All’articolo di Gian Giacomo Migone è seguito un vasto dibattito sui “misteri d’Italia”. Tra i tanti contributi, tutti preziosi, abbiamo scelto di pubblicare quelli di gianni marilotti, presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato, sul “segreto di Stato”, e di antonino drago, già docente di Storia della Fisica alla Università di Napoli e di Non violenza nei due corsi di laurea sulla pace delle Università di Pisa e di Firenze, sul mondo della nonviolenza e su Aldo Capitini , a noi molto caro.
di gianni marilotti
Ho letto con piacere il tuo articolo “le certezze acquisite e le troppe ombre e omertà di Stato”, uscito ne Il Manifesto il 17 luglio scorso. Debbo dirti che qualunque articolo sui cosiddetti misteri d’Italia esca su un quotidiano cartaceo o on line suscita il mio interesse e, ne sono assolutamente certo, quello di moltissimi lettori. Il tuo articolo poi centra perfettamente i problemi che ancora ostacolano la conoscenza della verità storica. Come sai, e lo hai anche riconosciuto nell’articolo e di questo ti ringrazio, da tre anni mi sto battendo per il diritto alla conoscenza di fatti essenziali della nostra storia recente. Me lo consente il ruolo che attualmente ricopro quale presidente della Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato .A pochi giorni da mio insediamento ricevetti dal Tribunale di Bologna una richiesta di accesso agli Atti, ovvero lo stenografico dell’audizione di Falcone alla Commissione Stragi, filone strage di Bologna. Mi fu facile provvedere. Pieno di entusiasmo mi preparai ad accogliere altre richieste, ma ben presto sorsero dei problemi: la maggior parte degli atti richiesti da giornalisti d’inchiesta, storici e semplici cittadini erano classificati secondo varie fattispecie di segreto, ragion per cui non potevamo renderli pubblici. Su qualche quotidiano comparivano articoli critici sul nostro operato: pareva che fossimo noi gli occultatori di verità.
Ti racconto quel che ho fatto insieme ad un gruppo di agguerritissimi collaboratori. Abbiamo studiato a fondo la situazione.
La prima fattispecie di segreto era il cosiddetto “segreto funzionale”, quello che una cessata commissione bi o monocamerale appone a fine legislatura; funzionale in vista di una riedizione della stessa commissione nella successiva legislatura. Ma la stragrande maggioranza di queste commissioni non erano state più costituite ed erano trascorsi anche trenta o quarant’anni. Nessuno avrebbe potuto più togliere quel segreto, il quale si configurava come eterno: una sorta di fine segreto MAI! Nessuno poteva più togliere quella classifica tranne il Parlamento stesso. Abbiamo, dunque, redatto una proposta stralcio per abolire il segreto funzionale con un unico atto del Consiglio di Presidenza del Senato. Protocollata nel giugno 2019, la proposta ha dovuto aspettare più di un anno per poter essere il 22 luglio del 2020 deliberata dall’Organo deputato. Abbiamo proceduto speditamente, digitalizzato e messo in rete più di un milione di pagine di audizioni, relazioni, resoconti, indici, etc.; lavoro che ha consentito di formulare con più precisione gli interpelli agli Enti che avevano apposto classifiche di segretezza.
Sicuramente è stato un primo grande successo, ma ci appariva chiaro che la strada per la desecretazione era ancora lunga e irta di difficoltà di ogni genere. Per fare solo qualche esempio, nonostante la cancellazione del segreto funzionale, nel filone “Moro” della commissione terrorismo e stragi, risultavano ancora 15.123 pagine riservate, rientranti nel “segreto eteronomo”, ovvero di classifiche apposte dagli Enti originatori (Ministeri, Servizi Segreti, Governi esteri) rispetto alle quali vi è l’obbligo di interpello agli stessi Enti; ebbene nei cinque anni precedenti le pagine declassificate in base agli interpelli sono state 172. Ancora, nel filone “Bologna”: classificate 10.121, desecretate 478. In quello “Eversione di destra”: non consultabili 3.990, desecretate75. “Ustica”: non consultabili 33.824, rese fruibili agli studiosi 48. Sul filone “Piazza Fontana”, trascorsi oltre 50 anni, vi sono ancora 25 pagine coperte dal segreto di Stato. Potrei continuare con il lungo elenco degli oltre 28 filoni compresi nelle commissioni stragi i cui atti sono conservati nell’Archivio Storico del Senato, mi limito a riassumere il dato complessivo. Le pagine ancora secretate sono attualmente 125.116; erano 125.839 nel 2015. Lascio a te il calcolo di quanti secoli ci vorranno per una completa fruibilità da parte dei cittadini di queste verità “coperte”, “nascoste”, sottratte insomma alla conoscenza storica.
