di Enzo Marzo
Leggo sulla stampa la proposta di due deputati di Forza Italia, il partito dei “liberali” berlusconiani, Annarita Patriarca[1] e Tommaso Antonio Calderone (già neofascista del MSI e di Alleanza nazionale) che chiede di introdurre una nuova «fattispecie tipica di reato punibile da due a cinque anni», per impedire di «pubblicare con leggerezza atti di indagine fino all’udienza preliminare». Se diventasse legge, i giornalisti rischierebbero una pena carceraria uguale o superiore a quella prevista per la truffa, corruzione tra privati (fino a tre anni), malversazione di fondi pubblici o favoreggiamento personale (fino a quattro anni) e uguale a quella di chi partecipa a un’associazione per delinquere (cinque anni).
I due forzaitalioti andrebbero condannati per “faccia tosta” con l’aggravante “senza vergogna”.
Però anche a me sembra assolutamente necessaria una pena severissima per i giornalisti che si ostinano ad approfittarsene di quel rimasuglio di libertà di stampa che ancora persiste in Italia e si permettono di pubblicare intercettazioni non più segretate…
A un patto però. Che la loro pena carceraria [superiore di un anno a quella comminata a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset per frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, creazione di fondi neri o a quelle rifilate a Cesare Previti reo solo di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, creazione di fondi neri ed anche di aver corrotto un giudice] sia poi commutata in qualche partita di briscola con dei poveri vecchietti o in qualche chiacchierata con un prete. Come accadde ai due fondatori di Forza Italia. Il primo dei quali fu candidato alla Presidenza della Repubblica dai partiti dell’attuale maggioranza.
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[1] Annarita Patriarca è membro della Commissione Giustizia della Camera, figlia di Francesco Patriarca. Francesco: dc della corrente di Gava, sei volte membro del parlamento e sottosegretario della repubblica; il 14 giugno 2007 è stato condannato in via definitiva a 9 anni di carcere per aver reso dei favori alla famiglia camorrista Alfieri-Galasso. La figlia Annarita è stata sindaco di Gragnano, un’esperienza conclusa con lo scioglimento dell’ente per infiltrazioni della camorra, nel 2012; ma dette le dimissioni per i problemi giudiziari del marito Enrico Martinelli, sindaco di San Cipriano. Patriarca ha subito anche un processo per peculato (per alcune spesucce a carico del Comune tra cui «Un tubo di baci perugina, biglietti della lotteria, snack, yogurt, sacchetti per aspirapolvere, un orologio Tissot da tasca, un biglietto per tour panoramico a Vienna, spese varie in un centro commerciale a Montecarlo») da cui è uscita grazie alla prescrizione del reato, ma la sentenza del tribunale di Torre Annunziata contestualmente ha rilevato che «Quel denaro risultava, in base al rendiconto presentato dalle rispettive cariche, speso in virtù di giustificativi (riconducibili all’ufficio del sindaco e del presidente del consiglio) che, talora, erano palesemente insufficienti (es. scontrini illeggibili), talora erano contraffatti (poiché presenti sia in originale che in copia), talora erano logicamente incompatibili con le funzioni “di rappresentanza”». Il matrimonio Patriarca – Martinelli ebbe come testimone di nozze Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia che i magistrati volevano arrestare per camorra, dimessosi dall’incarico dopo lo scandalo intercettazioni che lo ha colpito (ah maledette intercettazioni). Enrico Martinelli, iscritto al Pdl, è stato arrestato insieme col consigliere comunale della sua maggioranza Francesco Paolella, docente di religione, e poi condannato per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso a tre anni e 4 mesi con l’accusa di aver avuto rapporti con il killer della camorra, Enrico Martinelli, suo omonimo. (fonti: Wikipedia, “Domani” e “Repubblica”).