“Prigionieri dell’amore”. Le cose che dovete sapere di noi.

Mada Masr, all’indomani dall’irruzione delle forze di sicurezza di al-Sisi.

Versioni inglese e araba originali: https://mada22.appspot.com/madamasr.com/en/2019/11/28/opinion/u/a-few-things-you-might-like-to-know-about-us/

di Lina Attalah (caporedattore e fondatrice)

Ecco il retroscena della pubblicazione del pezzo sul figlio di al-Sisi (https://mada22.appspot.com/madamasr.com/en/2019/11/20/feature/politics/presidents-eldest-son-mahmoud-al-sisi-sidelined-from-powerful-intelligence-position-to-diplomatic-mission-in-russia/) che ha contribuito a metterci nei guai. (Nel caso in cui non stiate seguendo la vicenda di Mada Masr, eccola in sintesi: il nostro collega Shady Zalat è stato arrestato da casa sua nel cuore della notte di sabato 23 novembre; il giorno seguente, domenica mattina, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nei nostri uffici e 18 di noi sono stati detenuti all’interno in assoluta impossibilità di comunicazione con l’esterno, per diverse ore prima che tre di tre noi, me compresa, siamo stati arrestati e detenuti per qualche ora fino al rilascio senza alcuna accusa).

Quando Shady mi ha portato la sua storia per la prima volta, all’inizio della scorsa settimana, ho deciso di fermarmi e approfondire i fatti riportati, fino a quando non avrei potuto ottenere un’ulteriore conferma di ogni singolo dettaglio, e non soltanto una conferma generale della storia principale. Una volta che ogni singolo dettaglio è stato confermato da almeno due fonti separate – e per alcuni specifici aspetti, le fonti che hanno confermato sono state ben quattro – ero pronta per la pubblicazione. Non siamo entusiasti ed euforici quando arrivano questi scoop. Al contrario, siamo preoccupati per il rigoroso ed impegnativo processo di verifica che ne segue. Abbiamo cestinato molte più storie di quante ne abbiamo pubblicate.

Ma per questa storia, no. Avevamo chiaro quanto fosse delicata questa particolare storia, ma quando siamo diventati sempre più sicuri della sua veridicità, non l’abbiamo lasciata perdere. Poco prima che io e i miei colleghi fossimo rilasciati dalla polizia domenica sera, siamo stati garbatamente rimproverati per averla pubblicato. Ci è stato chiesto retoricamente: perché l’avete fatto? Perché avete parlato su tali questioni?

 Mada è sempre stato un progetto di indagine, di curiosità, che si spinge fin dentro le stanze più oscure del potere, spazi che a malapena vediamo o sappiamo che esistono. Quando abbiamo iniziato a pubblicare nel 2013, molti hanno pensato a noi come media di e per i bambini della rivoluzione del 2011. Siamo davvero i bambini (e i produttori) del 2011. Ma siamo molto più ambiziosi di così.

Siamo il prodotto del contesto in cui siamo nati, il qui e ora: cosa significa vivere in Egitto, all’ombra di una profonda trasformazione politica? Vogliamo mettere insieme un resoconto accurato e veritiero di questa vita e di come sta cambiando, da tutte le sue diverse angolazioni: la nostra società, la nostra economia, la nostra salute, il nostro ambiente urbano, la nostra istruzione. Prestiamo attenzione alla cultura e alla produzione culturale e al modo in cui si interfaccia con questa realtà. Rimbalziamo tra la negoziazione e la resistenza a un nuovo tipo di autorità, in un ampio spettro di pratiche per la sopravvivenza. Ciò richiede un costante esercizio del potere di dissezione e questo esercizio intellettuale può iniziare solo da un luogo empirico: l’informazione. La storia che abbiamo pubblicato, e per cui siamo stati puniti, appartiene a quell’esercizio.

 Il processo che ha seguito la verifica delle informazioni è stato di modifica e re-editing, come è nostra abitudine. Il flusso va bene? Può essere migliorato? Che dire della scelta di questa parola o di un’altra? Che dire di questa frase nel suo insieme? Dove manca il riferimento al contesto?