Vi sono poi altre fattispecie di classifiche che non rientrano nel segreto eteronomo. Ad esempio allorché un audito presso una commissione parlamentare d’inchiesta non voglia che vengano verbalizzate parti della sua testimonianza; o sia coperto dalla funzione che esercita (ad esempio un funzionario del SID, o un magistrato), in questi casi si rientra nel segreto eteronomo. Tutta da scrivere sarebbe poi la questione relativa al dies a quo, ovvero da che data si deve partire per far decorrere i tempi dell’estinzione del segreto. Dalla data in cui si è compiuto il delitto come avviene in altri Paesi, come Regno Unito e Stati Uniti d’America? Dalla data in cui è stato redatto il verbale di un Atto parlamentare? Dalla data in cui l’Atto è stato versato all’Archivio Centrale dello Stato? Su questo terreno scivoloso si giocano molte opacità e insidie.
Il Decreto legislativo n. 42 del 2004, il cosiddetto Codice Urbani, fissa a 50 anni il termine massimo per mantenere il carattere riservato dei documenti. La legge n.124 del 2007 fissa a 15 anni, rinnovabili fino a 30, la possibilità di secretare documenti come prerogativa del Presidente del Consiglio, tranne ai casi implicanti eversione o terrorismo. Con la Direttiva del 22 aprile 2014, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha disposto che vengano resi consultabili documenti relativi alle stragi da Piazza Fontana del ’69 fino al rapido 904 del ’84, salvo rimandare ad una commissione composta dai Servizi di Intelligence la valutazione dei documenti su cui mantenere il segreto; ovvero un’autentica presa in giro in quanto i documenti consultabili sono infarciti di omissis e spesso con nomi, luoghi e date sapientemente sbianchettati. Secondo Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime della strage di Bologna, “carta straccia”.
Da ultima è da segnalare la lettera del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte indirizzata ai due Presidenti delle Camere, all’indomani dell’abolizione del segreto funzionale. In essa si proclamava la desecretazione di nove stragi (cioè gli eventi di piazza Fontana a Milano, di Gioia Tauro, di Peteano, della questura di Milano, di piazza della Loggia a Brescia, dell’Italicus, di Ustica, della stazione di Bologna, del rapido 904), salvo, ancora una volta, deferire ad una successiva commissione di funzionari degli archivi di Camera, Senato e Presidenza del Consiglio dei Ministri le modalità. In un anno nulla è successo, tutto continua come prima.
Per sbloccare la situazione ho rivolto un appello pubblico affinché le richieste di accesso fossero meno generiche e più mirate. La risposta è stata buona, in particolare l’ex magistrato e senatore Felice Casson, ha presentato una istanza di accesso agli Atti di cinque filoni presenti negli inventari della Commissione terrorismo e stragi.
Si tratta di una massa imponente di documenti dei quali si chiede la declassificazione. Abbiamo già inviato un primo interpello su un filone. Per gli altri stiamo concordando con la Presidente Casellati una modalità d’approccio complessiva che parta dai seguenti presupposti.
In primo luogo occorre ricordare che i documenti delle Commissioni terrorismo e stragi includono in totale 28 filoni e non solo i 9 indicati sia nella Direttiva Renzi, sia nella lettera di Conte.
In secondo luogo bisogna fare chiarezza da un punto di vista logico e giuridico. E’ molto probabile che in una commissione che nella sua stessa intestazione reca la denominazione “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi”contenga materiali che ricadono sotto il divieto di cui all’articolo 39, comma 11 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (“in nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti diterrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale o a fatti costituenti i delitti di cui agli articoli 285, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale”).Secondo la più autorevole dottrina (Carlo Mosca, Stefano Gambacurta, Giuseppe Scandone, Marco Valentini, I servizi di informazione e il segreto di Stato (Legge 3 agosto 2007, n. 124), Giuffré 2008, pp. 510-512), con quella legge il segreto ha assunto “carattere ontologico”: non è quindi pensabile che, laddove sia vietato opporre il più elevato tipo di classifica conosciuta nel nostro ordinamento (il segreto di Stato), possa sopravvivere la possibilità di opporre altre forme di segreto.
Per rendere efficace la procedura semplificata di desecretazione, ho chiesto alla Presidente Casellati di autorizzare il contatto diretto tra l’Archivio storico del Senato e l’Archivio centrale dello Stato per verificare se i versamenti già effettuati abbiano interessato atti o documenti facenti parte, in copia, del compendio archivistico della Commissione terrorismo e stragi: in caso di riscontro positivo, il vincolo di non ostensibilità decadrà ex se.
rendere immediatamente consultabile, presso l’Archivio storico del Senato della Repubblica, qualunque atto o documento cinquanta anni dopo la data di formazione, alle condizioni ivi previste per gli utenti,
In questo modo, si semplificheranno le procedure di declassifica attualmente assai farraginose, ma si consentirà anche ai dinieghi di sottostare alla procedura di controllo parlamentare, che previene abusi o forme di opacità amministrativa.
