità di ogni pilastro dello Stato. Eppure, Nordio si mostra entusiasta di una riforma che, nelle sue implicazioni, rischia di svuotare di significato l’indipendenza della magistratura. La preoccupazione non riguarda solo un “corpo dello Stato”, ma una funzione essenziale di civiltà, un baluardo per la tutela dei diritti dei cittadini e per l’applicazione imparziale della legge. Una magistratura non più unita, ma potenzialmente frammentata e più esposta a influenze politiche, rappresenta un arretramento per lo Stato di diritto.
Le voci critiche, da Giuseppe Conte che associa la riforma a vecchi disegni antidemocratici, a Francesco Boccia che parla di “modello trumpismo”, fino a Dario Franceschini che evoca il controverso “Papeete”, segnalano un forte allarme. Il vicepremier Antonio Tajani, pur celebrando una “giornata meravigliosa dedicata a Berlusconi”, non riesce a dissipare il timore che dietro la retorica del “passo avanti” si nasconda la volontà politica di limitare l’autonomia di chi è chiamato a giudicare anche il potere.
La riforma, lungi dall’essere una mera riorganizzazione interna, viene percepita da molti come una manovra politica per ridimensionare il potere giudiziario, sacrificando sull’altare di un’agenda partitica principi cardine della Costituzione. È una scelta che pone interrogativi seri sulla visione che questo governo ha della democrazia e della separazione dei poteri. La celebrazione di un “sogno” rischia così di trasformarsi in un incubo per chi vede nella magistratura indipendente un’ultima spiaggia di giustizia e legalità.