Adoro il giornalismo, perché è un fantastico incontro di forma e contenuto. A Mada, ci piace pensare a noi stessi come artigiani il cui entusiasmo non finisce quando abbiamo trovato informazioni preziose: inizia solo allora. Ciò che segue è un processo di rigorosa indagine, non solo riguardo alla veridicità delle informazioni, ma anche al contesto in cui è emersa – la politica che governa quel contesto che potrebbe interferire con queste informazioni. È un processo di ricerca delle informazioni attraverso tutte le possibilità del linguaggio, rivelate e ancora da rivelare. Mi piace la pretesa di definirci artisti, in questo momento. Lo dico deliberatamente in alcune delle nostre conversazioni per incoraggiare ognuno di noi a definire una propria licenza creativa. Siamo in debito con gli artisti e gli amici accademici che fanno parte della nostra vita, perché ci permettono di introdurre alcune delle loro pratiche e processi in ciò che facciamo.

Il giorno in cui ho lavorato alla storia di Shady nel mio ufficio in Cairo con alcuni dei miei colleghi è stato uno dei giorni più gioviali a Mada. Eravamo eccitati, a volte fino a ridere, forse per dare voce alla profonda paura del destino imminente che, sapevamo, avremmo potuto incontrare dopo la pubblicazione. Abbiamo bevuto infinite acque toniche e abbiamo mangiato una barretta di cioccolato dopo l’altra, per sostenerci. Alla fine, terminato il lavoro, siamo andati a mangiare il koshary, una popolare pietanza egiziana, un piatto abbastanza pesante (riso, maccheroni, lenticchie, ceci, aglio egiziano, aceto e salsa di pomodoro speziata) che potesse mandarci direttamente a letto, lontano dall’ansia. Potresti pensare che siamo coraggiosi, o almeno così dice la nostra facciata, ma molte volte abbiamo paura, ed è importante tenerne conto.

 

Sia nella paura che nella crisi, sappiamo ridere sempre, abbiamo imparato. Una volta, un amico stava passando per il nostro ufficio e ha visto il nostro Shady Zalat a lavoro seduto alla sua scrivania, mentre danzava con mani e piedi. Mi ha chiesto: cosa sta facendo? Ho detto: editing. È così che lo fa. Shady è stato portato via da sua moglie e da sua figlia, e da noi, per un giorno e mezzo, che a noi sembrava essere l’inizio di un incubo che non sarebbe finito, sappiamo come evolvono queste vicende, ormai. Shady si è unito a noi di Mada nel 2014, senza certo immaginare che nel 2019 sarebbe stato prelevato da casa a notte fonda, ammanettato e bendato. Si è unito a Mada per dare voce alla verità, ai pensieri, alle cose che sappiamo, per farli vivere magnificamente attraverso il linguaggio. Si è unito a noi per fare editing mentre balla sulla sua sedia.

Ho visto uno Shady infranto lo scorso lunedì, la prima volta che ci siamo rivisti dopo la fine del nostro calvario, e mi ha spezzato il cuore. Ma quando un gatto è spuntato dal nulla aggirandosi intorno a sua figlia cercando di rubarle un po’ del suo pranzo, Shady si è alzato ed ha iniziato a correre in cerchio attorno al tavolo inseguendo il gatto, con gioia, leggerezza, facendoci scoppiare a ridere.

La maggior parte delle cose che mi vengono in mente quando ripenso al raid di domenica nel nostro ufficio sono associate alle risate. Sì, perché abbiamo riso. In effetti, penso che le volte in cui noi, gli ostaggi, siamo scoppiati a ridere tutti insieme, gli agenti di sicurezza devono avere fatto un bello sforzo per mantenere una faccia seria. Nella mia mente piena di pensieri fulminei, ho pensato che forse l’unico trionfo della giornata è stato quello, avere strappato gli agenti di sicurezza dal loro rigore, o forse li abbiamo fatti soffrire un po’ per reprimere le loro risate.

Visto che il nostro ufficio era occupato da una magistrale coreografia di oltre 10 agenti, tutti uomini, grandi e alti, la secchiona che è in me pensava a come incoraggiare coloro che avrebbero scritto la storia della morte di Mada a essere creativi al riguardo. Ricorda, il giornalismo è un incontro formidabile di forma e contenuto. In che lingua piangiamo la morte di un giornale? Come recitiamo il requiem di un’istituzione? In realtà, penso che preferirei essere un prigioniero piuttosto che uno scrittore o un editore di questa storia. Ma la realtà più profonda, la realtà vera, è che non desidero essere prigioniera, né desidero scrivere o modificare questa storia.