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di antonino drago
Mi permetto di aggiungere un caso che non sembra molto importante se non fosse avvenuto all’inizio di una strategia che si è rivelata mondiale. Nell’anno delle uccisioni pubbliche di M.L.King, Robert Kennedy, Malcom X, Thomas Merton, è avvenuta la morte di Aldo Capitini nel 1968 e a seguire quella di Pinelli nel 1969.
Si ripete sempre che Giuseppe Pinelli era anarchico. Invero Pinelli era un non violento e la moglie Licia lo ha ripetuto molte volte; e anche il suo amico Giuseppe Gozzini, primo obiettore di coscienza cattolico, così lo ha sempre qualificato, anche con una lettera apposita pubblicata da molti giornali. Non avendo compagni di lotta, Pinelli si era aggregato a gruppo anarchico, dalle cui idee politiche non era distante (come d’altronde è vero per la maggioranza dei non violenti, Gandhi per primo).
La domanda è valida perché c’è un problema cruciale di tutta la vicenda politica italiana di quegli anni: quale era l’obiettivo politico che si ponevano i pezzi dello Stato (italiano, ma anche oltre?) “doppiamente colpevoli” (Mattarella)? I gruppi anarchici o il gruppo dei non violenti italiani?
La domanda mi sorge perché, facendo parte del gruppo non violento napoletano del tempo, sono stato coinvolto personalmente da (forse il primo episodio di) questa strategia.
Nel novembre 1965, sapendo dalla stampa che il Concilio stava per chiedere ad ogni Stato di accettare l’obiezione di coscienza al militare, organizzammo una manifestazione a Gaeta per chiedere la liberazione degli obiettori di coscienza là incarcerati. Riuscì perché influenzò molto la popolazione di Gaeta (che era feudo ‘bulgaro’ della DC). Però i primi di febbraio 1966 ci trasportarono in Questura per un interrogatorio misterioso, che non ci dichiarava i reati dei quali ci accusavano. Alla fine il Questore ci disse (‘sbottonandosi’) che da Roma avevano chiesto di sottoporci ad interrogatorio perché a Gaeta due notti prima avevano messo una bomba ad una porta laterale del carcere, per protesta contro la prigionia degli obiettori. Ovviamente non era stata opera nostra. Poi si venne a sapere che il volantino di accompagnamento della bomba era firmato: “Noi giovani anarchici…”; e noi anarchici non eravamo. Era chiaro che da Roma volevano accusarci perché avevamo avuto un successo politico a Gaeta (e anche a Napoli avevamo una capacità di impegno politico di un certo rilievo tra i numerosi baraccati e in molti quartieri di case popolari: nel 1964 avevamo organizzato un digiuno di 28 ore di quindici persone davanti al Municipio volantinando 30.000 volantini. Agivamo indipendentemente dal PCI (che “responsabilmente” collaborava con la Polizia); e loro non sapevano come controllarci.
Di quell’episodio di Gaeta non ci fu seguito per noi. Ma la sequenza successiva di scomparse di vario tipo dei non violenti maggiori in Italia è ben nota. Nel 1966 La Pira è stato eliminato dalla vita politica attiva da una intervista improvvidamente concessa alla giornalista fascista Gianna Preda de Il Borghese; nel 1967 Don Milani morì nel 1967 di leucemia; nell’ottobre ‘68 morì Capitini non si è mai capito se per una operazione (di cistifellea) o due. Danilo Dolci volle ritirarsi in attività solo educative. Il discepolo di Gandhi e fondatore delle Comunità dell’Arca in Francia, Lanza del Vasto, ebbe una polmonite che lo ridusse in fin di vita e lo lasciò stremato per un anno. La serie di disgrazie internazionali nel 1968 ha visto l’assassinio di M.L. King; poi il 5 giugno Robert Kennedy fu assassinato platealmente. (Anche Malcom X che si avvicinava alla politica di M.L. King fu assassinato nel 1965). In agosto fu deciso di sopprimere la Cecoslovacchia del “un socialismo dal volto umano” (ma spontaneamente la gente seppe reagire non violentemente; il che aumentò alle forze repressive il problema del controllo di una forza politica emergente). Poi il 10 dicembre la morte sospetta di Thomas Merton, durante il primo congresso dei monaci di tutto il mondo (inclusi i buddisti) per la pace (v. la voce in Wikipedia.edu https://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Merton#Death, par. 5.1 e il recentissimo H. Turley e D. Martin: The Martyrdom of Thomas Merton: An Investigation, CreateSpace Independent Publishing Platform, 2018).
