di vittorio emiliani
Caro direttore, giorni fa, inopinatamente, abbiamo appreso che Walter Veltroni aveva in qualche modo scoperto Giacomo Matteotti a novantacinque anni dal tragico rapimento sul Lungotevere Arnaldo da Brescia e dalla soppressione del più coraggioso ed esposto dei deputati dell’opposizione socialista, e non solo. Fa piacere constatare che un personaggio fondamentale del socialismo riformatore sia entrato nell’album di famiglia di un ex comunista. Che per la verità in passato si era dichiarato, se non erro, “clintoniano”, un modello piuttosto remoto sia dal Pci che dal rigore matteottiano. Ma tant’è. Sentire un esponente dell’ex Pci fa suo uno degli esponenti socialisti più genuini fa sempre piacere a quanti non si sono mai vergognati di dirsi ”socialisti”.
A tale proposito vorrei segnalare che un bravissimo studioso della nostra tradizione, il professor Stefano Caretti, docente a Siena e per anni segretario della Fondazione Turati di Firenze, figlio dell’italianista Lanfranco (mi piace aggiungere), ha curato e pubblicato in ben 12 volumi l’opera omnia di Giacomo Matteotti e al suo interno ha pubblicato nel lontano 1983 quel discorso di Matteotti oppositore che nel recentissimo libro uscito da Rizzoli con prefazione di Walter Veltroni figura come una sorta di “scoperta”. Tanto per dare a Caretti ciò che appartiene a lui e ai suoi trent’anni di studi sul socialismo e su Matteotti in particolare.
Tanto per rammentare a tutti che se i socialisti politicamente sono stati, per ora, cancellati, anche grazie ad alcuni errori imperdonabili del craxismo, la “damnatio memoriae” loro inflitta non ha incenerito la capacità di studiare una storia ancor oggi vitale in Fondazioni che appunto portano gli onorati nomi di Filippo Turati (trattato come un malfattore da Togliatti all’atto della morte), di Pietro Nenni, di Bruno Buozzi, di Giacomo Brodolini, di Giacomo Matteotti, di Filippo Emanuele Modigliani, di Anna Kuliscioff, di Argentina Altobelli e altri ancora. Un saluto sincero
da Il Fatto, 26 aprile 2019
Non c’e’ bisogno, per descrivere l’opportunismo e l’incoerenza di Veltroni, scomodare questa riscoperta di Matteotti e del socialismo democratico. Bastano gli anni trascorsi alla guida del Pd, la decisione di emarginare i socialisti alle elezioni del 2008 (ammesso e non concesso che costoro potessero fregiarsi con onore di questo titolo) e di allearsi con Di Pietro (contribuendo cosi’ a portare in parlamento Razzi e Scilipoti), la candidatura nelle liste del pd della fondamentalista cattolica Binetti, del generale Del Vecchio contrario alla presenza di omosessuali nell’esercito, di un esponente della confindustria come Calearo, di Marianna Madia di cui erano allora note solo la sua frequentazione col figlio di Napolitano e le lezioni di catechismo che impartiva in parrocchia. E vogliamo parlare delle sue imprudenti dichiarazioni? Di quando dichiarava di considerarsi un kennediano sorvolando sul fatto di essersi iscritto al Pci negli anni in cui questo partito partecipava al Cominform. O del suo appoggio a Renzi, anche e soprattutto in occasione del referendum, quando era chiaro anche ai ciechi che questo presunto leader avrebbe portato il Pd al disastro. Tutto da buttare, checche’ ne dica Scalfari.