 Penso al nostro ritorno dalla detenzione, senza essere finiti in quel processo infinito che avrebbe depositato i nostri corpi in un sistema giudiziario in cui ogni procedura è progettata per punire, come un miracolo. L’inversione a U in senso letterale del camion della polizia che trasportava noi tre dopo il raid verso chissà quale luogo di detenzione e quale difficile interrogatorio che ci spaventava a morte, è stata come un miracolo. Siamo commossi dal supporto che abbiamo ricevuto da tutti: amici, famiglie, ma anche i nostri lettori, la nostra comunità qui e all’estero. Ci è stato detto che qualcuno in alto, di cui non conosciamo il nome, è intervenuto all’ultimo minuto per sospendere la nostra detenzione ormai imminente. Non sappiamo esattamente che cosa abbia spinto questa persona ad intervenire. Sappiamo che la pressione dei nostri tanti amici potrebbe avere avuto un ruolo; oppure si è trattato di un baleno di raziocinio nelle menti dei decisori. Ma sappiamo anche che gli altri giornalisti ed amici arrestati in questi ultimi giorni non sono tornati dalla detenzione. Due giorni dopo il nostro rilascio, i giornalisti Solafa Magdy, suo marito Hossam al-Sayyad e Mohamed Salah sono stati arrestati in un caffè di Dokki. Ora affronteranno le accuse di avere aderito ad un’organizzazione terroristica e di pubblicare false notizie. Settimane prima del nostro calvario, centinaia sono stati gli arrestati in quanto attivisti, giornalisti o politici dell’opposizione che utilizzavano canali legali come il Parlamento per fare politica. Molti di loro sono detenuti in custodia cautelare rinnovata all’infinito, e affrontano la solita tripletta di accuse standard. Potremmo essere stati anche noi tra questi, e potremmo esserlo ancora.

Per ora, siamo grati a tutti coloro che hanno fatto di tutto per aiutarci. La nostra speciale gratitudine va a coloro che hanno cantato per noi in silenzio nei loro cuori e per coloro che hanno trovato conforto nell’invocare le divinità di cui sanno poco e niente. Pensiamo che la nostra liberazione appartenga all’ordine trascendentale dei miracoli.

 Nel camion della polizia, io ed i miei colleghi Rana Mamdouh, Mohamed Hamama siamo stati ammanettati l’uno all’altro. E ci siamo cercati per stringerci le mani, un gesto per dirci “Andrà tutto bene, staremo bene”. E quando abbiamo iniziato a pensare al da farsi (a chi diciamo dove ci hanno portato, cosa posso fare con i piani di Natale che ho fatto con mio fratello, e riuscirò a recuperare il lungo lavoro che stavo scrivendo sul computer e non ho salvato prima dell’irruzione della polizia, e così via…), sia Rana sia Mohamed continuavano a sussurrarmi: non c’è spazio per il senso di colpa. Siamo qui per scelta. Nessun posto per il senso di colpa.

Signore e signori, vi presento la formidabile squadra di Mada Masr. Quando Shady è stato arrestato e noi altri eravamo ancora liberi, abbiamo lavorato senza sosta tutto il giorno per fare tutto il possibile per farlo rilasciare. Ero consapevole del rischio alto di cortocircuito dei nostri nervi (non sapendo cosa sarebbe seguito nei prossimi giorni), quindi ho detto ad alcuni dei miei colleghi di riposarsi. In un messaggio ho scritto loro quanto mi sono commossa per la loro dedizione e il loro instancabile impegno in questo momento difficile. Uno di loro, Yasmin el-Rifae, ha risposto con un messaggio conciso, preciso e poetico.

“Siamo prigionieri dell’amore”, ha detto.

Vi lascio alle nostre inchieste, ai nostri prossimi articoli, che speriamo siano quanti più possibili, il più a lungo possibile, come una banda di prigionieri d’amore – che ormai hanno imparato sempre meglio come ridere in tempo di crisi.

 

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