Quindi poi dopo, nel 1969, che cosa volevano ottenere i servizi segreti che organizzarono la strage di Piazza Fontana (al cui seguito avvenne la morte di Pinelli durante un interrogatorio della Polizia)? Il contrasto ai soliti gruppi anarchici, o la decapitazione della nuova forza politica (che poi nel 1989, attraverso la intuizione dei popoli dell’Est Europa ha posto fine non violentemente alla guerra fredda, senza lo sterminio di 200 milioni morti a primo colpo del progettato scambio nucleare liberatorio tra USA e URSS?). Capitini è morto quando aveva un giornale (Il potere è di tutti) che era un punto di riferimento per il movimento studentesco, dentro il quale egli stava collegando i militanti non violenti di tutta Italia e un altro giornale (assieme a Pietro Pinna), Azione nonviolenta, che aveva un seguito di militanti in tutta Italia (oltre ad aver organizzato nel 1961 la marcia Perugia Assisi e aver scritto libri famosi in Italia, su religione e su non violenza).
In particolare sulla morte di Aldo Capitini ci sono questi particolari inquietanti:
1) La polizia e anche la cartella clinica parla di una sola operazione (però per due zone differenti: la cistifellea e la zona dei polmoni), ma la notizia del tempo era che ci furono due operazioni a distanza di tempo (testimonianza di Lanfranco Mencaroni e ricordo di Claudio Cesa).
2) La prima operazione di cistifellea (che allora aveva una incidenza di mortalità inferiore al 10%) era stata presentata in maniera terribile a Capitini, tanto che egli si era preparato a morire (ad es. mettendo a posto tutto il suo archivio e scrivendo per tempo una rapida autobiografia). Ma egli la superò. Salvo che (cosa che seppero tanti) la ferita non si rimarginava e il gran chirurgo Castribni che lo operò attribuiva il fatto alla dieta vegetariana (come se gli elefanti e i buoi morissero di emorragie! C’è scritto anche nella cartella clinica che il chirurgo glielo rimproverava!).
3) Con la ferita che non si chiudeva fu deciso di compiere una seconda operazione per la diagnosi di una nuova malattia, operazione di per sé non era essenziale e tanto meno urgente. Capitini morì vomitando sangue.
4) A testimonianza del discepolo di Capitini, Mencaroni (medico egli stesso), che eseguì la seconda operazione fu un medico che era giunto da Roma e poi non si è più visto. Negli stessi anni mio zio, Questore ad Enna e con una lunga esperienza di lotta alla mafia, ebbe la stessa operazione di Capitini; anche a lui (non vegetariano) la ferita non si rimarginava; ma lui si fece trasferire ad un ospedale di Roma dove subito guarì.
5) La seconda operazione era inutile; così pensarono i suoi discepoli, tanto che Piero Pinna voleva denunciare questo fatto di “malasanità”.
Il prof. Mario Martini di Perugia studioso di Capitini, ha contestato questi fatti con la testimonianza di un chirurgo che sarebbe stato nella sala operatoria: testimonianza invalida, essendo questi parte in causa. Inoltre ha contestato le due operazioni sulla base della cartella clinica, proprio quella che rimprovera Capitini di mettere a repentaglio la sua salute per essere vegetariano. Inoltre ha contrapposto al racconto di Mencaroni, liberamente esposto a me in un incontro di commissione per premio per tesi di laurea intitiolato a Capitini, con un racconto di Mencaroni da lui udito anni prima, il quale esponeva fatti diversi; ma non solo Mencaroni, ma anhe Luisa Schippa e Pietro Pinna erano sconvolti per come era avvenuto il decorso delle operazioni all’ospedale. Non si capisce come si vogliano eliminare dei fatti con prove così contestabili.
In conclusione, Capitini ha avuto una morte molto sofferta. E ci sono indizi precisi di comportamenti malevoli. Ma, come storico so bene che non ci sono prove accusatorie precise. Tanto più che è passato tanto tempo senza che nessuno sollevasse il problema di chiarire tutta la vicenda. Per cui è chiaro che, in mancanza di prove decisive, si può optare a pensare bene, come fa il prof. Martini: sono opinioni personali lecite e ispiratrici di fiducia. Ma, debbo tener conto di una variabile nascosta che ci sovrasta, per averla incontrata personalmente (come detto sopra su di me e su mio zio questore) e, come storico, averla incontrata anche nello studio del dopo rivoluzione francese: fino a che non si chiarirà la strategia dei servizi segreti (sin dagli anni ’60), non si potrà escludere una politica di “contenimento” della forza politica emergente dei non violenti italiani con interventi specifici su poche persone.